La rivelazione di radiazione ionizzante - come i raggi X, raggi gamma o di particelle elementari come le particelle alfa o beta - è di fondamentale importanza in un gran numero di applicazioni tecnologiche e scientifiche: dal controllo dei confini e la sicurezza industriale, attraverso il monitoraggio di potenziali sostanze radioattive in container o veicoli da trasporto merci, fino alla fisica delle alte energie e l’astrofisica, passando per la diagnostica medica, in cui la velocità di risposta dei rivelatori è alla base della risoluzione tomografica e di conseguenza dell’accuratezza diagnostica.
Gli scintillatori plastici sono considerati ottimi candidati per queste applicazioni in quanto coniugano flessibilità di design, facilità di fabbricazione e costi relativamente contenuti. Questi dispositivi sono tipicamente composti da lastre, pellicole o fibre plastiche nelle quali sono incorporati materiali, detti scintillatori, che emettono luce a seguito dell’interazione con radiazione ionizzante. La luce emessa, detta di scintillazione, si propaga all’interno della plastica fino a raggiungerne i bordi, dove è raccolta e rivelata da sensori ad alta efficienza.
«Le nanoparticelle di perovskite sono materiali estremamente promettenti per la rivelazione di radiazione ionizzante - spiega Sergio Brovelli, professore di Nanotecnologia di Milano-Bicocca e presidente del Consiglio scientifico di Glass to Power – in quanto presentano la giusta composizione chimica, elevata efficienza di scintillazione e la possibilità di essere prodotte in grande quantità a basso costo. Tuttavia, da sole queste nanoparticelle non permettono di ottenere tempi di risposta veloci e soffrono di forte assorbimento della loro stessa luce di scintillazione».
«Per ovviare a questo problema, – continua Mauro Fasoli, professore di Fisica dell’Università Bicocca e associato INFN – abbiamo immaginato un materiale ibrido in cui le nanoparticelle fossero sensibilizzatori di molecole che, da sole, non interagirebbero sufficientemente con la radiazione ionizzante. Se propriamente attivate, tuttavia, queste emettono velocemente luce senza assorbire la propria luminescenza»
«Questi dispositivi si potranno prestare infatti anche per lo studio di processi fisici fondamentali – conclude Anna Vedda e associato INFN, professoressa di Fisica dell’Università di Milano-Bicocca –. Al momento sono in fase di studio rivelatori a base di questi materiali per la ricerca di eventi rari in esperimenti in fisica delle particelle».