Redazione
Un lavoro di ricerca pubblicato su Nature Catalysis indaga alcuni aspetti fondamentali di una tecnologia per immagazzinare in combustibili l’energia ricavata da fonti rinnovabili, permettendone lo stoccaggio e il successivo utilizzo: la prima applicazione riguarda l'uso dell’energia solare per produrre idrogeno dall'acqua. Lo studio è svolto dall’Istituto officina dei materiali del Consiglio nazionale delle ricerche in collaborazione con il Fritz Haber Institute della Max Planck Society.
Le fonti rinnovabili come il solare non sono costanti nel tempo: serve una tecnologia per immagazzinare ciò che non si utilizza durante il giorno per poterlo avere a disposizione quando il sole non splende. Ma come si può usare un processo chimico come metodo di stoccaggio dell’energia?
E’ quanto indaga un lavoro di ricerca pubblicato su Nature Catalysis, svolto da ricercatori dell’Istituto officina dei materiali del Consiglio nazionale delle ricerche di Trieste (Cnr-Iom) in collaborazione con i ricercatori del Fritz Haber Insitute della Max Planck Society di Berlino: in esso vengono indagati alcuni aspetti fondamentali di una tecnologia per immagazzinare in combustibili l’energia ricavata da fonti rinnovabili, permettendone lo stoccaggio e il successivo utilizzo. La prima applicazione riguarda l'uso dell’energia solare per produrre idrogeno dall'acqua.
La ricerca ha a che fare con lo studio dettagliato di alcune fasi del processo di elettrolisi fotocatalitica: si tratta di un processo elettrochimico nel il quale si usa la luce del sole per scindere l’acqua nei suoi costituenti: ossigeno e idrogeno.
Breakthrough in the fight against COVID-19:
Researchers have identified antibodies that may make coronavirus vaccines unnecessary
Tel Aviv University researchers have isolated two antibodies that neutralize all known strains of COVID-19 – including Omicron – with up to 95% efficiency.
The researchers: Targeted treatment with antibodies and their delivery to the body in high concentrations may serve as an effective substitute for vaccines, especially for at-risk populations and those with weakened immune systems. By using antibody treatment, there is a possibility that the need to provide repeated booster shots to the entire population every time a new variant emerges will be eliminated.
A scientific breakthrough by Tel Aviv University: A team of researchers from the university has demonstrated that antibodies isolated from the immune system of recovered COVID-19 patients are effective in neutralizing all known strains of the virus, including the Delta and the Omicron variants. According to the researchers, this discovery may eliminate the need for repeated booster vaccinations and strengthen the immune system of populations at risk.
Una ricerca pubblicata sulla rivista Global Change Biology coordinata da Institut de Ciències del Mar (ICM-CSIC) di Barcellona, cui ha partecipato il Cnr-Irbim in collaborazione con altri 30 gruppi di ricerca provenienti da 11 paesi, è in grado di ricostruire per la prima volta gli effetti delle mortalità di massa su scala mediterranea di 50 diverse specie marine
Tra il 2015 e il 2019 una serie di ondate di calore ha colpito tutte le regioni del bacino mediterraneo, provocando eventi di mortalità di massa in 50 diverse specie marine come coralli, spugne, macroalghe e anche pesci. Secondo una ricerca internazionale pubblicata sulla rivista Global Change Biology cui ha partecipato l’Istituto per le risorse biologiche e le biotecnologie marine del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Irbim), questi fenomeni hanno interessato migliaia di chilometri di coste mediterranee, dal Mare di Alboran sino alle coste orientali, tra la superficie e i 45 metri di profondità.
É stato pubblicato sulla rivista Proceedings of the Royal Society B uno studio, realizzato dai ricercatori del Dipartimento di Scienze della Vita e Biologia dei Sistemi dell’Università di Torino, intitolato Vocal accommodation in penguins (Spheniscus demersus) as a result of social environment. La ricerca ha analizzato in che modo i pinguini africani (Spheniscus demersus) sono in grado di modificare le loro vocalizzazioni nel tempo e in funzione delle loro interazioni sociali. Una modulazione vocale paragonabile a quella del linguaggio umano e utile a comprenderne in maniera significativa la sua evoluzione.
Sono state studiate le caratteristiche acustiche delle vocalizzazioni di diverse colonie di pinguino africano, una specie filogeneticamente distante da tutte quelle che sono state precedentemente identificate come capaci di apprendimento vocale. In particolare, vengono messe a confronto le caratteristiche acustiche delle vocalizzazioni di diversi pinguini con vari gradi di interazione sociale: stessa colonia o colonia diversa; stessa colonia a distanza di tre anni; partner contro non partner.
Come sopravvivere bene all’invecchiamento: pubblicati su Nature i risultati di uno studio che aprono nuove prospettive per vivere in forma la terza età.
Un'interessante scoperta sui meccanismi dell'invecchiamento è stata recentemente pubblicata sulla prestigiosa rivista «Nature» da un gruppo di ricercatori coordinato dal Prof. Stefano Piccolo, del Dipartimento di Medicina Molecolare dell'Università di Padova e dell’IFOM (Istituto Fondazione di Oncologia Molecolare).
L'invecchiamento è un fenomeno naturale che si accompagna a un progressivo declino di varie funzioni dell'organismo. Per esempio, diminuisce la capacità di rinnovo cellulare, si accumulano danni a molteplici organi e decadono i processi cerebrali. Il tutto porta a una generale condizione di fragilità e a un aumentato rischio di insorgenza di malattie, tra cui il diabete e il cancro.
Ma quale è la causa di tutto questo? Perché invecchiamo?
Tritone italiano. Credit Emiliano Mori
Uno studio internazionale a cui ha partecipato l’Istituto di ricerca sugli ecosistemi terrestri del Cnr ha scoperto una correlazione profonda tra l’ambiente e il processo di invecchiamento di alcune specie che possono allocare maggiori quantità di energia alla sopravvivenza piuttosto che alla protezione dell’organismo, allungando la propria aspettativa di vita. La ricerca è pubblicata su Science
Il processo di invecchiamento, in alcune specie di rettili e anfibi, può dipendere direttamente dalle condizioni ambientali in cui si trovano. È quanto emerge da due studi, pubblicati sulla rivista Science e condotti da team internazionali, a cui ha partecipato l’Istituto di ricerca sugli ecosistemi terrestri del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Iret).
Nel primo lavoro, il gruppo di ricerca ha eseguito un’analisi comparativa dei tassi di invecchiamento e della durata della vita nei tetrapodi a sangue freddo, utilizzando i dati disponibili in letteratura su 77 specie e 107 popolazioni selvatiche di rettili e anfibi, tra cui tartarughe, serpenti e coccodrilli. In particolare, il Cnr-Iret ha studiato una popolazione di tritone crestato che vive sui Poggi di Prata, nelle colline metallifere del Grossetano.
“Le operazioni di monitoraggio hanno coperto un arco temporale di 19 anni in cui abbiamo cercato di capire in che modo la termoregolazione, la temperatura ambientale, il corredo genetico e il ritmo di vita contribuiscano all'invecchiamento degli animali”, spiega Emiliano Mori, ricercatore del Cnr-Iret. “Abbiamo così scoperto che le specie ectoterme, in cui la temperatura corporea dipende dall'ambiente esterno, mostrano una maggiore diversità di tassi di invecchiamento rispetto a quelle endoterme, la cui temperatura corporea è invece regolata dalla produzione di calore metabolico interno. Nelle prime la longevità media stimata varia da 1 a 137 anni, nei primati questo valore è compreso tra 4 e 84 anni”.
Tumore del colon retto: il consumo di pesce in scatola riduce di oltre il 30% il rischio di insorgenza
08 Giu 2022
Pubblicati sulla rivista “Nutrients” i risultati di uno studio condotto dall’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS di Milano, nell’ambito delle attività dell’Italian Institute for Planetary Health* (IIPH), in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano.
In uno studio, condotto dall’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS di Milano, è stato esaminato, per la prima volta, l’effetto del consumo di pesce in scatola separatamente da quello di pesce fresco sul rischio di tumore al colon-retto. Lo studio è stato condotto nell’ambito delle attività dell’Italian Institute for Planetary Health (IIPH), in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano. I risultati ottenuti hanno messo in evidenza una riduzione del 34% circa del rischio di insorgenza di questo tipo di tumore nei soggetti che consumavano almeno due porzioni alla settimana di pesce in scatola sott’olio (pari a 80 grammi ciascuna).
Da uno studio condotto dall’Istituto di scienze delle produzioni alimentari del Cnr, in collaborazione con il John Innes Centre di Norwich e pubblicato sulla rivista Nature Plants, viene progettata una nuova linea di pomodoro in grado di contrastare la carenza di vitamina D
Secondo alcune stime, circa il 40% della popolazione europea, il 26% di quella americana e il 20% di quella orientale sarebbe a rischio di carenza di vitamina D. Da una ricerca dell’Istituto di scienze delle produzioni alimentari del Consiglio nazionale delle ricerche di Lecce (Cnr-Ispa), in collaborazione con Cathie Martin del John Innes Centre (Norwich, UK) viene proposta una nuova soluzione alimentare proprio con lo scopo di ridurre tale rischio: una nuova linea di pomodoro in grado di accumulare in tutti gli stadi di maturazione pro-vitamina D3, ovvero il precursore assumibile della Vitamina D. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Nature Plants.
Elaborata una nuova metodologia, efficace e accurata, per rilevare la variazione di acidità degli organelli cellulari. Un percorso estremamente complesso, legato a disfunzioni e all’insorgenza di malattie, in particolare il cancro. Lo studio, condotto dai ricercatori dell’Istituto di nanotecnologia del Cnr di Lecce assieme ai colleghi dell’Università del Salento, è pubblicato sulla rivista ACS Applied Materials & Interfaces, aggiudicandosi l’immagine di copertina
Le variazioni a livello intracellulare di pH, cioè di acidità, sono tra l’altro indicative dell’insorgenza e della progressione di malattie come il cancro. Anche per questo il loro studio è importante quanto impegnativo, poiché tali alterazioni coinvolgono meccanismi estremamente complessi. Un recente studio coordinato da Loretta L. del Mercato, primo ricercatore dell’Istituto di nanotecnologia del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Nanotec) di Lecce, condotto in collaborazione con Cecilia Bucci e Adriano Barra, docenti dell’Università del Salento, ha portato alla elaborazione di una nuova metodica per studiare in modo efficace e accurato il pH degli organelli cellulari. La ricerca è pubblicata sulla rivista ACS Applied Materials & Interfaces.
Materiali biopolimerici sottoposti a un processo di degradazione, rispettivamente in mare e sabbia, hanno mostrato tempi di degradazione comparabili a quelli di materiali non bio. L’esperimento ha coinvolto studiosi del Consiglio nazionale delle ricerche, dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia e del Distretto ligure per le tecnologie marine Lo studio pubblicato su Polymers.
Se disperse nell’ambiente anziché conferite correttamente nel compost, anche le bioplastiche hanno tempi di degradazione molto lunghi, comparabili a quelli di materiali plastici non bio. Lo dimostrano i risultati di un innovativo esperimento condotto congiuntamente da Consiglio nazionale delle ricerche - coinvolto con l’Istituto dei processi chimico-fisici (Cnr-Ipcf) e l’Istituto di scienze marine (Cnr-Ismar), Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv) e Distretto ligure per le tecnologie marine (Dltm), con il supporto di Polizia di Stato-Centro Nautico e Sommozzatori La Spezia (CNeS).