Dignità umana e Intelligenza Artificiale: l'Italia risponde alla chiamata di Rodotà

Guido Donati* 26 Set 2025

 


Nel labirinto del progresso tecnologico, l'intelligenza artificiale (IA) ha smesso di essere un semplice strumento per diventare un attore quasi autonomo nella nostra vita quotidiana. Le macchine ora non solo eseguono compiti, ma apprendono, decidono e persino creano, trasformando profondamente la società. Questo cambiamento, tuttavia, solleva questioni etiche e legali di portata epocale. Già l'autorevole giurista Stefano Rodotà aveva intuito che l'era digitale, se non regolamentata, avrebbe esposto la persona al rischio di essere ridotta a un mero oggetto, una serie di dati da usare e manipolare. Il suo appello era chiaro: il diritto non doveva inseguire la tecnologia, ma anticiparla, costruendo un quadro normativo che ponesse al centro il valore intrinseco dell'essere umano.

Il contesto europeo e l'approccio antropocentrico

Prima dell'intervento nazionale, il legislatore europeo aveva già tracciato la strada. Con l'adozione del regolamento UE 2024/1689, noto come AI Act, l'Unione Europea ha stabilito un approccio armonizzato e basato sul rischio per la regolamentazione dell'IA. L'AI Act riconosce la necessità di promuovere l'innovazione, ma stabilisce anche regole rigorose per i sistemi ad alto rischio, come quelli usati in ambito sanitario o nel riconoscimento biometrico, con l'obiettivo di garantire che l'IA sia sicura, trasparente e affidabile. Questo quadro normativo europeo ha preparato il terreno per le iniziative legislative dei singoli stati membri, ponendo l'individuo e i suoi diritti al centro di ogni progresso tecnologico.

La risposta italiana: un passo avanti per i diritti digitali

In linea con questa visione, l'Italia ha compiuto un passo decisivo approvando la legge quadro sull'intelligenza artificiale. Questa normativa non si limita a un approccio generico, ma introduce modifiche sostanziali al codice penale per contrastare gli abusi dell'IA in modo mirato e incisivo. Il cuore di queste modifiche risiede nel riconoscere che la dignità umana e l'autodeterminazione sono concetti che devono essere protetti anche nello spazio digitale.

La legge interviene su più fronti, dimostrando la consapevolezza che le minacce digitali non sono limitate a un singolo atto, ma possono colpire la persona, la società e la democrazia stessa.

Il nuovo reato di deepfake: protezione dell'identità personale

La novità più rilevante è l'introduzione del nuovo reato di "illecita diffusione di contenuti generati o manipolati con sistemi di intelligenza artificiale", comunemente noti come deepfake. L'articolo 612-quater c.p. punisce con la reclusione da 1 a 5 anni chiunque causi un danno ingiusto a una persona, diffondendo senza il suo consenso immagini, video o voci falsificati con l'IA, che siano idonei a trarre in inganno sulla loro autenticità.

La norma è stata strategicamente inserita tra i "Delitti contro la persona" e in particolare contro la "libertà morale". Questa scelta sottolinea che il reato non riguarda semplicemente la falsificazione di un file, ma la violazione dell'identità e dell'autonomia decisionale di un individuo. Il deepfake non è un semplice inganno, ma una profonda manipolazione che può compromettere la reputazione, le relazioni e la dignità stessa della vittima, violando il suo diritto di essere riconosciuta per ciò che è.

Aggravanti e minacce alla democrazia

Oltre al deepfake, la legge ha aggiornato il codice penale per affrontare l'uso dell'IA in contesti più ampi.

Aggravanti comuni (Art. 61 c.p.). Viene integrato l'articolo che elenca le circostanze aggravanti, riconoscendo che commettere un reato con sistemi di IA è più grave se questi hanno agito come "mezzo insidioso", hanno ostacolato la pubblica o privata difesa o hanno aggravato le conseguenze del reato. L'IA non è più un semplice strumento, ma può diventare un'arma che accresce la pericolosità del reato stesso.

Diritti politici (Art. 294 c.p.): la legge introduce un'aggravante a effetto speciale per il reato di attentati contro i diritti politici del cittadino (Art. 294 c.p.) in caso di utilizzo dell'intelligenza artificiale cambia, passando dal range base da uno a cinque anni a quello aggravato da due a sei anni. Questa misura riconosce il rischio che l'IA possa essere usata per influenzare su larga scala l'opinione pubblica e minare la libera espressione del voto, pilastro di una democrazia sana.

In conclusione, la legge italiana sull'IA rappresenta un passo fondamentale per adattare il nostro quadro giuridico alle sfide dell'era digitale. Non si tratta solo di aggiornare un codice, ma di costruire un "diritto della dignità" nell'era digitale, realizzando in parte l'eredità intellettuale di Stefano Rodotà e garantendo che il progresso tecnologico non avvenga a scapito dei diritti fondamentali e della libertà umana.

 

*Board Member, SRSN (Roman Society of Natural Science)
Past Editor-in-Chief Italian Journal of Dermosurgery

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