Storia e scienza al Museo Naturalistico Mineralogico del Collegio Nazareno di Roma

Prosegue la scoperta dei Musei che hanno avuto una parte rilevante nella storia del sapere scientifico: questa volta la visita è al Museo Naturalistico Mineralogico del Collegio Nazareno di Roma, gestito dal Gruppo Mineralogico Romano presieduto dal dott. Vincenzo Nasti, che si ringrazia per aver fornito le notizie utilizzate nel presente articolo e per l’intervista concessa.
Entrando dalla sede dello storico palazzo del Collegio Nazareno (fondato da S. Giuseppe Calasanzio nel 1630 e destinato all’istruzione dei ragazzi più bisognosi) si raggiunge, attraverso una ripida scala a chiocciola, l’universo silenzioso del Museo, popolato, il sabato pomeriggio, anche dagli esperti collezionisti e dai ricercatori iscritti al GMR, solitamente impegnati a studiare nella postazione loro riservata.
Al centro della sala principale spicca una lunga teca che raccoglie esemplari di minerali e di marmi, lungo le pareti, invece, le grandi vetrine illuminano l’ambiente, con  altri preziosi campioni di pietre, marmi ed una collezione di animali impagliati: un’altra sala conserva, tra gli altri reperti, lo scheletro di una balenottera, detta “la Gismondina” (dal nome di Gismondi, cui si deve la scoperta del minerale Gismondina, composto da silicato di magnesio-calcio-alluminio).
La storia del Museo, uno dei più antichi di Roma, nasce da lontano, precisamente alla fine del ‘700, in un periodo storico che vede la sistematizzazione delle raccolte conservate presso gli Istituti di istruzione e le Università, con la creazione di nuove strutture museali dedicate ai temi tecnico-scientifici. Giuseppe II non era ancora imperatore quando, nel 1769, fece visita al Collegio (divenne imperatore dopo la morte della madre, Maria Teresa d’Austria,  avvenuta nel 1780); egli si era recato a Roma per ragioni di conclave (l’elezione del Pontefice Clemente XIV, rimasto alla storia per la soppressione dell’Ordine dei Gesuiti)  ma dopo la visita al Gabinetto di Mineralogia del Collegio egli decise di donare una preziosa raccolta di campioni provenienti dai giacimenti minerari dell’Ungheria: una targa ricorda questa memorabile visita.

Mai come in questo caso lo sviluppo del Museo va ricostruito attraverso le vicende dei suoi “padri fondatori”: Scipione Breislak (1748 – 1826), Giovanni Vincenzo Petrini (1725 – 1814), Carlo Giuseppe Gismondi (1762 – 1824) ed Adolfo Brattina (1852 – 1935). Il primo, Breislak, scoprì la passione per i minerali collegati ai vulcani della zona di Roma accompagnando suo padre, esattore della Curia pontificia ed intraprese i suoi studi scientifici proprio presso il Collegio Nazareno, dove rimase successivamente in qualità di insegnante. Ottenuta una Cattedra di Scienze Naturalistiche presso l’Università di Milano, ebbe modo di entrare nel mondo cosmopolita culturale e scientifico che animava gli anni dell’Illuminismo, da Kant a Rousseau, da Lavoisier a J.Hutton. Insieme al naturalista Lazzaro Spallanzani (1729 – 1799), Breislak (cui è intestato persino un cratere lunare…) condusse studi sui vulcani laziali e sulla Solfatara di Pozzuoli, seguendo la ricostruzione delle “fabbriche dell’allume” nell’area vesuviana, andate distrutte durante il terremoto del 1694. Nel 1811 egli pubblicò il Trattato di Geologia in cui alle conoscenze geologiche si affiancavano quelle paleontologiche, rendendo possibile uno studio contestualizzato dei minerali; morì nel 1826,  dopo essersi dedicato al nuovo Museo universitario di Milano  e il suo lavoro fu proseguito da Vitaliano Borromeo (fondatore dell’omonimo Museo Mineralogico, oggi Museo Civico di Storia Naturale di Milano)

 

 

Un grande erede di Breislak fu Giovanni Vincenzo Petrini (1725 – 1814) che da giovanissimo scelse di vestire l’abito dei Padri Scolopi (Congregazione fondata da S. Giuseppe Calasanzio nel 1592 e riconosciuta nel 1622 dalla Chiesa come Ordine, dedicato alle persone bisognose); già Rettore del Seminario Calasanzio, dal 1775 divenne Rettore del Collegio Nazareno. Uomo di altissimo livello scientifico ed autore di studi sugli animali e sulla geografia, il Petrini si trovò a lavorare con i materiali raccolti nel Collegio, al punto da istituire un “Gabinetto di Mineralogia” completo di strumentazione idonea (l’opera dedicata al Gabinetto fu pubblicata nel 1792) e successivamente a compilare il trattato (che sarà donato all’Imperatore Giuseppe II d’Austria) “Institutiones Regni Mineralis exhibens pene maxima et Hungaria metallorum seriem liberitate Augusti Yosephii II, Romanorum Imperatoris, ad usum Collegii Nobilium Nazareni, dono datorum”, opera che riveste grande importanza storica, in quanto in essa l’Autore si sofferma sulla genesi dei minerali, secondo un approccio del tutto nuovo rispetto alla tradizione filosofica e “taumaturgica” ancora vigente.
Petrini, per primo, osservò che l’accrescimento dei cristalli avveniva attraverso “porzioni costanti o per similari meccaniche naturali”; egli propose inoltre di studiare i minerali sulla base delle reazioni chimiche. Il Museo, nel frattempo, aveva ricevuto la visita, nel 1796, di Papa Pio VI, il quale donò “due pezzi rispettabili di miniera di valore assai considerevole” ed aiutò finanziariamente il Museo, ormai centro di ricerca “ante litteram” della mineralogia e dei vulcani del Lazio. Dopo i riconoscimenti ottenuti per l’innovativo lavoro scientifico condotto, il Petrini dovette affrontare – durante il periodo napoleonico – l’amarezza dell’espulsione dall’Ordine degli Scolopi, a causa delle sue idee ritenute troppo illuministiche e “giacobine”: il suo ritorno alla città natale di Lucca fu accolto con entusiasmo dai concittadini, che potevano onorarsi di un così illustre scienziato (sembra che lo stesso Canova ne abbia scolpito il busto commissionato dal Cardinale Cesare Borgia).

 

 

Giungiamo così alla figura di Carlo Giuseppe Gismondi (1762 – 1824), sacerdote e scienziato, il quale, durante la sua permanenza a Palermo (dove insegnava Scienze matematiche e fisiche presso il Real Collegio Carolino) ebbe modo di visitare il Museo Mineralogico, in cui erano conservati campioni provenienti dall’Etna, dalle Isole Eolie e dai Vulcani Vesuviani. Egli ebbe contatti con i maggiori specialisti di mineralogia del mondo (dai docenti della Sorbona al Webster di Boston, fino al celebre Dolomieu) e con esperti di chiara fama, quali il geologo Gian Battista Brocchi, con cui condusse studi classificatori di minerali e sopralluoghi nei dintorni di Roma, dal cui esito ebbe origine la collezione paleontologica (reperti provenienti dalla collina di Monte Mario e di Tor di Quinto). Risale al 1803 la presentazione di una memoria all’Accademia dei Lincei, nella quale veniva descritta la “lazialite”, specie mineralogica rinvenuta nelle lave del lago di Nemi; l’opera didattica e l’entusiasmo prodigato dal Gismondi in tali ricerche (pubblicate nei lavori “Osservazioni sui contorni del Lago di Nemi” ed “Osservazioni sopra alcuni minerali de’ contorni di Roma”) gli valsero, nel 1809, la cattedra di Mineralogia e Paleontologia presso l’Università “La Sapienza” di Roma (già “Arciginnasio Vaticano”) appositamente creata per lui da Papa Pio VII.

 

 

Affascinati dalle “storie” dello sviluppo di questo Museo, chiediamo a Vincenzo Nasti, Presidente del Gruppo Mineralogico Romano, quando è nato il suo interesse per lo studio dei minerali: egli ci risponde che la sua passione è nata sulle Dolomiti, da sempre scrigno di tesori minerari geologici, durante le vacanze estive. Quali sono, a questo punto, i prossimi obiettivi del Gruppo (associazione che, ricordiamo, non è a scopo di lucro)? La prima speranza – risponde Nasti – è la prosecuzione di un lavoro comune, anche in collegamento con il Gruppo Mineralogico Lombardo (tra i  suoli più ricchi figura infatti il mitteleuropeo). E’ inoltre allo studio presso il Parlamento un nuovo regolamento per la ricerca dei minerali in Italia, una decisione politica importante, che consenta all’associazionismo di poter svolgere compiti di sensibilizzazione e divulgazione di tali studi, in collaborazione con le Università, con cui il Gruppo è da sempre in ottimi rapporti. L’augurio è dunque che il ruolo dell’associazionismo sia considerato filtro e garante, sia per i ricercatori che operano nel campo della mineralogia, sia per i territori su cui tali ricerche si svolgono, in un panorama di massima interazione e sviluppo della ricerca.

 

Bibliografia:
G. Crocetti, P. Mattias, P.M.Ruali, “Il Museo Naturalistico Mineralogico del Collegio Nazareno”, 2007
P.M.Ruali, V. Nasti, “La Collezione mineralogica” – Gruppo Mineralogico Romano, 2007
Altre informazioni sono disponibili sul sito: http://www.gminromano.it

Luisa Sisti

Ultima modifica il Mercoledì, 09 Settembre 2009 10:26
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