«Tutto è cominciato con una ricerca informatica per identificare nel genoma umano potenziali geni, ancora sconosciuti, che potessero avere una rilevanza nei meccanismi che controllano la qualità delle proteine e degli organelli - commenta Anais Franco Romero che, insieme a Valeria Morbidoni, è stata coautrice principale del lavoro di ricerca -. Tra i diversi candidati, il team si è focalizzato su un gene che spiccava per essere estremamente conservato tra le diverse specie animali, dall’uomo fino ai vermi, denominato Mytho».
Attraverso esperimenti di manipolazione genetica, il gruppo ha dimostrato che la sua inibizione provoca una precoce senescenza cellulare (stadio in cui le cellule smettono di replicarsi) ed un accorciamento della vita nel Caenorhabditis Elegans (un modello animale che viene usato dai ricercatori per studiare l’invecchiamento), mentre la sua attivazione migliora la qualità della vita e permette di mantenere un invecchiamento in salute.
Lo studio ha anche caratterizzato i meccanismi molecolari e scoperto che questo gene regola il sistema, chiamato autofagia, che permette la rimozione di proteine ed organelli danneggiati migliorando l’omeostasi cellulare. «Dopo anni di studi siamo arrivati a conoscere qualcosa del nostro genoma, ma la funzione della maggior parte del nostro codice genetico è ancora ignota - sottolinea il prof. Marco Sandri - Un esempio sono i geni che codificano le proteine, di cui più di 5000 su un totale di 20000 sono completamente sconosciuti. Per questo, negli ultimi anni abbiamo impiegato risorse ed energie per caratterizzare questo sconosciuto mondo del nostro DNA».
Titolo dello studio: Mytho promotes healthy ageing in C. elegans and prevents cellular senescence in mammals