La Sanità in Italia: quando il diritto alla privacy uccide il diritto alla cura

Guido Donati* 25 Set 2025

 

Viviamo nell'era dell'Intelligenza Artificiale, dei big data e della connettività istantanea. Eppure, nel cuore del nostro sistema sanitario, il tempo sembra essersi fermato. La legge concede alle strutture sanitarie fino a 30 giorni per rilasciare una cartella clinica. Un'attesa che può suonare come un'eternità quando, per patologie a progressione rapida come un tumore, ogni singolo giorno può significare la differenza tra la vita e la morte. Questo non è un problema burocratico, ma una profonda e pericolosa contraddizione: la lentezza della burocrazia mette a rischio la vita dei pazienti, in nome di un'inerzia che oggi non ha più senso di esistere.

L'assurdo dei sistemi non comunicanti
La radice del problema non è solo la burocrazia, ma un'infrastruttura tecnologica arretrata e frammentata. Nonostante ci siano centinaia di migliaia di computer negli ospedali, i dati non "marciano" da un reparto all'altro. Il medico di un reparto non ha accesso immediato alle informazioni del pronto soccorso, e un referto istologico non arriva in automatico al reparto di oncologia. Ognuno ha un proprio sistema, spesso incompatibile con gli altri. Questa frammentazione non solo rende i processi lenti, ma aumenta il rischio di errori medici e di duplicazione di esami. La mancata digitalizzazione non è più un semplice problema di efficienza, ma di sicurezza. In questo scenario, il ritardo non è solo un fastidio, ma può tradursi nel concetto giuridico di "perdita di chance", ovvero la perdita della concreta possibilità di ricevere cure tempestive e di guarire.

La mancata preparazione: un fattore umano
La tecnologia è solo una parte dell'equazione. A questa si aggiunge la scarsa preparazione del personale sanitario e amministrativo sull'uso di nuove tecnologie. I professionisti non sono stati formati per gestire un flusso di dati digitali, e spesso sono costretti a destreggiarsi tra archivi cartacei e sistemi informatici obsoleti. L'introduzione di un sistema centralizzato non può prescindere da un piano di formazione massiccio e continuo. Senza un adeguato addestramento, anche il miglior sistema al mondo rimarrebbe inutilizzato o verrebbe usato in modo inefficiente, minando la fiducia nel processo di digitalizzazione.

La proposta: uno Stato che agisce di forza
A questo punto la domanda è: cosa fare? La risposta non può più essere un lento e graduale processo di aggiornamento. Lo Stato deve intervenire in modo deciso, con un piano di informatizzazione univoca e obbligatoria. Sebbene il diritto alla privacy sia fondamentale, non può essere un ostacolo insormontabile quando è in gioco la salute. In una scala di priorità, la vita del paziente deve prevalere. Questo non significa rinunciare alla privacy, ma ridefinire il modo in cui la gestiamo. Un sistema centralizzato, a differenza di tanti archivi frammentati e vulnerabili, può essere progettato per essere più sicuro, con protocolli di accesso e di crittografia avanzati. La sicurezza non deve essere il freno al cambiamento, ma l'obiettivo di un sistema finalmente unificato.

Conclusioni: rimettere la vita al centro
Il ritardo nella consegna delle cartelle cliniche e la frammentazione dei dati non sono solo sintomi di una burocrazia inefficiente, ma segnali di un sistema che ha perso di vista la sua missione principale: garantire il diritto alla salute. È tempo che la politica, la sanità e la società intera superino l'immobilismo per abbracciare un futuro dove la tecnologia salva vite, e non rimane prigioniera di un passato superato. La vita del paziente non può aspettare 30 giorni.


*Board Member, SRSN (Roman Society of Natural Science)
Past Editor-in-Chief Italian Journal of Dermosurgery

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