L’indicazione della vaccinazione da parte del Ministero della Salute è estesa alla fascia di età dai 9 ai 26 anni (3): quindi l’efficacia del vaccino per l’HPV interessa tutta questa coorte di donne. E’ evidente che il gruppo di più giovane età rappresenta il primo target, perché sono in genere soggetti che con alta probabilità non hanno avuto ancora rapporti sessuali (ricordiamo che in Italia l’età media del 1° rapporto è intorno ai 16 anni), sono “naive” al virus, cioè siero/DNA negative ai tipi vaccinali fino al completamento delle tre dosi, e mostrano inoltre il più alto tasso di risposta anticorpale neutralizzante la particella VLP (Virus Like Particle) di allestimento del vaccino. Tuttavia le donne in età compresa tra il 16° e 26° anno, che si trovano nei valori medio statistici di fascia sessualmente attiva, come dimostrato dagli studi di fase III, presentano un’alta immunogenicità per il vaccino quadrivalente. La possibilità che questa coorte abbia già acquisito una positività sierologica per l’ HPV non la esclude da un buon risultato della prassi vaccinale, in quanto và a raggiungere tutti i risultati degli end-points primari di efficacia, ed è inoltre in grado di proteggere da quei ceppi in cui non vi era stata in precedenza immunizzazione. Ciò fa affermare che il vaccino è altamente efficace anche in queste donne, e che la copertura anticorpale di questa fascia permette di attuare quel programma di prevenzione primaria che serve ad attuare la profilassi del cervicocarcinoma (catch-up vaccination). La Tabella I mostra alcuni criteri di selezione per il ginecologo riguardo ad una scelta vaccinale.
Se tradizionalmente il coinvolgimento del pediatra e del medico di base riguarda due ambiti diversi, rispettivamente inerenti alle vaccinazioni in età pediatrica e quelle dell’adulto, nel caso della vaccinazione per l’HPV, considerato che l’età target dell’intervento si situa a cavallo tra l’infanzia e l’età adulta, è necessario rafforzare le sinergie e alleanze già esistenti attraverso una attività di programmazione mirata all’integrazione delle figure professionali (4). In questo ambito il ruolo del ginecologo diviene centrale per il tipo di profilassi settoriale, e per il riferimento diretto che la giovane donna chiede come competenza specialistica. Certamente un ruolo di centralità del ginecologo lo configura come più vicino sia alle madri che alla giovane donna, con un chiaro indirizzo di tipo oncologico-ginecologico, e che è in grado, in un centro di prevenzione cervicale, di poter fronteggiare qualsiasi tipo di atteggiamento terapeutico in caso di diagnosi di carcinoma o di suoi precursori, oltre alla possibilità di trattare le patologie infettive da HPV.
E' opportuno inoltre chiarire che il vaccino non ha effetto terapeutico, ma è indicato per le indicazioni preventive succitate, mentre non ne è ancora consentito l'uso in gravidanza, che non deve intercorrere nella fase del ciclo vaccinale, anche se le premesse di alcune gravidanze incidentali verificatesi durante la fase sperimentale non hanno registrato eventi avversi significativi in merito a patologia gestazionale ed outcome neonatale.
Volendo addentrarci in un’analisi di trattamenti da selezionare dopo vaccinazione per patologia virale da HPV , ed esaminando i protocolli di ricerca degli studi FUTURE I (Garland,2007) e II (Future II Study Group) , i risultati pubblicati della fase III di soggetti che hanno ricevuto vaccino quadrivalente o placebo in randomizzazione hanno verificato (primo studio 013) l’efficacia al 100% del vaccino profilattico quadrivalente nel prevenire i due end points primari nei 3 anni di follow-up della popolazione per protocol. Mentre non vi sono stati casi di infezione nel gruppo Gardasil (n=0), nelle pazienti con placebo abbiamo assistito a 48 casi di condilomi vulvari e 6 di condilomi vaginali ; 9 casi di VIN 1/VaIN 1 e 9 di VIN 2/3 o VaIN 2/3 nel gruppo placebo confrontati sempre a 0 casi nel gruppo delle vaccinate ; 49 casi di CIN 1, 21 casi di CIN 2, 17 casi di CIN 3 e 6 di AIS tutti nel gruppo placebo versus nessun caso nel vaccino. Ciò potrebbe far concludere che il vaccino vada ad annullare le percentuali di giovani donne da sottoporre a trattamenti. In realtà, riferendoci all’analisi combinata di quattro studi clinici randomizzati di fase II/III (005, 007, 013, 015 del gruppo FUTURE II), l'efficacia del vaccino è stata valutata in 20583 giovani di età compresa tra 16-23 anni (5) con randomizzazione per ricevere il quadrivalente (9087 soggetti), la sola componente HPV 16 ( 1204 soggetti) o il placebo (10292 soggetti) , con follow-up medio di 3 anni a partire dalla dose iniziale. L’endpoint primario era l’incidenza di CIN2/3, AIS o carcinoma della cervice uterina da HPV 16/18. Nelle donne naive (n=17.129 p/protocol), il gruppo placebo ha registrato 85 casi di CIN 2/3 o AIS HPV 16/18 relato ed istologicamente confermato, mentre solamente un caso di CIN3 si è verificato nel gruppo vaccino, risultando un'efficacia vaccinale del 99% sull' endpoint primario (95% CI ). Invece, l’analisi della randomizzazione nei soggetti suscettibili (popolazione intention to treat) ha dimostrato come il vaccino sia in grado di ridurre del 44% l’incidenza di CIN 2/3 e AIS correlate a HPV 16/18 . Una gran parte di queste lesioni si è manifestata precocemente (entro i primi 12 mesi), perchè già esistente in fase iniziale; nel tempo si è assistito ad una “forbice” differenziale positiva delle due curve grazie alla scomparsa di lesioni da virus vaccinali nel gruppo vaccinato. Questo fa pensare che l'effetto protettivo vaccinale non sarebbe garantito nei soggetti PCR positivi al basale , mentre sarebbe garantista nell’efficacia a distanza nei casi sieropositivi ma PCR negativi “ab initio”. In un secondo controllo temporale dei soggetti intention-to-treat si è assistito ad ulteriore decremento del 18% d’incidenza nelle lesioni di alto grado causate da qualsiasi tipo di HPV (vaccino vs placebo), vaccinali e non vaccinali. (6). Certamente quindi, per tornare alla nostra selezione di trattamento, la parte di pazienti positive sarebbe da inserire nella fascia da seguire per essere sottoposta a terapia .
In ultima analisi, dovremo prendere in considerazione la patologia vulvare e vaginale di alto grado collegata all'HPV 16 e 18 (VIN 2/3, VaIn 2/3) in rapporto all'efficacia del vaccino. L’analisi combinata di tre trias randomizzati (007, 013, 015) su 18174 giovani donne tra 16 e 26 anni selezionate in 157 centri in America, Europa ed Asia, nella popolazione PPE (per protocol) dopo 3 anni ha confermato il 100% di efficacia del vaccino contro le lesioni VIN e VaIn 2/3 HPV 16 e 18 associate. Riferendosi invece alla popolazione intention-to-treat l’efficacia è stata del 71% (range 37-78) per lo stesso endpoint correlato ai tipi vaccinali, e del 49% contro le lesioni vaginali e vulvari di alto grado indipendentemente dal tipo del virus (7). Anche in questo caso, si selezionerebbe un gruppo di pazienti da trattare per patologia vulvare o vaginale.
Sulla base di queste premesse, con l'avvento del vaccino il quesito sulla possibile modifica dell'approccio terapeutico alle patologie mediate dall'HPV pone svariate considerazioni, quali:
- Diminueranno le CIN ?
- Si selezioneranno i ceppi di HPV ?
- Come valutare le persistenze di HPV ?
- Si selezioneranno le diagnosi di patologia cervicale ?
- Lo screening deve essere mantenuto, selezionato, o maggiormente orientato verso l' HPV test ?
- Il trattamento sarà sempre in funzione degli esiti dello screening ?
- E a che punto siamo con i vaccini terapeutici ?
Proviamo ad affrontare i vari quesiti.
Se dobbiamo considerare ciò che sarà il reale effetto della vaccinazione, i previsti risultati presumono un drammatico (ma positivo) declino delle lesioni cervicali di alto grado (CIN 2/3), del carcinoma in situ, e logicamente della malattia invasiva (quesito n.1). Tutto dipende dal tempo in cui le campagne di vaccinazione e le chiamate per le dodicenni , renderanno possibile il rispetto della copertura vaccinale nei vari paesi, considerando inoltre le variabili delle coorti previste dai providers di salute (8), e le scelte individuali delle donne di esercitare prevenzione primaria. Certamente l’accostamento dello screening alla vaccinazione rappresenta la combinazione strategica più efficace: un modello computerizzato sviluppato dalla Harvard School (2007) sulle strategie di prevenzione del cancro , confrontando la vaccinazione vs HPV 16 e 18, gli screening citologici, e le strategie combinate (vaccino + screening), afferma che la terza ipotesi è la migliore, con previsione di riduzione del 15% delle LSIL , e del 49% delle HSIL . Nelle proiezioni oltre i 5 anni, la vaccinazione unitamente allo screening sarebbe in grado di diminuire il numero di casi di cervicocarcinoma del 66% , in accordo con i dati del QALY (Quality-Adjusted-Life-Year). Per rispondere alle previsioni dello screening post-vaccinale (quesito n.5) , è possibile comunque che in futuro, certamente in proiezioni superiori a 10 anni di campagne vaccinali ben orchestrate, si possano proporre delle correzioni selettive nello screening, proponendo dagli innalzamenti di età della chiamata, iniziando ad esempio da 30 anni (9), che è la stessa età di cut-off in cui aumenta l’associazione di persistenza virale ad alto rischio, ed eventuali dilazioni nell’intervallo di screening (dai 3 ai 5 anni). Indubbiamente, nel post-marketing vaccinale, l’HPV test avrebbe una maggiore selettività di valutazione, sia per la possibilità di genotipoizzare qualitativamente persistenze di positività di ceppi diversi da quelli del vaccino, che per paragonare questa popolazione a quella generale non vaccinata. Quindi, in definitiva, l’esito dello screening determinerà la frequenza e la selezione di trattamento (quesito n.6) e si troveranno le strategie e i tempi più adeguati per il controllo delle persistenze virali.
Per fare un’analisi delle persistenze virali (quesito n.3), sappiamo che attualmente una quota di circa il 10% di donne in follow-up post-eposizione e/o dopo trattamento mantiene una positività di HPV ad alto rischio oltre il secondo anno, e di queste una parte è ancora positiva dopo 10 anni. In questo caso un’arma di previsione clinica di progressione può essere l’esecuzione periodica dell’ mRNA/HPV, dotato di maggiore predittività clinica, e un follow-up colposcopico. Questo permetterebbe un possibile intervento, non appena dovesse verificarsi un aggravamento citocolposcopico, e, per rispondere ad un altro quesito (quesito n. 4), aiuterebbe a selezionare le diagnosi di patologia cervicale.
Riguardo il problema del replacement e la selezione dei ceppi virali (quesito n.2), il vaccino induce indubbiamente un'immunità di tipo ristretto, mediata da anticorpi neutralizzanti che nei modelli animali esibiscono una restrizione-tipo similare a quella in vitro. Nelle sequenze degli epitopi considerati ci può inoltre essere una cross-neutralizzazione anche tra varianti dello stesso tipo (ad es. nei tipi 31 e 45). Sicuramente nella “broad protection” del programma di eradicazione del cervicocarcinoma, viene richiesta una protezione per tutti i tipi di HPV, per cui lo screening citologico e con HPV/DNA dovrà rimanere per coprire gli altri tipi oncogeni, che tra l'altro teoricamente potrebbero “espandersi” per sostituire le nicchie ecologiche lasciate dall'immunità vaccinale, e rendere fallimentare il drop atteso. E' questo da considerare un concetto reale ? La competizione con altri tipi oncogenici nei siti occupati dal 16 e 18 per le cellule target è evento difficilmente dimostrabile. Attualmente la ricerca non dà evidenza che più di un tipo possa concorrere con genotipi differenti per infettare la stessa cellula ospite, attraverso un blocco cellulare o per superinfezione da altri tipi : tale evento è pertanto estremamente improbabile “in vivo”(10). Invero, quando due differenti genotipi di HPV si trasferiscono nei cheratinociti possono replicare insieme, ma un solo tipo resta dominante. E' possibile quindi che vi siano eventi ricombinanti, ma molto infrequente, e a bassa sopravvivenza del virus. Dal punto di vista immunologico, i differenti sierotipi di HPV suggeriscono una forte selezione di anticorpi neutralizzanti indotti da carica infettiva, e se il sottotipo infettante induce una risposta cross-protettiva su altri tipi, questo potrebbe competere sugli ospiti, presupponendoli simili per essere accolti nella nicchia libera. Il concetto resta al momento solo teorico, in quanto la protezione anticorpo-mediata ha un alta specificità di tipo, e la storia naturale sostiene una relativa indipendenza dei singoli ceppi., ove l'importanza dell'immunità cellulo-mediata nell'eradicazione dell'infezione è ampiamente riconosciuta.
Per aggiornare lo stato della ricerca sui vaccini terapeutici (quesito n.7), la subunità vaccinale si avvale delle proteine E6 ed E7 su L2, ed è atta a generare una forte risposta immune contro le cellule infettate negli alti gradi e nel cervicocarcinoma. La scelta è basata ovviamente su modelli animali, e offre targets interessanti di immunoterapia dal momento che manifestano la loro espressione in cellule neoplastiche virus relate, e possono effettivamente controllare tumori stabilizzati. Nella Fase I in doppio cieco, il vaccino L2/E6/E7 con solo HPV 16 è stato somministrato a 40 volontari per intramuscolo, con buona tollerabilità e senza riportare alcun evento avverso importante. Un altro studio ha utilizzato un vaccino ricombinante 16/18 espresso sempre in E6 ed E7 (TA-CIN) ha mostrato immunogenicità e qualche chiara risposta clinica anche in donne con malattia di lunga data. Un ulteriore trial di Fase II con adiuvante topico è iniziato nella primavera 2006, reclutando nuovi pazienti, ed è in avvio. Altri vaccini designati di seconda generazione per essere efficaci in post-esposizione in caso di persistenza di HPV e per i bassi gradi (LSIL) sfrutterebbero invece la proteina E2. Siamo comunque ancora molto lontani dal poter obiettivare una scelta terapeutica con l’utilizzo di questi vaccini.
In conclusione, allo stato attuale l’impatto della vaccinazione sulle procedure terapeutiche cervicali conclusive, senza dover considerare il tipo di HPV che sia in causa per l’infezione, nelle donne naive arruolate nei protocolli 007, 013 e 015, ha dimostrato una potenziale riduzione del 40,1% dopo 3 anni di follow-up. Nella popolazione ITT il corrispondente decremento nei trattamenti è stato del 20% (95% CI: 9,4-29,3). La risposta su quali e quanti trattamenti saranno modificati è indubbiamente in funzione di come e quanto sarà socialmente ed economicamente possibile vaccinare le coorti prestabilite di giovani donne. Quindi solo il tempo e l’applicabilità della prevenzione primaria potrà risponderci.
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Biamonti A. – Franchi L.
Ospedale Cristo Re, Roma
Dipartimento Ginecologico e Materno Infantile
Centro di Vaccinazione HPV “Giovax”