Le Instabilità dei Mercati Finanziari: Dove sono i Responsabili?

La teoria economica standard.

La teoria classica dell’economia presuppone che i mercati siano in equilibrio poiché la domanda uguaglia sempre l’offerta (1). Secondo questa visione, i movimenti dei prezzi nei mercati sono dovuti a reazioni ad eventi esterni (news) che inducono una modifica di queste forze. Ad esempio, se arrivasse una buona notizia su una certa azienda, si genererebbe un aumento della domanda per i titoli dell’impresa con conseguente aumento del prezzo del titolo in questione. In questa prospettiva, una variazione molto forte del prezzo deve essere conseguenza di cause altrettanto forti. Ci si aspetta in altre parole un rapporto diretto di causa-effetto tra un dato evento e la sua influenza sul prezzo. Questa visione tradizionale dell’economia come situazione d’equilibrio sta però entrando in crisi e si sta profilando una nuova prospettiva in cui i mercati, in certe situazioni, si possono evolvere spontaneamente verso una situazione intrinsecamente instabile. In questo caso, l’evento scatenante diventa irrilevante, mentre il punto chiave è l’identificazione degli elementi d’instablità intrinseca.



Alla ricerca del colpevole.

Il fatto che, secondo la teoria standard, ci dovrebbe essere un rapporto di causa-effetto tra nuove informazioni e repentini cambiamenti dei prezzi, ha stimolato dettagliati studi sulla ricerca delle origini scatenanti per gli eventi più spettacolari dell’economia degli ultimi decenni. Il crash del 1987, la bolla di Internet (dotcom) del 2000 e il recente problema dei subprime sono quindi stati analizzati in grandissimo dettaglio. Il risultato di queste analisi è stato però molto deludente perché non si è riusciti ad identificare nessun’origine condivisa per l’origine di questi eventi (2). A parte questi lo studio di questi eventi speciali, ci sono stati anche analisi dettagliate dell’effetto delle news sull’andamento dei prezzi: il risultato è stato che le news sono essenzialmente irrilevanti. Un fatto notevolmente sorprendente su cui però vanno fatti alcuni commenti di cautela. Le news considerate sono quelle durante il tempo d’apertura dei mercati mentre sembra che le principali news siano annunciate a mercati chiusi. In questo caso le vere news importanti potrebbero contribuire ai cambi di prezzo overnight che usualmente sono dello stesso ordine di grandezza dell’intera variazione giornaliera. In ogni caso la conclusione generale di questi studi è che non è possibile identificare un evento responsabile dei repentini cambiamenti di prezzo, né per i grandi eventi epocali, né per le piccole variazioni di prezzo giornaliere.


Le Fluttuazioni dei Prezzi: Definire Bubbles e Crashes.

Allargando un po’ la prospettiva si può vedere che, a parte i casi eclatanti sopra menzionati, una definizione scientifica e non ambigua di bubbles e crashes non è assolutamente chiara. Se tali casi rappresentano eventi estremi maggiori, eventi similari, seppur meno spettacolari, si possono osservare anche a scale inferiori. In questa prospettiva le deviazioni dalle previsioni della teoria standard dell’economia non corrispondono soltanto a questi eventi epocali, ma avvengono tutti i giorni e danno luogo a quelli che sono definiti come i Fatti Stilizzati delle variazioni dei prezzi. Questi rappresentano le deviazioni dal modello Gaussiano delle fluttuazioni e, in pratica corrispondono a tutte le deviazioni dal modello di Black e Scholes per la valutazione del rischio. I principali Fatti Stilizzati sono costituiti dalle Fat Tails e dal Volatility Clustering. Il fenomeno delle Fat Tails è dovuto al fatto che la valutazione delle fluttuazioni con il modello Gaussiano sottostima gravemente movimenti reali dei prezzi, perchè questi mostrano variazioni inattese a tutte le scale che aumentano di molto il rischio rispetto a quello valutato con i metodi tradizionali. Il Volatility Clustering rappresenta invece una persistenza dei mercati in stati di nervosismo o di calma. Entrambi questi fatti, insieme a vari altri che non menzioniamo qui, rappresentano importanti elementi di deviazione dalla teoria standard ed assumono la massima spettacolarità nel caso degli eventi storici menzionati. Questi eventi di grande impatto però non sono misteriosi fenomeni epocali, ma fenomeni che si manifestano a tutte le scale e devono essere pertanto considerati in qualche modo intrinseci alla dinamica economica.



Una nuova prospettiva: instabilità intrinseca e non cause traumatiche scatenanti.

Questa situazione di crisi del modello standard ha stimolato lo studio di nuovi concetti per l’origine delle fluttuazioni dei prezzi. Una delle linee esplorate in questa direzione è rappresentata dall’importanza del comportamento imitativo (Herding). L’idea di base è che, in assenza di completa informazione, ovvero d’elementi di valutazione certi, il comportamento degli agenti può essere fortemente influenzato dal fenomeno imitativo. Questo può portare a delle vere e proprie ondate di panico che certamente esulano dalla piena razionalità prevista dalla teoria standard. Questa tendenza al comportamento imitativo rappresenta quindi un elemento d’instabilità intrinseca in cui il collasso può essere scatenato da un evento minore o addirittura irrilevante, come una piccola variazione di prezzo che può avvenire per ragioni del tutto casuali, o per qualunque altro fenomeno accidentale. Vediamo che questa prospettiva elimina il rapporto di causa-effetto che è alla base del modello tradizionale.


Un nuovo modello per le fluttuazioni dei prezzi.

La perdita della relazione di causa-effetto e l’importanza delle interazioni tra gli agenti ci conducono in modo naturale nell’area dei Sistemi Complessi (3). Recentemente abbiamo formulato un nuovo modello (4) per l’andamento dei prezzi nei mercati finanziari con l’obiettivo far luce su questi problemi. Il modello è basato su una popolazione d’agenti di due tipi. I Fondamentalisti, che basano la loro strategia sull’esistenza di un prezzo fondamentale di riferimento dato dall’analisi economica classica, puntano sulle deviazioni da questo valore e scommettono sul ritorno verso il fondamentale. I Chartisti invece considerano solo l’andamento del prezzo ed hanno una strategia di trend following, cioè tendono a generare delle instabilità con lo sviluppo di bubbles e crashes. Per questo tipo d’agenti il comportamento imitativo è fondamentale perché la loro strategia avrà successo solo se anche gli altri la seguiranno.
Gli agenti possono cambiare strategia in funzione dell’imitazione e dall’andamento del prezzo rispetto alle relative strategie. Questo modello riproduce i principali fatti stilizzati e permette anche una loro dettagliata comprensione. In questo modo è stato possibile porsi anche il problema dell’auto-organizzazione dello stato critico. Il punto è il seguente: vari modelli ad agenti sembrano riprodurre i fatti stilizzati, ma solo per valori dei parametri del tutto particolari. Dato che i fatti stilizzati sono presenti in tutti i mercati, anche con caratteristiche molto diverse tra loro, ci si può chiedere come mai la dinamica del mercato finisce proprio nello stato dove fluttuazioni dei prezzi sono caratteristiche e comuni a tutti. La risposta è che, dati i parametri d’ogni mercato, il numero effettivo d’agenti presenti sÏ auto-organizza per essere quello critico attraverso un meccanismo di feedback non-lineare basato sul fatto che un mercato con troppi agenti non fornisce una dinamica del prezzo attraente per gli investimenti (troppo stabile). Questo è invece il caso se gli agenti sono pochi. Così il mercato sÏ auto-stabilizza con un numero d’agenti effettivo corrispondente alla dinamica critica e ai fatti stilizzati. Il fatto che abbiamo considerato poco at, traente un mercato molto stabile, può apparire poco realistico rispetto ad investitori che invece apprezzano la stabilità. Nel modello però stiamo cercando di interpretare l’origine dei repentini cambi di prezzo che certamente non hanno dovuto a questo tipo d’investitori. Come stimare il numero d’agenti effettivi in altre parole realmente indipendenti tra loro rappresenta una domanda molto interessante che stiamo studiando. La questione non è banale perché l’effetto di Herding altera sostanzialmente questo valore.


L’importanza del comportamento imitativo (Herding).

Un elemento essenziale della situazione sopra descritta è rappresentato dal comportamento imitativo. Mentre la dinamica degli agenti fondamentalisti è ben descritta dalla teoria economica standard, la situazione è completamente diversa per i Chartisti la cui strategia risulta vincente se prevale un forte comportamento imitativo: una modalità di comportamento completamente indipendente dai canoni tradizionali delle teorie economiche. Il mercato quindi ha una componente tradizionale e un’anomala. I Fatti Stilizzati e gli eventi estremi a loro associati, come le bubbles e i crashes, hanno origine da questa seconda componente che richiede quindi una deviazione dai concetti standard e la considerazione d’elementi essenzialmente nuovi. Ora si può comprendere chiaramente la rottura del rapporto diretto di causa-effetto e l’idea dell’instabilità intrinseca. Un mercato dominato da agenti chartisti e fortemente influenzato da elementi imitativi (Herding) diventa intrinsecamente instabile dove poco conta l’elemento scatenante iniziale.
La paura, il panico e i comportamenti fortemente emotivi corrispondono ad effetti imitativi che esulano dalla teoria economica classica e sono invece gli elementi scatenanti del collassi dei mercati. E’ necessario cercare di monitorare e quantificare questi elementi e considerarli come un punto cruciale dei forti cambiamenti dei prezzi, poiché la propagazione delle opinioni e delle informazioni amplificano i cambiamenti dei prezzi in modo apparentemente irrazionale.


Il Network del Sistema Bancario: Stabilità locale e globale.

La questione dell’instabilità intrinseca che abbiamo discusso si riferisce ad un caso individuale (singolo stock) e va poi inserita nell’intricato network di relazioni tra aziende e istituzioni bancarie. Questo ci porta al problema drammaticamente attuale della stabilità o instabilità del network globale. La questione non è semplice perché le possibili metafore o semplici modellizzazioni di un sistema d’elementi interagenti ci possono portare a conclusioni apparentemente opposte. Ad esempio, nell’effetto domino l’interazione tra i vari elementi del sistema produce l’effetto catastrofico che appena uno di loro diventa instabile porta al collasso di tutti gli altri. Al contrario, l’esempio della cordata alpinistica sembrerebbe far pensare che l’interazione produca una stabilizzazione del sistema complessivo.
Per esplorare questo problema abbiamo costruito un sistema di network composto d’aziende e di banche fortemente interdipendenti (5). Il sistema evolvere spontaneamente con una sua dinamica e fornisce vari tipi d’indicazioni sulla natura e sulla stabilità del network complessivo. Alcune indicazioni preliminari sono già evidenziabili: ad esempio, la forte interdipendenza dei vari elementi (globalizzazione) produce un effetto fluidificante positivo su tutto il mercato. Questo aspetto, che ritroviamo nelle simulazioni del nostro modello, è stato ampiamente argomentato, ma un rovescio della medaglia, finora fortemente sottovalutato, emerge. La condivisione del rischio, come avvenuto nel caso dei subprime, produce, in un primo momento, un effetto d’apparente stabilizzazione, perché chi ha rischiato in modo eccessivo non paga subito le conseguenze. Questo però produce anche l’effetto che non ci si rende conto del problema e non si prendono le contromisure adeguate. Anzi, questa strada appare conveniente perché sembra portare, nel breve periodo, a buoni risultati per chi la persegue. In questo modo però l’intero network si avvicina pericolosamente ad una situazione d’instabilità globale in cui i vari nodi sono molto fragili rispetto al possibile collasso dei loro partners. Si può così vedere che il concetto di situazione intrinsecamente instabile si estende dal soggetto individuale al network complessivo. In questa prospettiva il problema subprime (di dimensioni grandi, ma non planetarie) produce un’instabilità che invece è davvero planetaria perché l’intero sistema si avvicina ad una situazione intrinsecamente instabile. La nostra tesi è quindi che, anche se non ci fosse stato il problema subprime, l’instabilità si sarebbe sviluppata lo stesso con l’occasione di una qualunque altra perturbazione. La vera questione è la natura intrinsecamente instabile dell’intero sistema. Il caso subprime è stato l’elemento che ha destabilizzato l’intero network, provocando una crisi di fiducia con un grande effetto imitativo (Herding) che ha amplificato di molto la perturbazione originale e ci ha portato all’attuale crisi globale.
La conclusione quindi è che la forte interconnessione dei vari elementi di un sistema economico produce vantaggi e svantaggi e solo un’analisi che tenga conto dei vari elementi contrastanti può dare indicazioni sul loro bilanciamento ottimale. Questa analisi richiede però di superare la visione economica tradizionale e di dare ampio spazio agli elementi che abbiamo qui discusso come lo sviluppo di situazioni d’instabilità latente, l’abbandono del rapporto meccanico di causa-effetto, l’attenzione ai fenomeni imitativi (Herding) e infine lo studio della stabilità del network rispetto al collasso di alcuni suoi elementi.


Conseguenze pratiche e proposte concrete.

Questa nuova visione ha importanti conseguenze sia teoriche che pratiche: la nostra modellistica ad agenti permette un’analisi quantitativa del fenomeno che può essere sviluppata in varie direzioni. Una è di cercare di ricostruire, dall’andamento dei prezzi, la composizione delle strategie degli agenti operanti sul mercato. Questa analisi potrà fornire una valutazione del tasso di instabilità del mercato stesso.
Un test importante, e di natura più generale, è poi lo studio d’elementi imitativi rispetto alle varie dinamiche dell’economia, ma anche d’altri fattori che influenzano l’economia stessa seppur usualmente trascurati dalla teoria standard. Questo studio quindi può essere condotto sia su dati economici, ma anche su dati sociali di varia natura e probabilmente di più facile accesso. In presenza di informazione limitata, le opinioni su un dato problema risultano spesso “confuse” e questo può generare il comportamento imitativo che abbiamo discusso. Ci proponiamo quindi di esplorare questa nuova prospettiva per lo studio della stabilità od instabilità dei mercati esaminando la questione da varie prospettive.
Infine analizzeremo ulteriormente la questione della stabilità dell’intero network interconnesso che richiede una visione radicalmente diversa da quella tradizionale. Questi elementi andrebbero considerati come fondamentali se si vuole avere un reale monitoraggio della situazione complessiva. Da questo punto di vista l’attuale controllo delle banche centrali appare del tutto inadeguato alla complessità della struttura attuale. In genere questo è finalizzato al controllo dell’inflazione che è certamente un elemento importante. Mantenere i tassi d’inflazione “troppo” bassi però, può produrre un effetto di leverage che addirittura amplifica il meccanismo sopra descritto. E’ quindi essenziale porsi anche il problema del pericolo del comportamento imitativo e quello della stabilità del network. In questa prospettiva la scienza dei sistemi complessi può fornire utili elementi alla teoria economica.


Riferimenti bibliografici:

  1. M.Goodfriend e R.G.King, “The New Neoclassical Synthesis”, NBER Macroeconomics Annual, 1997.
  2. New Scientist editorial: Why economic theory is out of whack, 19 Luglio 2008.
  3. L.Pietronero, Complessità e altre storie, Di Renzo Editore, Roma 2007.
  4. V.Alfi, L.Pietronero e A.Zaccaria, Minimal Agent Based Model for the Origin and Self-organization of Financial Markets, preprint 2008 (arXiv:0807.1888).
  5. D.Delli Gatti, M.Gallegati, B.Greenwald, A.Russo, e J.E.Stiglitz, Financially Constrained Fluctuations in an Evolving Network Economy, NBER working paper, n.14112, June 2008.
  6. D.Delli Gatti, E.Gaffeo, M.Gallegati, G.Giulioni, e A.Palestrini, Emergent Macroeconomics, Springer, Berlino, 2008.

 

*Dipartimento di Economia, Università Politecnica
delle Marche, Ancona

**Dipartimento di Fisica, Università di Roma La Sapienza e
Istituto dei Sistemi Complessi, CNR  Roma

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COMMENTI
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Commenti a: “Le Instabilità dei Mercati Finanziari: Dove sono i Responsabili?”

Di seguito abbiamo ordinato le e-mail relative all’interessante discussione che si è accesa dopo la pubblicazione dell’articolo di Mauro Gallegati e Luciano Pietronero Le Instabilità dei Mercati Finanziari: Dove sono i Responsabili? del 28 settembre 2008

14 ottobre 2008 10.11.00

ho letto il testo sull'instabilità dei mercati finanziari. Ti segnalo alcune mie riflessioni.

Il crollo del nesso causa-effetto tra un evento e l'influenza sui prezzi. Sebbene sia in qualche modo vero che tutti noi reagiamo a degli stimoli, è tuttavia anche vero che non sono solo gli stimoli a determinare le nostre reazioni, il contesto ad esempio è fondamentale. Più volte ho sostenuto che l'atomo si comporta come può, l'atomo sociale si comporta come vuole, quando può!

In un recente libro di Mark Buchanan (L'atomo sociale, Mondadori, 2007) c'è un capitolo, il quinto, interamente dedicato al comportamento imitativo. In sostanza, citando Aristotele, si sostiene che "In questo l'uomo si differenzia dagli altri animali, perché è quello più proclive ad imitare" (Poetica, I,5). Ora, senza essere così drastici io credo che il comportamento imitativo sia una componente essenziale ma di non facile declinazione. Mi spiego. Si può mettere in evidenza che il comportamento imitativo ha diverse motivazioni e finalità al tempo stesso: ad esempio può essere uno strumento d'apprendimento quando siamo privi d'informazione (apprendimento sociale), può essere un comportamento strategico (free riding informativo) sia per farsi accettare dal gruppo sia per condividere il rischio (come riportate nel vostro articolo). Buchanan però dice che "L'imitazione non spezza realmente il nesso fra causa ed effetto; sembra soltanto farlo", io non sono molto d'accordo su questo punto e credo invece che abbiate ragione voi: il nesso causa-effetto cade per via dell'instabilità intrinseca che proprio si genera a partire dal comportamento imitativo, o almeno questa è una buona spiegazione nel caso dei mercati finanziari: il discorso su un mondo di chartisti mi pare quanto mai convincente. Benché io condivida si potrebbe obiettare: che fare dell'eterogeneità, non è più la chiave di lettura? Bhè si può dare un sistema di agenti eterogenei perfettamente stabile, l'eterogeneità non è fonte d'instabilità, al più è causa di transizione da un equilibrio ad un altro: gli agenti possono essere enormemente differenziati sotto tanti profili ma il sistema (ensemble statistico) che essi compongono può trovarsi in condizioni stabili (equilibrio statistico) benché non immutabili (transizioni e cicli).

Si diceva poi che il contesto è fondamentale. Per contesto possiamo anche intendere il network e trovo molto importante quanto dite: "il concetto di situazione intrinsecamente instabile si estende dal soggetto individuale al network complessivo". Lo trovo molto importante perché non sono solo i fenomeni time dependent ad essere importanti, non basta studiare la dinamica di centinaia di serie storiche fra loro cointegrate per prevedere la dinamica d'un mercato o cose simili: senza l'effetto diffusione non si può capire il "perché" ma al più il "come", se non solo il "quando". Non conta solo il tempo, c'è anche lo spazio e lo spazio può essere quello metaforico di un network. Per la cronaca, nel nostro libro questo viene fuori quando trattiamo dei campi aleatori spazio-temporali (in questo ambito ci siamo anche dotati di un minimo strumentario sui reticoli).

Un altro punto importante mi pare sia la spiegazione del perché certa instabilità sia intrinseca: "Questi eventi di grande impatto però non sono misteriosi fenomeni epocali, ma fenomeni che si manifestano a tutte le scale e devono essere pertanto considerati in qualche modo intrinseci alla dinamica economica".

Ecco, magari non è proprio vero, o almeno non è così facile dimostrare, che i fenomeni economici abbiano, per così dire, una "risoluzione di tipo frattale", ma comunque penso che abbiate ragione nel dire che certi fenomeni si ripropongono un po' a tutte le scale. Ma se questo è vero allora deve in qualche modo esistere una struttura di fondo ed il discorso sull'instabilità può condurre in qualche modo ad una legge di carattere universale, ma relativistica.

Mi spiego: non intendo una legge come quella di attrazione gravitazionale che è immutabile e vale allo stesso modo ovunque, questo no. Intendo una legge che proponga una struttura di fondo, come fosse un sistema di riferimento, che però si differenzia a seconda della massa critica degli agenti (individui, imprese, banche, nazioni, etc.) e del tempo di rilassamento delle interazioni: non credo che l'orologio che misura il tempo delle interazioni microscopiche sia anche adatto per quelle fra agenti macroscopici.

In questo frangente, laddove dite "È quindi essenziale porsi anche il problema del pericolo del comportamento imitativo e quello della stabilità del network" credo che abbiate bene identificato la struttura di fondo: basta quindi con l'equilibrio di forze (o come voi dite, il nesso causa-effetto)…è ora di studiare la stabilità dei sistemi. (Vedi l'ultimo lavoro di Stiglitz & co., appena uscito, "Stabilità non solo crescita", Brioschi, 09/2008).

Nel complesso sono convinto che quanto scrivete sia molto innovativo e credo che le giovani generazioni di economisti lo leggeranno con interesse e magari ci ricaveranno su qualche idea. A me piace molto la vostra conclusione generale "non è possibile identificare un evento responsabile dei repentini cambiamenti di prezzo, né per i grandi cambiamenti epocali, né per le piccole variazioni di prezzo giornaliere". Lo trovo molto vero, io penso infatti che si debbano ricavare delle leggi per capire come si comportano le strutture di eventi piuttosto che gli eventi singolarmente. D'altra parte questo si riconduce anche all'insegnamento di Aoki, specie nel libro del 2006.

sl
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13 Ottobre 2008 18:42:23

ho letto il vostro articolo e lo condivido completamente. Sarebbe
interessante approfondire il fattore "herding" sia sul piano di un
modello probabilistico sia anche sul piano della psicologia sociale
(psicologia di massa). Il panico è di per sé un concetto che implica
la presenza di imitazione irrazionale con effetti cumulativi, ma non è
stato mai analizzato a fondo come fattore economico.

cp


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13 Ottobre 2008 15:46:38
                                                                                        
bello e chiaro il pezzo avrei solo un paio di suggerimenti, anzi tre:

1) Unire l'argomentazione di papà Minsky a quella dei mutui e quindi
dei prezzi dei collateral.
Magari quando dite che poteva succedere questo patatrac anche senza la
crisi dei sub-prime
...quando le cose vanno bene le banche pompano il credito e poi
bastano alcuni eventi sufficientemente negativi per bla bla…..

2) Sottolineare bene che la gaussiana e le distribuzioni fat tail non sono
empiricamente troppo dissimili nella parte centrale. La gaussiana può
essere una non troppo brutta approssimazione per gli eventi normali, ma diventa
clamorosamente sbagliata in quelli estremi...tanto da far erroneamente
pensare che, come avete detto, questi siano riconducibili a cose esogene
o a leggi diverse!

3) La gente che scappa dalla borsa non è sempre irrazionale ... è un
problema di asimmetria informativa. Io metterei l'esempio di un tizio
che ti entra a lezione e dice "al fuoco al fuoco!" e sembra
credibile...è così irrazionale scappare?

"La teoria della relatività contiene gravi errori formali ... non è
stata presentata in marca da bollo ed in doppia copia!!!" :-)

ap

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12 Ottobre 2008 19.36.00

Ho letto il pezzo e trovo che contenga delle idee interessanti, soprattutto perchè delinea un programma di lavoro basato su poche ipotesi comportamentali ben selezionate e consente di vedere fino a che punto spiegano i fatti osservati. Ne riparleremo senz'altro in ambito PRIN.

Per quanto riguarda nel merito, come si può immaginare, così è un po' troppo teorico. Potrebbe andar bene, invece, una riflessione, tra le tante cose che non hanno funzionato, sull'evidente gap (riconosciuto da molti operatori stessi) che si è creato tra sofisticazione tecnica, competenza e informazione sui mercati finanziari. Le regole e le istituzioni si possono cambiare, i nostri limiti cognitivi e informativi no. Fino agli anni '60 il 70% degli incidenti aerei era dovuto a problemi tecnici e strutturali. Oggi è dovuto a errori dei piloti (in presenza di combinazioni di situazioni critiche; se se ne presenta una alla volta, se la cavano).

rt
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12 Ottobre 2008 18:39:12

Ho letto il vostro intervento. Non sono un esperto dei modelli agent-based, ma sono convinto che il loro utilizzo possa essere proficuo per la macroeconomia.
Per quanto riguarda il vostro giudizio sull'attuale crisi (La condivisione del rischio, come avvenuto nel caso dei subprime, produce, in un primo momento, un effetto d'apparente stabilizzazione, perché chi ha rischiato in modo eccessivo non paga subito le conseguenze. etc.) lo condivido pienamente. Aggiungo un commento a sostegno di quanto voi dite. La mia impressione è che la tesi difensiva avanzata ad esempio da Alesina e Giavazzi qualche mese fa (secondo cui le cartolarizzazioni sono comunque un bene, perchè sfruttano il vantaggio consentito dalla globalizzazione dei mercati di accrescere  la suddivisione del rischio) dimentica di considerare il motivo per il quale - a partire da Rotschild-Stiglitz '76 - sosteniamo che le assicurazioni private non funzionano come mutual risk insurance, a meno di discriminare gli high-risk. Il piazzamento dei derivati dai sub-prime non ha discriminato nessuno (dalle banche commerciali alle banche d'affari li hanno comprati tutti) e quindi la suddivisione del rischio nel lungo periodo ha  avuto un effetto destabilizzante, in quanto anche le banche high-risk (meno capitalizzate) li hanno comprati con la conseguenze che vediamo. Accanto all'effetto herding, credo che anche l'eterogeneità di fronte al rischio vada considerata.

ff
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12 Ottobre 2008 09:42:35

                    ho trovato veramente molto interessante ciò che avete scritto e penso che sia molto utile diffondere l’impostazione teorica che voi propugnate. Concordo con la vostra analisi, Vorrei fare alcune osservazioni.
1. Concordo molto con l’opinione che vi sia sufficiente prova per ritenere che la distribuzione rilevante per descrivere l’andamento dei prezzi sia una fat tail e che pertanto le oscillazioni possono avere luogo su tutte le scale.
2. Non sono convinto, invece, che la teoria (neo-classica) fornisca una buona descrizione dei fondamentali.
3. Sono convinto che anche gli agenti più razionali (limitatamente tali) incontrino ciò che può essere definito il limite della complessità con il crescere della dimensione del sistema (nel caso in questione finanziario). Poiché il sistema è fortemente connesso, l’interazione tra gli agenti richiede un coordinamento , ossia la coerenza tra un nodo e tutti gli altri, che se misurato con il numero degli aggiustamenti necessari scala in modo esponenziale con il numero delle connessioni (ciò, per esempio, può generare entropia nel senso di Shannon). Da qui anche gli agenti più fondamentalisti che ‘guardano’ l’andamento dell’economia reale possono essere soggetti a ‘confusionè e perciò incertezza radicale che li induce a comportamenti imitativi.
4. La parte che discute la numerosità degli agenti per cui il sistema raggiunge lo stato critico mi pare fondamentale ma forse merita una spiegazione più estesa.
5. Penso che l’instabilità del sistema sia anche determinata dalla struttura (architettura) della rete delle connessioni. Una rete casuale è un sistema molto connesso ma la trasmissione di uno ‘shock’ che certamente si riverbera su tutto il sistema può essere assorbita senza eccessivi danni. Una rete con una distribuzione delle connessioni con alcuni ‘hubs’ e molti ‘spokes’ è molto instabile. Credo che ciò sia implicito nel vostro ragionamento ma se è così vale la pena sottolineare questo aspetto perché credo che il sistema finanziario sia strutturato proprio in questo modo.
6. Un punto finale riguarda la relazione tra interazione locale e interazione globale. L’instabilità globale può essere il risultato proprio di questa relazione. La diffusione del rischio che ha luogo per effetto dell’interazione locale (la confezione di titoli compositi sottoscritti e a loro volta ricollocati in altri pacchetti moltiplicando il debito) crea un effetto globale di indebitamento (debt overhang) o effetto Minski che genera aspettative di rischio eccessivo che si diffondono su tutto il sistema. È sufficiente a questo punto che un nodo chieda la chiusura di una relazione di debito perché il sistema diventi instabile. Forse può interessarti un recente ‘paper’ che ho scritto con Rainer Andergassen e Franco Nardini in cui esploriamo questa relazione in un contesto diverso, quello dell’attività di innovazione di imprese, e gli effetti sulla crescita. (“Innovation and Growth through local and global interaction”, http://www2.dse.unibo.it/wp/637.pdf). Se pensi che sia di qualche interesse Rainer ed io potremmo fare un seminario da voi quando vorrai.

mr
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11 Ottobre 2008 19:53:44

0. La teoria economica standard
Non sono sicuro di avere ben compreso la vostra prima affermazione secondo cui per la teoria economica classica  i movimenti dei prezzi nei mercati sono dovuti a reazioni ad eventi esterni. Dal punto di vista della teoria economica standard (che io considero la microeconomia neoclassica) mi sembra che le variazioni nei prezzi sono spiegate non tanto facendo riferimento  a informazioni, ma a cambiamenti nel reddito (domanda) o nella produzione (offerta) che con difficoltà considererei come eventi esterni.
Per quanto riguarda poi la teoria economica classica in senso stretto (Smith, Ricardo, Marx) le cose stanno diversamente. Se chi produce il “di più” di valore delle merci - che entrano nel processo di produzione come materie prime e semilavorati per uscirne valorizzate – non riceve come reddito questo “sovrappiù” che appartiene di diritto a soggetti (banche-imprese) che possono o non reimpiegarlo nel processo di produzione, ecco che si apre la strada a una comprensione della instabilità strutturale che è completamente endogena al sistema, dal momento che i percettori di redditi da lavoro non hanno la possibilità di acquistare la merce al prezzo di vendita che contiene il profitto mentre i percettori di redditi da capitale possono impiegare altrove (in attività finanziarie) il plusvalore ottenuto. E così l’equilibrio non può esistere per definizione e la crisi appare come finanziaria ma ha radici reali.

1. Alla ricerca del colpevole
Il passaggio dall’esempio iniziale che riguarda i mercati reali ai mercati delle attività finanziarie [mi rendo conto che è una bozza] sembra un po’ “brusco”: credete che esista una differenza tra le modalità di funzionamento dei due mercati o no?

2. Le fluttuazioni dei prezzi: bubbles e crashes
Totalmente d’accordo con voi, con una piccola osservazione “ad adiuvandum”, rimandando a un paragrafo di “Salvataggi e fallimenti del capitalismo” per una discussione più approfondita dell’argomento.
L’osservazione attiene alla necessità – secondo me – di considerare il rapporto che esiste tra la fase della produzione e quelle della circolazione del capitale, nella sua forma di capitale merce. Nel circuito D-M-D’ la prima e l’ultima fase (l’apertura e la chiusura del circuito) sono quelle in cui avviene circolazione di denaro, movimento di denaro ed è proprio nella fase della circolazione che si realizza quella trasformazione del denaro in capitale che pur avviene nella fase della produzione. In M il denaro è stato già anticipato sotto forma di spesa in capitale produttivo (macchine) e capitale variabile (salari per la forza lavoro) e dunque nella fase della produzione in senso stretto non circola denaro, ma circolano materie prime, semilavorati ed energia lavorativa; da qui la necessità per il capitale (che guadagna solo quando il denaro si muove) di comprimere al massimo il tempo di produzione. Questo comporta [assieme ad altri fenomeni su cui non insisto qui] la tendenza ad un ruolo più importante della circolazione rispetto alla produzione; con le innovazioni tecnologiche continue [abbrevio] la velocità di circolazione cresce e questa è (di nuovo) la (una) radice reale possibile dell’aumento della volatilità.

3. Una nuova prospettiva
Lo dite dopo, ma io anticiperei qui il tema a mio avviso centrale per rappresentare l’importanza del comportamento imitativo: l’interdipendenza, la cui sottovalutazione è uno dei buchi più clamorosi della prospettiva economica dominante (in crisi). Gli effetti di un evento anche piccolo, minore, vengono amplificati da un comportamento imitativo, ma a loro volta i comportamenti imitativi (secondo me, of course) crescono di importanza grazie all’aumento dell’interdipendenza. È l’effetto rete, le economie di rete. Sicché interdipendenza vs. indipendenza, con una piccola aggiunta che mi riservo per dopo.

4. Un nuovo modello
Questo, che immagino sia il cuore del vostro lavoro, mi sembra davvero molto  interessante e pienamente condivisibili le vostre ipotesi, anche perché pure in questo caso una parte almeno della teoria classica (Marx, ma non solo) trova radici endogene strettamente economiche nella tendenza alla concentrazione prima e alla centralizzazione poi del capitale.

5. L’importanza del comportamento imitativo
Naturalmente, ancora d’accordo, ma stavolta tirerei fuori la piccola aggiunta cui facevo cenno sopra. Secondo me potrebbe essere utile caratterizzare anche un altro (l’altro) possibile comportamento, quello di distinzione. Giocare sulla coppia imitazione/distinzione [lo sto facendo io stesso in un diverso contesto, più “micro”] aiuterebbe – credo – a capire perché, in determinati contesti (quello finanziario, non a caso) il comportamento vincente non è sempre quello imitativo (mica la borsa crolla tutti i giorni, anche se è drammaticamente vero che una sola settimana – questa – brucia il valore (fittizio) di un quarto del totale) ma quello di chi gioca un minority game, in cui vinci se sei in minoranza. Su questo punto la letteratura è copiosa, ma immagino che la conosciate più e meglio di me.

6 Il Network del sistema bancario
Siamo alla “ciccia”. Cominciando dal vostro primo paragrafo, non sarei così sicuro che l’esempio della cordata alpinistica sia appropriato; dico non ne sono sicuro, ci voglio riflettere meglio, ma non vado in montagna, sicché mi fido di quanto dite.
 Nel secondo paragrafo, invece, parlate – correttamente a mio avviso – della condivisione (secondo me è delocalizzazione, trasferimento, ma in ogni caso è sempre la fase della circolazione che non crea ricchezza nuova, ma la ridistribuisce) del rischio che produce un effetto di apparente stabilizzazione, perché chi ha rischiato in modo eccessivo non paga subito le conseguenze. Beh, cari Mauro e Luciano, magari! Nel caso che stiamo vivendo (la fase attuale della crisi) alcuni soggetti non è che non pagano subito, ma pagano dopo, se sono riusciti a sbolognare i debiti tossici (bella metafora, andrebbe sostenuta) questi l’hanno sfangata (scusate il linguaggio poco scientifico). Voi scrivete: il concetto di situazione intrinsecamente stabile si estende dal soggetto individuale al network complessivo; immagino che si tratti di una questione di linguaggio sintetico in una bozza. Io direi che il concetto, la categoria di instabilità strutturale è per sua natura “scale-free”, sicché è il sistema economico capitalistico ad essere intrinsecamente instabile (per me, lo si capisce meglio partendo dalla sua parte reale, di cui quella finanziaria costruisce solo un’articolazione) e lo dite un paio di righe dopo con molta chiarezza, ma insisterei ancora sulla faccenda dei legami che i vari nodi hanno.
Io non so se andrà proprio così (cross the finger) ma se l’economia italiana è finora meno colpita dalla crisi è proprio perché in questo caso l’estrema frammentazione del tessuto produttivo (le piccole e medie imprese, le banche poco “globali” tranne un paio) fa sì che l’effetto contagio si faccia sentire meno (o meno in fretta): tanti nodi piccoli con pochi legami piuttosto che pochi nodi grandi (hub) con legami estesissimi. Sicché il sub-sistema del sub-prime è solo una spia, la palla di neve che provoca la valanga (e la cordata? Bah..)
 Da questo punto di vista parlare come fate voi alla fine del paragrafo di “vantaggi e svantaggi” è corretto, ma io non darei “giudizi”: l’interdipendenza è un fatto, poi se hai una banca islamica con alcuni legami in meno, magari ti va meglio.

8 Conseguenze e proposte
Qui, all’inizio rimane l’idea di studiare elementi imitativi, ma anche di distinzione, ma soprattutto non mi è ben chiaro come intendete far giocare il fattore informazione e la razionalità limitata. Sono le opinioni “confuse” che possono generare il comportamento imitativo? Non ne sarei così sicuro, o almeno non mi sembrava questo il filone principale del ragionamento.
Sui tassi bassi e la leva alta, sono totalmente daccordo, ma non dobbiamo dimenticare che l’effetto rete gioca in tutti i casi, a meno che [punto numero 9?]
Non esista una asimmetria nelle funzioni di rischio, che dipende direttamente da caratteristiche istituzionali del sistema. Finché fai profitti, va tutto bene, se incorri in perdite, interviene la mano pubblica e ti salva
Ma così non vale, oltre che instabile, quella del capitalismo è una partita truccata. Non vi pare?

md
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10 Ottobre 2008 17.44

Sono del tutto ignorante della letteratura di macroeconomia dinamica nella quale si inserisce la vostra riflessione e quindi riesco a percepire i vostri sforzi di offrire una rappresentazione stilizzata e semplice di un problema complesso solo con occhi molto annebbiati e solo molto da lontano.

Pur consapevole della mia inadeguatezza, non mi sottraggo alla vostra sollecitazione e provo a comunicarvi le mie reazioni alla lettura del vostro testo. Mi sembra che voi suggeriate di cogliere, in ultima analisi, il punto chiave per l'identificazione degli elementi di instabilità intrinseca nelle cause della diffusione di un comportamento imitativo.

Nella prospettiva della ricerca delle "cause", mi viene da pensare che qualcosa di analogo alla nozione di comportamento imitativo (che però forse può andare più a fondo rispetto alla enucleazione di un elemento di "fatto") possa essere colto nella circostanza che, in contesti sociali "complessi", il risultato dell'elaborazione razionale di una guida all'azione consiste spesso, direi in modo "naturale", nell'emergere di precetti condivisi, che hanno una sostanza di razionalità, anche se assumono l'apparenza semplice di "routine" (non tanto nel senso di routine che si concretano nei programmi che gli uomini scrivono per le macchine di cui si servono, quanto soprattutto nel senso di rappresentazioni e routine mentali, cioè di modi di leggere la realtà circostante e al contempo di rispondere alla pressante domanda "pratica"). Così in fondo puoi intendere, in una prospettiva solo in parte diversa, tanto le norme sociali, quanto le stesse norme giuridiche: le quali possono essere interpretate come la soluzione razionale di un determinato problema sociale; di modo che il singolo individuo, non solo trova razionale adeguarvisi (per "timore" dei meccanismi esterni di enforcement) ma, anche quando volesse interrogarsi in modo sofisticato sulla loro razionalità, non potrebbe che convenire con esse (come il Socrate del Critone che "conviene" perfino con la giustezza del suo mite partecipare alla sua condanna a morte).

No, non intendo suggerire di modellare gli agenti economici a immagine del Socrate del Critone! Intendo però sì suggerire che dietro l'herding possa esservi più "razionalità" di quanto voi non lasciate supporre attraverso la distinzione tra "fondamentalisti" e "chartisti". Il che però dà la stura a una sfida intellettuale più grande: che forse c'è qualcosa che appartiene al "fondamentale" - o, meglio, a una avvenuta modifica del "fondamentale" - che occorre cogliere.

Qui (immaginando dal titolo del testo che intendiate parlare dell'astonishing che il presente sta generando nella nostra professione) provo a fare un salto, avventurandomi in un campo, la finanza, con la quale, come con la macroeconomia dinamica, ho altrettanta poca dimestichezza.

Gli strumenti finanziari derivati, con i quali gli operatori finanziari hanno dato operatività al modello "originate and distribute", hanno reso possibile, e a poco a poco nascosto, uno scambio "impossibile": il trasferimento del rischio di credito. Analizzato in isolamento, il trasferimento del rischio di credito non è un prodotto per il quale riusciremmo a pensare a un mercato: il prezzo di riserva del venditore, che ha maggiore informazione del compratore, è intrinsecamente superiore al prezzo di riserva del compratore. Come è possibile che crediti cartolarizzati abbiano potuto essere venduti su un mercato appare a me la grande incognita della finanza degli ultimi venti anni.

Certo, conosco le obiezioni: che il rischio di credito, in crediti collateralizzati come i mutui, è trascurabile; che effetti di portafoglio e di pooling dei rischi possono spiegare l'esistenza di prezzi di riserva del compratore più alti. Ma, a poco a poco, sono stati fatti entrare nel gioco anche crediti con grado di collateralizzazione inferiori al 100%, dapprima per l'estensione del credito al consumo e poi per l'andamento erratico del valore del collaterale. Si è però, soprattutto, continuato a immaginare che, anche nelle nuove condizioni che venivano via via determinandosi, c'era un effetto assicurativo che poteva coprire il valore del deficit informativo del compratore rispetto al venditore (il che in principio può essere vero) e - questa è la mia supposizione - questo richiamo all'effetto assicurativo è diventato schema mentale, "routine": ogni successivo acquirente razionalizzava la sua scelta con l'argomento che "è vero che sto acquistando un rischio che dovrei prezzare di più del mio venditore, ma, diluendolo nel mio portafoglio posso ottenere un margine che può superare la differenza tra i premi al rischio". Questo processo è stato moltiplicato pressoché all'infinito: l'esito di uno scambio assicurativo è diventato l'oggetto di uno scambio riassicurativo, e via via a catena.

Concludo rapidamente: l'idea che, nel vagolare comune tra le nebbie, mi sono fatto è che forse c'è un "fondamentale" che ha retto il modello e che ha razionalizzato i comportamenti dei soggetti che in base a quel modello hanno preso le proprie decisioni: l'infinita possibilità di un effetto assicurativo che si accompagnava, rendendolo posibile, a uno scambio intrinsecamente impossibile. E questo fondamentale è saltato.

Grillo Michele
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10 Ottobre 2008, 15:53:55

ho letto l'articolo che trovo molto chiaro come contributo di divulgazione. Penso infatti che l'abbiate scritto con questo intento.
Sono sempre più convinto che il problema: N-dependence, cioè la dipendenza dei fatti stilizzati dal numero di agenti sia cruciale, non solo nella modellistica dei mercati finanziari, ma in tutti i modelli ad agenti. N infatti è un parametro sempre presente: un modello ad agenti deve essere composto da sub-unità che si possono sempre numerare.
 
Stiamo lavorando qui a Kiel sul problema del numero di agenti in una direzione diversa da quella di Luciano. Con Luciano sono d'accordo che il problema "non è banale". Non sono pero' d'accordo con il meccanismo che ha proposto. L'idea di una self-criticality sul numero di agenti mi sembra artificiale. Infatti anche nell'articolo che avete scritto, questo aspetto è sottolineato. L'aumento del numero di agenti che tratta nel mercato non è affatto correlato con un aumento della stabilità (vedi quello che sta succedendo in questi giorni).
 
Sono invece assolutamente d'accordo con te nel focalizzare l'attenzione sulla "struttura" del mercato, sul network che sottende le interazioni tra i soggetti. La self-organization, infatti, puo' osservarsi nell'emergere di network gerarchiche. All'eterogeneità di comportamento o di startegia (per esempio la semplice dicotomia fondamentalisti-chartisti) si affianca una eterogeneità strutturale, che diventa, insieme alle interazioni tra gli agenti, un elemento fondamentale per la comprensione del funzionamento dei mercati come sistemi complessi.
 
Nel nostro modello abbiamo introdotto una network gerarchica. Immagina di essere un piccolo trader che deve investire una piccola quantità di denaro. La regola d'oro che un trader deve seguire è la diversificazione del rischio, diversificando su più investimenti (azioni, bonds, real estate ecc.). Oviemnete l'operazione di diversificazione ha dei costi che possono incidere notevolmente sul ritorno dell'investimento (costi di transazione, tempo, informazione ecc..). C'è quindi la tendenza alla aggregazione del denaro nelle mani di un numero più ristretto di persone (i fondi, le banche d'affari ecc...) che consentono anche al piccolo investitore l'accesso al mercato globalizzato a costi ridotti (economia di scala) a fronte di una certa commissione. Si crea quindi una riduzione della dimensionalità del sistema, da una moltitudine di piccoli investitori, a un gruppo più piccolo in termini di numero, ma enormemente potente in termini di denaro gestito. La self-organizzazione in una network gerarchica è quindi basata sull'economia di scala nell'accesso alla diversificazione del rischio nel mercato globale. E questo crea una eterogeneità strutturale (nel nostro modello followers versus core agents)
 
Il rischio idiosincratico dei singoli investitori, a livello aggregato viene gestito da un numero ristretto di istituzioni. L'effetto perverso del sistema nasce quando l'herding si instaura tra istituzioni, quando queste si coordinano in uno stesso comportamento, seguendo una medesima strategia o una comune tendenza. Un certo grado coordinazione è resa più semplice dal fatto che le istituzioni che "controllano" gran parte del denaro sono relativamente poche rispetto alla gran massa degli investitori. L'effetto risultante è una trasformazione del rischio idiosincratico e, in teoria, eliminabile a livello aggregato con una corretta differenziazione, in rischio endemico, e quindi ineliminabile. Anche noi arriviamo alle tue stesse conclusioni, che ad una supposta stabilità locale, fa da contraltare una maggiore fluttuazione globale, per lo meno quando si instaura un comportamento di coordinazione tra le istituzioni. L'eterogeneità strutturale è cruciale per capire la complessità del sistema.
 
Con questo modello siamo riusciti a risolvere il problema della dipendenza dal numero di agenti, introducendo una eterogeneità comportamentale (e.g. pessimists and optimists), associata ad una eterogeneità strutturale (followers - core agents). Da un punto di vista della ricerca accademica, la dicotomia fundamentalists-chartists è sufficiente a riprodurre i fatti stilizzati. Tuttavia offre una spiegazione parziale alla complessità dei mercati: Io credo che deve essere associata a una eterogeneità strutturale, che ancora non è compresa a sufficienza.
 
IL vostro articolo è assolutamente chiarissimo nell'esprimere in una prospettiva generale questi concetti. Eventualmente un mio suggerimento è sottolineare l’assoluta necessità della presenza contemporanea delle interazioni associate ad una eterogeneità strutturale e di comportamento come elementi chiave per una migliore comprensione dei sistemi economici e sociali in questo nuovo paradigma di ricerca.

sa
 
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10 Ottobre 2008 15:12:12

Ecco i miei commenti.

A. Principali difficoltà

1. l'affermazione che i fenomeni finanziari si verifichino a tutte le
scale non è del tutto esatta. C'è un breakdown naturale dello scaling
verso tempi piccoli, se vuoi ti mando una figura che illustra questo punto
su dati veri.

2. si possono riprodurre parecchi fatti stilizzati senza imitazione e con
pochi agenti fondamentalisti. A questo proposito vedi:

The value of information in a multi-agent market model
The luck of the uninformed

3. Il problema è che i fatti stilizzati riguardano soprattutto la distribuzione a un punto p(x,t) e le correlazioni a due punti (medie del tipo E(x(t_1) x(t_2))) che non sono sufficienti a
caratterizzare un processo stocastico e quindi ci sono un'infinità di
processi che danno risultati analoghi. Purtroppo il fatto che un numero
finito di osservazioni empiriche siano in accordo con un'ipotesi non ci
dice nulla sulla verità dell'ipotesi.

4. Perchè ce l'avete così tanto con il principio di causalità? I modelli che voi usate non lo violano mica ....


C. In summary

5. I fatti stilizzati non possono essere usati per corroborare modelli
basati sull'imitazione perchè sono in accordo anche con modelli che non
prevedono imitazione. Tra parentesi, questo, secondo me, si vede anche
dagli esperimenti di Huber e Kirchler che mostrano come agenti (umani) che
interagiscono solo tramite il mercato e non comunicano direttamente. Le
simulazioni mostrano che bastano agenti razionali per riprodurre molti dei
fatti stilizzati. Tuttavia, l'ipotesi che i fenomeni imitativi abbiano un
ruolo nelle bolle speculative (uso il termine bolla per indicare un
generico spostamento dei prezzi dai fondamentali) è ragionevole. Nella
sua tesi, Gilles Daniel ha studiato le idee di Orleans che si basano su
riflessioni relative al beauty ocntest di Keynes. A giudizio di Orleans,
gli agenti nei mercati si focalizzano non tanto sui fondamentali
razionali, ma su credenze condivise relative a tali fondamentali. Test
empirici di questa ipotesi non dovrebbero essere impossibili. La tesi di
Gilles è on-line a http://gillesdaniel.com/PhD.html

P.S. Ci sono anche punti sui quali sono d'accordo come quando scrivete che
le banche centrali sono inadeguate a gestire la complessità della
struttura attuale.

P.P.S. Date un'occhiata a http://arxiv.org/abs/0809.0151 pubblicizzato su
Internazionale in edicola oggi.

"Sedulo curavi humanas actiones non ridere, non lugere, neque detestari,
sed intelligere" Baruch Spinoza, Tractatus Politicus, (Opera Posthuma), Amsterdam, 1677

es

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9 Ottobre 2008,  19:59:27

Ho trovato molto interessante la vostra proposta analitica, anche se, come
cercherò di giustificarmi, mi è sembrata che vi condizioni nel momento
interpretativo della crisi attuale (aspetto che ha motivato la vostra
riflessione, almeno così mi è sembrato).
In effetti, vi sono alcune questioni che rimangono implicite nella vostra
proposta e che invece ritengo abbiano avuto un ruolo decisivo nelle vicende
in corso.
Andiamo per ordine. Vi voglio ribadire che apprezzo molto l'approccio dato
al problema: il riferimento all'instabilità intrinseca è, anche per me, il
punto cruciale. Così come lo è la correlata implicazione che le fluttuazioni
cicliche sono frutto di meccanismi endogeni. La prima parte di rassegna, per
quanto sintetica, è significativa nel definire lo spessore del vostro
contributo.
Devo anche dire che, nel corso della lettura, mi sono continuamente emersi i
riferimenti, come puoi ben comprendere, allo Stiglitz dei mercati
incompleti, al Minsky della fragilità finanziaria, al Vicarelli del ruolo
dell'incertezza. Dato questo retroterra non posso non capire, e condividere,
l'accento messo sulla tendenza al comportamento imitativo quale fattore
d'instabilità intrinseca. Mentre questi riferimenti giustificano certamente
il vostro orientamento a assumere l'interazioni tra gli agenti come il punto
analitico essenziale che vi trascina "in modo naturale nell'area dei Sistemi
Complessi", tuttavia, se si fa riferimento all'attuale situazione, essi
rendono (sempre a mio avviso) poco convincente il vostro ritenere che "il
collasso può essere scatenato da un evento minore o addirittura irrilevante
ecc.".
I suggerimenti che fornite utilizzando l'herding permettono di dare sostegno
a molti aspetti di una interpretazione della crisi finanziaria in atto. In
effetti, per ritornare ai padri storici, non credo di sbagliare nel pensare
che i comportamenti imitativi sono un raffinamento della spiegazione
stigliziana dell'impossibilità di un mercato di piena informazione (di un
equilibrio di mercato che deriva dalle decisioni di operatori informati -
che formano i nodi della rete - e di operatori non informati che rispondono
ai segnali dei primi). Ovviamente non mi è difficile essere d'accordo che
"la propagazione delle opinioni e delle informazioni amplificano i
cambiamenti dei prezzi in modo apparentemente irrazionale" e che la
modellizzazione sulla quale state lavorando possa dire molto di interessante
a questo proposito: i nodi della rete possono trasferire informazioni
stabilizzanti, ma, sotto certe condizioni, anche destabilizzanti
(effetto-domino e effetto-cordata alpinistica).
Mi sembra però che il vostro lavoro analitico non riesca a dare uno spazio
adeguato ad alcuni aspetti che ritengo importanti, non dal punto di vista
dell'analisi, ma da quello interpretativo degli eventi attuali. Per
sintetizzare con una battuta, la mia idea è che l'effetto-cordata è stato,
in questo caso, destabilizzante generando un risultato catastrofico: sono
scivolate le guide e i loro portatori trascinando gli entusiasti turisti che
si erano, con maggiore o minore consapevolezza, affidati a loro. In altre
parole, il nodo della rete si è strappato e la struttura informativa è
impazzita.
In maniera meno analitica e più intuitivamente interpretativa, la mia
convinzione è che si debba tener conto che il processo da lungo tempo
avviato (10, 20 anni) ha prodotto uno "strappo del nodo", una catastrofe in
una rete che si era troppo gonfiata. Ricorrendo ai padri nobili, la
spiegazione dell'instabilità intrinseca va ricondotta ai processi minskiani
di fragilizzazione della struttura finanziaria. Interessante è, in questo
caso, che la fragilità non ha riguardato le imprese, ma le famiglie; non ha
riguardato (direttamente) le banche ma le istituzioni finanziarie di più
lungo periodo. Ma la fragilità di una parte del sistema si sta diffondendo
nelle perdite, più o meno rilevanti, di un più ampio spettro di soggetti
(fino agli estremi lembi della rete). L'elemento cruciale di questa
fragilizzazione è peraltro la mancata convalida di attese iniziali che non
risultavano fondate (dall'inizio e negli sviluppi successivi). È
l'incertezza della convalida delle decisioni iniziali che determina il
rischio sistemico, il quale risulta intrinsecamente nel sistema e che emerge
(prima o poi; nel nostro caso molto dopo per merito (!?) della politica
monetaria di Greenspan) in maniera drastica se gli operatori finanziari non
riescono a ridurlo, assorbirlo o diffonderlo presso soggetti maggiormente
disposti e più capaci di assorbirlo. Mi limito solo a queste poche battute,
poiché su questi aspetti hai riflettuto e contribuito nel passato più di
quanto non abbia fatto io.
Li ricordo quasi "a futura memoria". In effetti, ferma restando la mia
convinzione che la vostra prospettiva di ricerca sia di grande interesse e
molto promettente (come del resto ho già avuto modo di manifestartelo tempo
fa), ritengo che, a questo stadio della vostra modellizzazione, sia
un'impresa tenere conto di questi aspetti dal punto di vista analitico.
Qualsiasi passo facciate nella direzione degli obiettivi che vi siete
proposti, i risultati che otterrete sono di per sé importanti; le mie
osservazioni possono, a questo livello, rivelarsi non del tutto irrilevanti
se, nelle vostre future riflessioni, vi saranno utili circa la direzione
lungo la quale svilupperete l'importante progetto di ricerca che vi
contraddistingue.

cg
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9 Ottobre 2008 17:17:01

Ho letto con molto interesse il lavoro. L'apertura delle diverse economie e il conseguente incremento delle loro interconnessioni rende consigliabile l'utilizzo di approcci di analisi ad agenti e modellistiche basate sui network.
La visione di un mercato popolato da due famiglie di trader fondamentalisti e chartisti e la sua intrinseca dinamica sembra assolutamente in linea con quanto sta accadendo nei mercati finanziari. Infatti, la forte riduzione delle quotazioni azionarie dei principali gruppi bancari italiani a cui abbiamo assistito fino a pochi giorni fa, non può essere interpretato secondo l'impostazione dell'equilibrio economico generale. Ad esempio, il tracollo delle borse dello scorso 6 ottobre è solo spiegabile attraverso motivazioni riconducibili a comportamenti imitativi dettati dal panico, che hanno quindi creato un forte scollamento tra il valore fondamentale delle imprese e il loro valore incorporato nei prezzi. La dinamica dei prezzi indotta dai comportamenti dei chartisti è legata a motivazioni speculative ed è volta a generare volatilità nei mercati. C'è sempre un "rumore" di fondo (speculazione) nella dinamica dei prezzi di mercato, che si amplifica in situazioni particolari indipendentemente dall'evento che genera l'instabilità. Il mercato segue dinamiche mean reverting (il prezzo è sempre alla ricerca del vero valore del. Ad esempio, le forze che spingono al ribasso le quotazioni nelle fasi di crash (hearding), ad un certo punto si esauriranno e saranno rimpiazzate da forze fondamentaliste che riporteranno verso l'equilibrio il sistema. Da ciò emerge la complessità del mercato: esistono al suo interno forze eterogenee di diversa entità e direzione che ne determinano la dinamica, ma sempre verso l'equilibrio. Un sistema di buone regole (per esempio il divieto di vendite allo scoperto) assicura minori fluttuazioni dei prezzi (minore incertezza e quindi minore rischio) e maggiore tempestività nel raggiungimento dell'equilibrio.
Non c'è dubbio che lo studio dell'economia del XXI secolo ha bisogno di approcci nuovi e penso che la modellistica e la visione dei sistemi complessi rappresentino un'impostazione utile per interpretare correttamente i fatti.

vt
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9 Ottobre 2008 12:53:46

Il vostro coraggioso tentativo di modellizzare il funzionamento dei mercati finanziari  soprattutto in questo periodo di apparente pazzia collettiva. Invidio la vostra voglia di  mettervi in gioco affrontando sfide da far tremare i polsi, come si diceva una volta!
 Se ho ben compreso il senso della vostra ambiziosa costruzione analitica, in breve posso così provare a sintetizzarla – in modo un pò caricaturale (scusatemi!):
mixando agenti eterogenei, fondamentalisti e chartisti, effetto imitazione e/o network effect accoppiato a carenze informative si generano fenomeni complessi che assomigliano ai “fatti stilizzati” che si stanno verificando in questo periodo sui mercati finanziari  mondiali. Questi sarebbero dunque senza veri responsabili, generati da “spunti”  occasionali, del tutto casuali e comunque  di rilevanza marginale rispetto alle conseguenze enormi che ne conseguono.

Pur apprezzando il vostro tentativo e la vostra ben nota capacità di modellizzazione, spero mi consentirete di dissentire su alcuni punti chiave (peraltro a cosa servirebbe la mia lettura se mi limitassi a dire: è tutto ok!):
(1) il ruolo dell’informazione;
(2) il ruolo dell’ideologia nella spiegazione  della crisi finanziaria;
(3) il tipo di modellizzazione proposto.

(1)Voi supponete che gli agenti economici, nel caso specifico quelli finanziari, soffrano di importanti carenze informative, stocasticamente diffuse. Io penso esattamente il contrario, ovvero che attualmente vi sia un eccesso di informazione che giunge simultaneamente a tutti gli operatori i quali le processano automaticamente e reagiscono simultaneamente nello stesso modo. Cerco di farti capire con un esempio cosa intendo.
Supponi di essere allo stadio di San Siro a vedere Milan-Juve insieme a 80.00 spettatori. Improvvisamente si sente un forte boato ( quale che sia la causa). Tutti simultaneamente sentono il boato (informazione completa) e reagiscono allo stesso modo accalcandosi all’uscita e provocando una strage (dato che l’uscita è predisposta per far uscire 1000 spettatori al minuto e non 80.000). Supponi invece che il boato si senta sono nella curva Nord; questi spettatori  si accalcano alle uscite senza gravi problemi; poi la voce si diffonde a poco a poco nello stadio, la gente sfolla senza conseguenze tragiche.
A mio parere, sui mercati finanziari attuali sta succedendo il primo caso (informazione completa e simultanea, che genera reazioni simultanee dello stesso segno); in passato le informazioni arrivavano prima ad alcuni operatori e in alcuni mercati e poi fluivano a poco a poco tra i restanti operatori e i restanti mercati, così che le reazioni erano differenziate e diluite nel tempo, cosa che consentiva correzioni in itinere

(2)La teoria economica non è mai neutrale, ma si fonda su una visione ideologica pre-analitica (risparmiami le citazioni di Marx, Walras, Schumpeter, ecc.). Se ho ben compreso la tua analisi, l’attuale crisi non avrebbe veri responsabili in carne e ossa, ma sarebbe il frutto casuale di  fatti iniziali casuali, spesso anche poco rilevanti, processati dalla scarsa informazione e dai comportamenti imitativi.
La mia visione ideologica pre-analitica è molto diversa: personalmente ritengo che tali crisi non siano affatto casuali, ma si ripetano quanto meno ogni generazione ( ma anche più spesso) per consentire alle classi dominanti di espropriare la ricchezza ( o sovrappiù) prodotta dagli uomini appartenenti alle classi dominate. Le modalità con cui tale espropriazione avviene sono diverse, ma se vogliamo poco importanti perché in ogni caso sono mediate dallo Stato attraverso il controllo della moneta , delle attività finanziarie e delle imposte. Quindi la difesa delle istituzioni finanziarie tramite il  bilancio pubblico è il modo attuale di togliere ricchezza ai cittadini per trasferirla alle classi dominanti che controllano tali istituzioni finanziarie.

(3)Vengo infine alla modellizzazione. Confesso che ammiro la vostra capacità di mettere assieme strumentazione analitica diversificata e pezzi di teorie  per costruire  nuovi approcci molto stimolanti. Tuttavia, a me è rimasta in mente una frase di Renè Thom (il quale di modellizzazioni complesse se ne intendeva, avendo creato la teoria delle catastrofi)  che dice testualmente:
“È chiaro che, data una qualsiasi fenomenologia, si può sempre costruire un modello che la descrive. In altri termini, se si impiegano parametri a sufficienza, funzioni di grado abbastanza elevato, si può costruire sempre un modello matematico di qualsiasi cosa! Ma il vero problema non è evidentemente questo: è invece nella costruzione di un modello che non ricorra a “troppi” enti matematici. C’è dunque un conflitto tra l’aderenza al dato empirico (fatti stilizzati, mio inciso), cioè quello che gli anglosassoni chiamano fit e la quantità di parametri che compaiono nel modello: se si mettono molti parametri si ha un buon fit, ma un modello complicato; se se ne mettono pochi, il modello è semplice, ma si ha un cattivo fit. Saranno quindi eccellenti quei modelli che conciliano, con qualche compromesso, pochi parametri e un buon fit”.
La mia idea è che, costruendo e simulando modelli dinamici piuttosto complessi, possiamo riprodurre qualsiasi fatto stilizzato, ma la conoscenza  e gli insegnamenti che ne possiamo estrarre per intervenire sui fenomeni (questa dovrebbe essere la finalità della ns. disciplina) spesso sono inadeguate.

 Scusatemi, ma io intendo in questo modo, ovvero in senso critico, la mia lettura di un lavoro in itinere che mi pare estremamente stimolante.

rb
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9 Ottobre 2008 12:29:50

Ho letto con grande interesse il pezzo. Faccio alcune osservazione che non aggiungono niente agli aspetti sostanziali del discorso ma che provano, invece, ad inserire nello stesso alcune spiegazioni sociologiche della tesi da voi sostenuta.
In primo luogo, l’idea di legare i fenomeni imitativi degli operatori economici all’incidenza dei cosiddetti fatti stilizzati sull’equilibrio/squilibrio del mercato. Sociologicamente, l’imitazione è un processo molto importante poiché sottende la base del riconoscimento comune, come direbbe Mead è un atto (socialmente) convenzionale che consente la realizzazione di un meccanismo fondativo della relazionalità psico-sociale inter-individuale: l’immedesimazione nel punto di vista dell’altro e la definizione di un “altro generalizzato”, ovvero di un punto di vista generale simbolizzato, che se vuoi può rappresentare lo spettro conformistico che informa un dato sistema sociale. Pensa ad un rito e alla sua proceduralità: tutti fanno la stessa cosa, vi partecipano, allo scopo di ri-confermare un tratto fondativo di appartenenza. Questa dinamica si applica ai fenomeni religiosi, quanto a quelli moderni del consumo di massa (alcuni sociologi parlano addirittura di religione del consumo). Ma il tratto imitativo è altresì importante quando la sociologia, o una certa sociologia, affronta il tema delle masse e dei loro comportamenti. Ad esempio, Canetti in “Massa e potere” sostiene l’esistenza di diverse tipologie di massa, quella che più interessa il discorso è la tipologia della massa in fuga. Una premessa, gli individui raccolti in una massa abbandonano quella che gli interazionisti simbolici (Goffman) definiscono l’atteggiamento della disattenzione civile, ovvero quella caratteristica della modernità che porta gli uomini ad ignorarsi lungo una strada o in un ascensore onde evitare, ad esempio, con uno sguardo o con un contatto anche fortuito di alterare la suscettibilità altrui. Questo meccanismo funge da regolatore delle relazioni sociali inter-individuali. In una massa raccolta tutto questo svanisce, se siamo in curva allo stadio e la squadra del cuore segna abbracciamo senza problemi uno sconosciuto, se la polizia carica una manifestazione, si sviluppano solidarietà tra manifestanti che mai prima si sono incontrati. Ma secondo Canetti la Massa in fuga presume un altro elemento è cioè la tendenza al panico, in questo caso la disattenzione civile scompare anche, ma lo fa in termini di panico: per sopravvivere in una massa in fuga da un incendio non esitiamo per salvarci a calpestare un nostro consimile, magari anche un conoscente/amico. Ecco credo che questa metafora unita al meccanismo imitativo come fattore base della socialità (il riconoscersi su un terreno comune di condivisione) possa disegnare sia pure in modo abbozzato l’ambientazione sociologica della vostra spiegazione fisico-economica e siccome da sociologo credo che ogni relazione economica sia in primo luogo una relazione socio-culturale trovo il vostro approccio di spiegazione molto interessante proprio perché cerca di ricondurre una spiegazione economica in uno spazio relazionale non affetto da ipo-socialità.
L’altro punto che mi ha colpito concerne il fatto che l’instabilità dei mercati sia ricondotta a carenze informative e quindi ad atteggiamenti individuali in cui le scelte vengono prese in base a parametri di razionalità limitata (Simon). Di questo approccio vorrei sottolineare il correlato della cosiddetta teoria della soddisfazione. In “Human problem solving” Simon e Newell propongono un esperimento molto interessante: sottopongono a un campione di studenti di fisica della loro università una serie di test di difficoltà variabile per verificarne i criteri di messa a soluzione. I risultati sono sorprendenti, gli errori sono elevatissimi e il più delle volte le soluzioni adottate vengono viziate da due elementi: o l’effetto gruppo pensiero, ci si confronta e se tutti sono d’accordo si da la medesima soluzione (effetto imitativo dove l’idea di gruppo corrobora i dubbi individuali e crea soddisfazione nella soluzione apportata); l’effetto di auto-convincimento, ovvero fornisco la soluzione ai miei occhi più soddisfacente che quasi mai è quella più razionale e vicina alla giusta soluzione. In questo secondo caso la soddisfazione è direttamente correlata alla cultura scientifica del soggetto in causa, alla sue competenze generali, alla sua capacità di regolare lo stress, alle sue basi caratteriali. Penso che questo identico meccanismo psico-sociale possa spiegare il panico degli “umani” che operano nell’istituzione mercato.

fo
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9 ottobre 2008, 11:10:42

Ho letto con attenzione e piacere il vostro articolo. Sono d'accordo su molte cose, soprattutto quando dite che "La nostra tesi è quindi che, anche se non ci fosse stato il problema subprime, l'instabilità si sarebbe sviluppata lo stesso con l'occasione di una qualunque altra perturbazione. La vera questione è la natura intrinsecamente instabile dell'intero sistema."

Non sono però interamente d'accordo sul ruolo dell'effetto herding. Io la catena causale la vedo più così (vedi anche articolo di Snower su WSJ di ieri):
1) low banking regulations + managers guarantees + pressure to make high performances + low costs of risk + low interest rate -> excess bank investment in too risky assets + highly leveraged banks
2) "shadow banking sector" (bank funds, hedging, etc.) was far less regulated and funded short-term liabilities with long-term assets; most risky assets went to less regulated sector
3) housing bubble burst -> banks and funds with too little capital vs high debt -> selling all assets (even good ones) -> asset prices went down -> other financial institutions in distress 4) Intermittent US interventions, Paulson plan -> more uncertainty -> ordinary people selling assets, etc.

In altre parole, l'effetto herding lo vedo solo come conseguenza o prerequisito e non come fattore trainante. Cioè, secondo me è più da sottolineare l'effetto rete e i fattori istituzionali che crea l'instabilità e non il fatto che ci siano fondamentalisti vs chartisti nel mercato.

Sono d'accordo invece sul punto circa il tasso di interesse, si cerca di creare liquidità ma così facendo si permette alle banche di indebitarsi ancora di + in assenza di regole. D'altra parte si potrebbe invece insistere sulla necessità di una istituzione internazionale tipo World Bank che invece di occuparsi di sviluppo faccia controllo sui mercati interconnessi.

gf
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9 Ottobre 2008, 10:49:22

Mi sembra molto interessante e condivido quasi completamente. Sono d'accordo con voi sul ruolo dell'herding behavior e sul fatto che i sistemi siano complessi; riconosco inoltre la validità
delle osservazioni sui limiti della vigilanza. Cercherei di individuare diversi valori morali cui i
diversi individui, o gruppi di individui possono ispirarsi. La presenza di una
eccessiva quantità di valori morali ispirati alla conflittualità della Hobbes rende
il sistema instabile e, a mio parere, conduce al suo collasso.

an
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09 Ottobre 2008 01:19:48

        Articolo ghiotto e molto convincente. Prima o poi mi piacerebbe rimettermi a lavorare su queste cose, aggiungendo le reti sociali agli agenti.

        Aggiungerei solo una considerazione sulla situazione presente e cioè la miopia dei guru della finanza, che con i mutui insicuri sono cascati per l'ennesima volta nell'errore di considerare illimitato lo spazio di azione (la catena di S.Antonio in versione sub-prime: a chi non mi paga prendo la casa e la vendo ad un valore superiore al mio credito, senza chiedermi ... chi la compera se l'evento si fa frequente).

        Infine l'herding in questi giorni è palpabile nelle domande e nei comportamenti ansiosi di amici e parenti.

pt

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7 ottobre 2008
 
Segnaliamo un bell'articolo a riguardo di Antonello Pasini comparso su il Kyoto fisso del Sole24 ore  del 7 ottobre 2008
Crisi globale e borse a picco: perchè?
 http://antonellopasini.nova100.ilsole24ore.com/2008/10/crisi-globale-e.html
 
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5 ottobre 2008

Massimo Bernaschi, dirigente tecnologo dell'Istituto Applicazioni del
Calcolo del CNR

La parte più interessante ritengo sia quella sulla stabilità locale e globale del network bancario.
Questo è un aspetto che fino ad ora non è mai stato adeguatamente studiato mentre l'idea di rappresentare genericamente i mercati finanziari con modelli molto semplici di agenti (fondamentalisti, "chartisti", etc. ) senza tener conto delle effettive caratteristiche di tali mercati mi sembra abbia ormai mostrato tutte le sue limitazioni. Nel caso in particolare della crisi dei "subprime" è, ad esempio, chiaro che c'è stata una, direi colpevole, sottovalutazione del rischio da parte delle istituzioni finanziarie che è molto difficile rappresentare in termini di comportamento "fondamentalista" o "chartista".
Sarebbe magari il caso di introdurre una componente "ignoranza delle più elementari nozioni di probabilità" negli agenti per modellizzare comportamenti così avventati (scherzo ma non troppo, consiglio da questo punto di vista la lettura dell'interessante, anche se non tecnico, libro "Giocati dal caso" di Nassim Taleb).
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segnaliamo anche:
 
11 luglio 2008
 
Minimal Agent Based Model For The Origin And Self-Organization Of Stylized Facts In Financial Markets
Authors: V.Alfi, L. Pietronero, A. Zaccaria
(Submitted on 11 Jul 2008)
http://arxiv.org/abs/0807.1888

Alcuni link utili:

http://www1.mate.polimi.it/ingfin/people/barucci/  
http://www1.mate.polimi.it/ingfin/
http://www.bwl.uni-kiel.de/vwlinstitute/gwrp/team_alfarano.php?lang=de

Ultima modifica il Martedì, 27 Giugno 2017 16:11
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