Abitare lo Spazio, un sogno o una realtà?
Al momento è ancora una sogno, ma è un obiettivo fondamentale delle Scienze della vita nello spazio ed una grande comunità di scienziati e ricercatori sta lavorando affinché questo diventi realtà.
La lunga permanenza dell’uomo nello spazio è riconducibile a pochi casi e purtroppo ancora non abbiamo tutti gli strumenti, a livello medico e biologico, per simulare e comprendere le modificazioni che si determinano a carico dell’organismo umano, o più in generale dell’essere vivente, a seguito di permanenze nello spazio superiori a 14-15 mesi.
Sappiamo che durante questo periodo il corpo cerca di adattarsi alla nuova condizione ma è un’incognita quanto questo adattamento sia reversibile una volta rientrati sulla Terra.
Quali sono i limiti fisiologici che un essere umano incontrerebbe nello spazio e su un pianeta con poca atmosfera?
L'uomo e' forse l'elemento più critico dell'esplorazione spaziale. Per il successo delle missioni spaziali debbono essere soddisfatti i bisogni dell'uomo in un ambiente comunque ostile e differente da quello terrestre, a distanze mai percorse nella storia umana. I limiti fisiologici sono molteplici e sostanzialmente riconducibili a due fattori che li determinano. La radiazione cosmica e la ridotta forza gravitazionale (microgravità). Uno dei rischi maggiore per la vita nello spazio è legato alle radiazioni cosmiche, contro le quali al momento non disponiamo di difese sufficientemente valide. Nello spazio, non più schermate dall’atmosfera, c’è ne sono di diverso tipo ed intensità. Inoltre l’ambiente “radioattivo” all’interno dei moduli spaziali è solo parzialmente identificato poiché, ad esempio, vi sono anche radiazioni secondarie che si producono a seguito dell’impatto tra le particelle cosmiche e la struttura dell’abitacolo . Il secondo problema è legato all’assenza, od alla riduzione, di gravità che produce modificazioni importanti a livello di organi e sistemi ed i cui effetti, a lungo termine, sono ancora poco conosciuti. Sappiamo che l’organismo subisce incredibili alterazioni e che i sistemi cardiovascolare, osseo, muscolare, nervoso etc. si modificano sensibilmente e che tutte le precauzioni e le “contromisure” che vengono adottate sono insufficienti a contenere queste alterazioni.
Di cosa di occupa l’Unità Medicina e Biotecnologie in ASI?
La ricerca biomedica spaziale poggia le sue fondamenta sulla comprensione degli effetti che l’ambiente spaziale esercita sulla struttura ed il comportamento di molecole biologiche, di cellule ed organismi pluricellulari incluso l’uomo. Al contempo è altresì indirizzata a consentire la vita nello spazio ed a contribuire alla ricerca medica a Terra con i risultati ottenuti dalla ricerca nello spazio.
Sono stati, dunque, messi a punto programmi multidisciplinari, con oltre 1000 ricercatori coinvolti, focalizzati su problematiche biomediche che hanno un interesse comune per patologie riscontrate a Terra e nello Spazio e che prevedono al loro interno sia attività di ricerca di base, che clinica che applicativa indirizzate verso uno stesso obiettivo. I ricercatori utilizzano le loro competenze mettendole al servizio dello spazio, senza penalizzare le attività di proprio interesse ma anzi sfruttandole per ampliare il loro raggio di azione. Inoltre sono stati realizzati accordi internazionali che consentono alla comunità nazionale, dopo periodi consolidati di sperimentazione a Terra in simulazione, un accesso costante alla sperimentazione su diverse piattaforme spaziali (ISS, Foton/Bion, Razzi sonda etc).
Quali sono i successi Italiani di “medicina spaziale” e quali saranno le ricadute per il miglioramento della vita quotidiana?
Tra i maggiori successi posso citare le missioni che ASI – MED ha concluso in questi ultimi anni, come Alteino ed ALTEA, strumenti focalizzati alla definizione del tipo di radiazioni a bordo della ISS e dei loro effetti sull’essere umano nonché sullo studio di possibili materiali schermanti. ALTEA in modalità DOSI, ovvero come dosimetro attivo, è stato considerato con estremo interesse da NASA con la quale è stato firmato un accordo specifico che ne prevede l’impiego sulla Stazione Spaziale Internazionale per valutare il rischio a carico degli astronauti. HPA, strumento sviluppato per valutare la degradazione di performance del sistema muscolare dell’avambraccio e per definire strategie di movimento dell’arto superiore in condizioni di microgravità prolungata. Elite S2, a bordo della ISS dal 2007, è stato concepito per raccogliere dati sul coordinamento motorio dell’uomo nello spazio con lo scopo di studiare i meccanismi adattativi del Sistema Nervoso Centrale in microgravità. Un’altra importante missione di biologia e radiobiologia si è conclusa nel 2007 utilizzando il satellite recuperabile Russo “Foton” grazie ad un accordo specifico con la Federal Space Agency Russa. Questa missione ha portato a bordo 8 esperimenti Italiani.
Le ricadute sono potenzialmente molteplici proprio per le finalità che si pone la biomedicina spaziale che guarda anche alle ricadute a Terra di quanto si studia nello spazio utilizzando, in molti casi, anche tecnologie nate in altri settori della ricerca spaziale. Solo per curiosità posso citare quanto sviluppato ad esempio in campo oculistico con il tracciante laser per la correzione dei difetti visivi, oppure lo “eye tracker“ che consente alle persone con disabilità severe di comunicare o controllare il proprio ambiente utilizzando il solo movimento degli occhi, oppure la risonanza magnetica derivata da tecnologie spaziali di osservazione della luna o ancora tecnologie nate per applicazioni di osservazione della terra che hanno consentito lo sviluppo di un sistema di diagnostica per immagini particolarmente sofisticato (HSGE).
Autore: Fabrizio Zucchini