La ricerca del team internazionale si è concentrata sullo studio della composizione e delle età di cristallizzazione di granati magmatici in alcune fra le principali eruzioni esplosive del Vesuvio: quella di Mercato (8.890 anni fa), di Avellino (3.950 anni fa), di Pompei (79 d.C.) e di Pollena (472d.C.). Questi due parametri (composizione ed età dei granati) forniscono informazioni fondamentali riguardo i meccanismi e i tempi di stoccaggio e accumulo dei magmi prima delle eruzioni: senza tuttavia dare delle risposte certe in merito alla previsione di future eruzioni (per le quali i sistemi di monitoraggio attivi sul vulcano potranno fornire dati più puntuali), si rivelano molto utili per individuare dei modelli nell’attività passata del vulcano che potrebbero essere di supporto all’interpretazione dei segnali in caso di una futura ripresa dell’attività vulcanica stessa. I cristalli di granato si sono formati all’interno di una camera magmatica situata nell’alta crosta da un magma di tipo fonolitico.
L’età di cristallizzazione dei granati precede di circa 5-6 mila anni le eruzioni di Mercato e Avellino, di circa mille anni quelle di Pollena e Pompei, e corrisponde a periodi di quiescenza dell’attività vulcanica al Vesuvio. Questo indica che magmi fonolitici erano già presenti nella camera magmatica alcune migliaia di anni prima delle eruzioni e che la presenza di volumi di magmi fonolitici nell’alta crosta impediva la risalita in superficie di magmi meno evoluti e più profondi. Siccome l’attività recente del Vesuvio (ad esempio nel 1631 e nel 1944) ha interessato magmi poco evoluti, i ricercatori ipotizzano che una consistente quantità di magma fonolitico non sia più stata presente nella camera magmatica del Vesuvio in seguito all’eruzione di Pollena (almeno fino all’ultima eruzione del 1944).
“Sulla base del comportamento del Vesuvio osservato attraverso l’occhio dei granati durante gli ultimi circa 9mila anni di attività, ipotizziamo che una futura eruzione Pliniana o sub-Pliniana che coinvolge magmi fonolitici necessiterebbe di almeno un migliaio di anni di quiescenza, ma non possiamo escludere che nel frattempo si possano verificare eruzioni più piccole a carico di magmi meno evoluti che avrebbero comunque conseguenze devastanti su un territorio così densamente popolato”, conclude Francesca Forni.