Si dice che il profeta Solimano avesse una moglie bellissima e che l’amasse molto. A qualsiasi richiesta della donna Solimano non diceva mai di no. Un giorno la donna disse al marito: “Desidero un palazzo costruito con le piume degli uccelli”.
Leggende del popolo Curdo
 
Anche se l’uomo non riusciva a scorgerli, sentiva però gli occhi della foresta puntati su di lui: gli occhi gelidi del serpente, quelli rossi e fieri del babbuino, quelli gialli e ardenti del giaguaro. Sapeva che degli occhi lo seguivano, vigili, attraverso tutta la verde parete della foresta, e non erano occhi amici, non erano occhi birboni, maliziosi; ma occhi di cacciatori come lui.
Favole dei Caraibi


Sin dalle origini l’uomo ha rappresentato gli animali, come testimoniano i cicli pittorici rinvenuti nelle grotte paleolitiche dell’Europa o la pittura rupestre del Sahara.

Il Museo Archeologico di Napoli, ricchissimo di preziose testimonianze artistiche dell’antichità, ospita, fino al 30 Marzo 2009, una splendida selezione di opere provenienti dagli scavi di Ercolano.
La mostra Ercolano. Tre secoli di scoperte, presenta al pubblico oltre 150 opere, ed è articolata in sezioni. In particolare l’atrio del Museo, dove sono state collocate le statue più imponenti e spettacolari, rivive i suoi antichi splendori.
Ercolano, insieme a Pompei e alle ville di Oplontis, è stata dichiarata dall’Unesco nel 1997 “Patrimonio dell’Umanità” perché offre una testimonianza della vita e della società romana unica nel suo genere grazie alla conservazione dovuta alle altissime temperature sviluppatesi durante l’eruzione del Vesuvio. La terribile eruzione del 79 d.C., ha infatti permesso che a noi giungesse la città nella sua interezza, nei suoi ultimi istanti di vita, come se il tempo non fosse mai trascorso.

Oh povera archeologia, anche tu sei incorsa in quest’epoca di pochismo, di false apparenze e di show-off televisivo.

Quando ti va bene programmi “pseudo-culturali” ti sfruttano per creare mistero, ti usano per collegare popoli lontani nel tempo e nello spazio; vieni persino adoperata per pubblicizzare un prodotto che nulla ha a che fare con te; fictions estive prive di trama cercano di darsi un tono intellettuale e di dare un senso alla propria storia attraverso di te. I grandi kolossal cinematografici si prendono gioco dei poemi epici trasformando momenti pieni di pathos in semplici battaglie di bighe e improbabili combattimenti di gladiatori in falsi Colossei.

Sviluppatasi tra il 5.000 e il 3.000 a. C. in quelle terre dove oggi si trovano Romania, Ucraina e Repubblica di Moldava, la grande civiltà di Cucuteni – Trypillya prende il nome dai due villaggi di Cucuteni, in Romania, e Trypillya, in Ucraina, dove, alla fine del XIX secolo, sono stati rinvenute le prime suppellettili ad essa riconducibili.

Un patrimonio che conserva i tesori dell’antica Mesopotamia viene restituito all’uomo, sia pure in forma virtuale: il Museo Nazionale dell’Iraq (attualmente in fase di restauro dopo i saccheggi del 2003) è ora accessibile come portale web (http://www.virtualmuseumiraq.cnr.it/) grazie al progetto realizzato dal Cnr e dal Ministero per gli Affari Esteri.
La struttura multimediale, assolutamente interattiva, ha richiesto due anni di lavoro e l’opera di oltre cento specialisti (archeologi, islamisti,  informatici, tecnici del suono per curare la colonna sonora ispirata alle musiche popolari irachene) per offrire un risultato ottimizzato in 3D. Per ogni reperto sono disponibili tre opzioni: la scheda informativa-didattica, l’esplorazione tridimensionale, la contestualizzazione storico geografica attraverso un filmato.

 

Una cittadella fortificata con mura ciclopiche, costruita in almeno tre fasi successive fra il 4° millennio a.C. e la fine dell’età del bronzo (1500 a.C. circa), è stata scavata dall’archeologo italiano Gabriele Rossi Osmida in un’oasi nel deserto del Karakum, nell’odierno Turkmenistan. La
campagna di scavo appena conclusa ha rivelato un grande incendio che devastò quella cittadella nella seconda fase della sua fioritura, e che Rossi Osmida non esclude possa attribuirsi ad un evento bellico: è di quel periodo (la fine del 3° millennio a.C.) l’espansione aggressiva in quella regione dell’impero akkadico, una potenza semita che dalla Mesopotamia puntava ai preziosi giacimenti di lapislazzuli della Battriana (l’odierno Afghanistan).

 

Mostra a Palazzo Sciarra fino al 3 Febbraio

La Fondazione Roma sta dedicando alla figura di Akbar (1542-1605), il grande imperatore indiano che regnò nella seconda metà del 500, una singolare mostra curata dal Prof Calza, fruibile fino al 3 febbraio. Grazie ad un numero di ben 130 opere, divise tra 5 sezioni – vita a corte, governo e politica – città, urbanistica, ambiente – arti e artigianato – guerra, battaglia e caccia – religione e mito - si possono ammirare acquarelli, tappeti, amuleti, elementi d’arredo, armi e gioielli dal valore inestimabile.

Akbar, “il più grande”, un titolo che il mondo mussulmano riserva essenzialmente a Dio è divenuto anche il nome di regno con cui è passato alla storia il terzo imperatore indiano della dinastia Moghul. Fondata da una stirpe di conquistatori il cui capostipite fu Babur (1483-1530), tale discendenza raggiunse il massimo splendore con il regno del principe imperiale indiano Jalaluddin Muhammad, detto Akbar.

Un destino segnato fin da piccolo, il suo: è straordinario come, da parte dell’imperatore Humayun e della madre Hamida Banu, non ci fu mai pregiudizio per quel bimbo che non amava leggere e scrivere, a causa di un disturbo dislessico. Essi trovarono la via per consentire al fanciullo di svilupparsi secondo il suo sentire, superando il suo limite, proprio evitando di demonizzarlo. Percepirono in Akbar, infatti, un sentire alto e fuori dal comune, in un epoca storica in cui non esisteva ancora il benché minimo virgulto di psicanalisi, nata, invece, quasi quattro secoli dopo.

 

Nella Thailandia settentrionale, più precisamente nella provincia di Mae Hong Son, in prossimità del confine con la Birmania, vivono alcune tribù Kayan/Padaung di etnia Karenni.

Tali popolazioni sono conosciute come le tribù delle donne dal "lungo collo" o "donne giraffa".

I Kayan o Padaung sono gruppi originari della Birmania che, in seguito alla guerra scoppiata tra l'etnia Karen ed il regime militare birmano, durante gli anni '80, hanno lasciato le proprie terre per rifugiarsi nella vicina Thailandia. Una decisione sofferta per un popolo che faceva del lavoro dei campi la prima fonte di sostentamento ma resa necessaria dalle violazioni dei diritti umane perpetrate dal regime militare birmano attraverso metodi quali il lavoro forzato, gli spostamenti obbligatori e la tortura.

La peculiarità delle tribù Kayan, il lungo collo, è la conseguenza di una antichissima pratica svolta dalle donne di tale etnia. Questa pratica prevede che alcune bambine, quelle nate in giorni particolarmente propizi di luna crescente, dall'età di cinque anni inizino ad indossare degli anelli di una lega di ottone, argento ed oro. Questi anelli, posti ad ornamento del collo, aumentano in numero e spessore progressivamente con il passare degli anni tanto da determinare in età avanzata l'allungamento del collo che caratterizza la fisionomia delle donne Kayan.

 

I have a dream

07 Set 2012 Scritto da

 

Interessante e significativa iniziativa quella compiuta dalla città di Nantes, che ha da poco inaugurato il monumento "Memoriale dell'abolizione della schiavitù". Posto sulla riva destra della Loira, nel pieno centro della graziosa cittadina francese, il monumento rappresenta un'ottima occasione per ricordare e commemorare le vittime di una delle più gravi violazioni dei diritti umani nella storia della nostra civiltà.

Non è per caso che la celebrazione avviene in questa ridente cittadina. Infatti dalla metà del secolo XVII alla metà del XIX, la Francia ha organizzato oltre 4220 spedizioni negriere.  Un milione trecentottantamila individui sono stati deportati dai territori centro-occidentali dell'Africa alle piantagioni del Sud America e dei Caraibi. Molte di quelle navi partirono proprio dal porto di Nantes.

Il Memoriale è stato realizzato in una struttura di oltre 7000 mq² sotterranei e sviluppa un percorso che si compone di ricostruzioni storico-geografiche che illustrano le modalità di questa disumana pratica. Prendere coscienza della portata numerica del fenomeno risulta impressionante.

 

 

L'olocausto rappresenta molto probabilmente una tra le pagine più tristi dell'esistenza umana. Un capitolo della storia che in molti hanno voluto celare e addirittura negare. Un'operazione, quest'ultima, resa impossibile dall'enorme quantità di documenti di tutti i generi che raccontano quegli omicidi di massa.

Dal 17 febbraio a Roma, presso la Casa della Memoria e della Storia, è stata allestita una interessante mostra espositiva organizzata dal Centro Storico Dino Gasperini e patrocinata dall'Assessorato alle politiche Culturali che fa luce su un particolare aspetto dell'olocausto che, spesso e troppo facilmente, è scivolato nell'oblio.

 

 

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