La tecnologia in botte

Fabrizio Zucchini 18 Giu 2008

La storia del vino è molto antica, quasi quanto quella dell’uomo che da sempre ne ha consacrato le qualità al punto di conferirgli origine divina come nel caso di Dionisio, dio della vite e dell’uva sacro ai Greci. Le tecniche di produzione nel corso dei secoli si sono evolute fino ad ottenere prodotti sempre più ricchi di meravigliose flagranze.
Ma come la tecnologia ha influito sulla produzione? Il vino di oggi è migliore rispetto a quello di una volta?
Ne parliamo con alcuni dei protagonisti della quinta edizione del Vinoforum 2008 di Roma, splendida cornice che unisce vini, gastronomia ed eventi dal 6 al 21 giugno nei giardini di lungotevere Maresciallo Diaz.

Alessandro Cugini figlio d’arte e produttore di vino da generazioni, è il Direttore Commerciale dell’azienda vinicola “Strade Vigne del Sole” una delle più importanti del Lazio.

“La tecnologia è ormai quasi in ogni fase della produzione, un tempo i vignaioli si basavano sui cicli lunari per scegliere il momento in cui l’uva avrebbe avuto le migliori caratteristiche per essere raccolta, mentre oggi con l’utilizzo del rifrattometro e del potenziometrico siamo in grado di analizzare l’acidità e il grado zuccherino così da conoscere esattamente il periodo migliore per la raccolta. Uno dei macchinari più utili che ci ha regalato la tecnologia è la pressatura soffice degli acini fatta attraverso un ciclo computerizzato che gonfia e sgonfia camere d’aria comprimendo dolcemente gli acini e permettendo così l’estrazione del succo senza rompere le bucce. Questo processo non era possibile nei torchi tradizionali che macinando anche i raspi e le bucce, entravano a far parte del processo di fermentazione donando al vino un sapore più deciso ma con meno aroma. Inoltre la tecnologia del freddo permette di controllare la temperatura dei contenitori dove sono i mosti e il vino consentendo di effettuare la pulizia dei mosti attraverso il processo di precipitazione statica a circa 7 gradi. A questa temperatura si effettua la decantazione dei mosti per circa 24 ore, tempo in cui gli elementi non utili al processo di vinificazione possono essere facilmente eliminati. A fine di questa operazione si alza la temperatura in maniera controllata dai 14 ai 20 gradi centigradi ed inizia il processo di fermentazione”.

 

Quindi le nuove tecniche di produzione sono da considerarsi molto positive?

“Non sempre, alcuni macchinari possono falsare il delicato equilibrio che esiste tra lavoro in vigna e quello in cantina. Nella nostra azienda la raccolta si effettua ancora manualmente ma su grandissime estensioni è impossibile per la mancanza di manodopera. I nostri raccoglitori più giovani hanno 60 anni, così sempre più si ricorre alla vendemmiatrice, un macchinario utile ma che rovina gli acini spesso rompendoli. Personalmente sono anche contrario all’utilizzo della macchina ad osmosi inversa, che permette la concentrazione del mosto attraverso l’aspirazione dell’acqua modificando artificialmente il prodotto del lavoro in vigna e alla tecnica della micro ossigenazione che attraverso una candela porosa immersa nel vino e collegata a bombola d’ossigeno accelera il processo d’invecchiamento del vino in un rapporto di cinque anni in una settimana”.

 

Ma un consumatore si può accorgere di questi espedienti, le caratteristiche organolettiche del vino cambiamo? Secondo Riccardo Polzone dell’Associazione Italiana Sommeliers (A.I.S.), sommelie al vino forum per la cantina Ruffino

“La tecnologia ha migliorato la qualità del vino ma non bisogna abusarne. Un medio intenditore può non accorgersi se il vino ha ricevuto micro ossigenazione o se è stato al contatto con i trucioli al posto della botte, tuttavia queste operazioni stressano il vino e ne fanno perdere di morbidezza.

La vigna è un delicato ecosistema in cui ci sono piante utili che se vengono eliminate con i diserbanti, si perde la possibilità di prevenire le malattie che possono attaccarla. Alcuni produttori inseriscono una rosa all’inizio di ogni filare per tenere sotto controllo la salute della vigna, poiché questa è un’ottima cartina tornasole per prevenire le patologie che possono intaccare la salute delle piante. I grandi vini sono pochi perché si basano proprio sul rispetto di tutti questi fattori, il vino non è un prodotto industriale, quando lo bevi devi sentire le piante che ci sono nel territorio, quando un prodotto è fatto in fretta, magari con mosto concentrato, perdi tutti i profumi e le suggestioni di un buon vino”.

 

Nel libro “Vitae di un Vignarolo”, Antonio Cugini 78 anni di cui 70 passati in vigna, racconta lo stretto rapporto tra la vigna e il viticultore, della passione che lo accompagna da sempre per questo mestiere e delle trasformazioni che si sono avute nel corso degli anni.

“I nuovi macchinari hanno aiutato molto i viticoltori ma solo le tecniche si sono aggiornate le metodologie erano già conosciute molti anni fa. Già prima dell’avvento della tecnologia a freddo si scavavano cantine esposte a nord per usufruire dei vantaggi della fermentazione controllata, la differenza è che non si poteva impostare la temperatura desiderata.

 

Personalmente ho nostalgia del vino fermentato con le bucce perché aveva più spina dorsale anche se era meno profumo, potevi farlo invecchiare mentre alcuni dei bianchi di oggi, già dopo un anno non sono più buoni. L’arte della viticoltura sta sparendo, si va avanti solo con la tecnologia, che però non può sostituire la dedizione per questo lavoro. Ad esempio un tempo per la chiarificazione del vino si utilizzava l’albume delle uova. Per ogni botte da 1.000 litri, servivano dalle 30 alle 40 uova. Questo metodo pur se costoso, era e secondo me rimane la migliore soluzione per togliere le impurità, anche perché le proteine e la vitamina C contenuta nelle uova miglioravano anche il vino cosa che non si ottiene con le albumine chimiche. Mi ricordo ancora con nostalgia le abbuffate di decine di frittate di rossi d’ uovo che le famiglie mangiavano nel periodo successivo alla raccolta dell’uva”.

Nell’introduzione del libro di Antonio Cugini c’è una frase che penso possa riassumere il pensiero di chi ha dedicato tutta la vita per sviluppare questa nobile arte “Stiamo attenti, evitiamo di metterci a fare tutti gli impiegati e gli intellettuali, lasciando troppo poca gente a produrre. Le radici di un popolo derivano gran parte dall’agricoltura e dall’artigianato, evitiamo di perderle o di lasciarle in gestione ad altri paesi. I giovani si diano da fare per la salvaguardia della nostra cultura, delle nostre radici, delle nostre tradizioni e nei limiti del possibile rilevino e continuino le imprese familiari iniziate e sviluppate dai loro antenati”.

Fabrizio Zucchini

Ultima modifica il Martedì, 27 Giugno 2017 16:12
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