L’artista è pazzo?

È detto comune che gli artisti abbiano una vena di pazzia, o meglio che il loro temperamento artistico sia il motivo della loro condotta di vita insolita, sregolata e talvolta eccessiva. Naturalmente le cose non stanno affatto così, ma il fatto è che i certi pensieri o certe sensibilità spiccate dal punto di vista artistico non sono comprese da tutti, e così, ascoltando musiche d’avanguardia oppure osservando certe opere d’arte di non facile comprensione immediata, qualcuno lo afferma ancora.
E chiaro quindi che, nonostante tutto, la persistenza dell’associazione genialità-follia - più spesso declinata come genialità- malinconia – sussiste tuttora, ed è curioso trovarne traccia fin dai tempi antichissimi.

Un primo esempio lo troviamo infatti in alcuni scritti di Aristotele, che disse: “gli eccessi che la bile determina fanno sì che tutti i melanconici si distinguano dagli altri uomini, non a causa di una malattia, ma a causa della loro natura originale” (pertanto malinconia = originalità).
Interesse per l’argomento lo svilupparono anche gli uomini del Rinascimento a proposito di artisti come Raffaello e Michelangelo, il quale affermò “La mia allegrez’è la malinconia”, e poi raccontando a proposito di una cena cui aveva partecipato raccontò “ebbi grandissimo piacere, perché uscì un poco del mio malinconico, ovvero del mio pazzo” (qui invece malinconia = pazzia).

L’epoca romantica sottolineò il concetto di genialità unita alla follia/malinconia intesa come malattia in maniera molto incisiva. Per i romantici nell’arte c’era sempre una malattia. Ma, se ci pensiamo, come dar loro torto, molti dei più grandi musicisti del tempo furono malati (e malinconici): Beethoven, Schubert, Schumann, Chopin… (la lista è lunga), una pletora di personaggi affetti dai mali più gravi e dolorosi furono i più grandi nomi dell’800 musicale. In più la loro malattia divenne una forma di individualità - Beethoven fu “il grande sordo”, Chopin “il tisico”, Schubert “il sifilitico”, Schumann “il pazzo” - ed anche una forma di protesta contro l’ordine della società, quasi un contrassegno del loro essere grandi artisti.
Il susseguente Decadentismo rafforzò tali pensieri ed atteggiamenti grazie alle affermazioni di Proust, “ciò che è grande nel mondo lo dobbiamo ai nevrotici”, e di Thomas Mann, il quale dichiarò che “la malattia è in certo qual modo degna di venerazione, poiché serve ad affinare l’uomo, e renderlo intelligente ed eccezionale”, così che questa visione dell’artista sembrò davvero indicare l’artista come un pazzo o comunque un malato.
Ci volle il nuovo secolo per dare una svolta ad un tale distruttivo pensiero nei confronti degli artisti, tanto che Lombroso si disse convinto che “non uno dei geni maggiori fu malato di mente; e quando la pazzia venne davvero, le facoltà creative ne furono diminuite”, così che da ultimo il concetto della genialità si distaccò finalmente da quello della follia. Ed ecco così spuntare fuori i nomi di artisti dalla psiche perfettamente sana, dove sono solo il talento e la creatività a dar vita alle loro opere (anche qui la lista è lunga, anzi, lunghissima), uomini davvero originali nella loro intelligenza, non certo preda della follia.

Follia… è questa la parola chiave. Le controversie fin qui trattate si basano proprio su questo termine. Infatti troppe volte il rapporto fra arte e malattia è derivato dall’uso improprio di questa definizione, e troppe volte non si è capito che le gravi patologie psichiatriche sono assolutamente inconciliabili con la creatività artistica. Se è vero che molti artisti soffrirono di sbalzi d’umore (i citati Beethoven, Schubert e Schumann ne ebbero in abbondanza), è altrettanto vero che ci sono molte persone che, pur essendo particolarmente sensibili (o anche disturbate) dal punto di vista caratteriale, non sono affatto artisti, e soprattutto è certo che le manifestazioni psicotiche sono il punto estremo di una patologia ben seria, dove la creatività non c’entra proprio niente.

Ma, dato che la verità non sta mai da una sola parte, sappiamo per contro che gli artisti hanno un tasso di affezioni dell’umore superiore alla media del resto della popolazione, una caratteristica che, pur non essendo una vera e propria patologia, può precedere o favorire l’insorgenza di problemi della personalità. Una condizione simile porta il soggetto ad assumere atteggiamenti stravaganti e bizzarri, i quali nel tempo possono degenerare in problemi psicotici anche gravi, come allucinazioni e deliri, anche alternati a momenti di lucidità e fervida creatività, ma che comunque non sono peculiarità della pazzia. Potremmo in proposito citare decine di esempi (musicisti e non solo), e forse non è un caso che l’espressività e la bellezza di talune opere artistiche sia correlata a momenti umorali particolari, perché lo stato d’animo di un artista è fondamentale per una creazione, di qualunque genere essa sia.

La psichiatria si è occupata a lungo di questo fenomeno, e ciò che ne è venuto fuori è che un vero artista è colui che sa dominare le proprie energie sublimandole con il talento ed incanalandole perfettamente nella disciplina dell’arte, così che essa, supportata dalla tecnica e guidata dalla fantasia del suo creatore, saprà tramandarci il suo messaggio con la stessa intensità provata lui stesso.
Così un artista sofferente – o anche felice, perché no - produrrà opere dove il suo stato d’animo trasparirà intatto e genuino, ma non sarà la sofferenza – o la felicità – a renderlo un artista. La condizione emotiva in cui egli si trova potrà essere la sua ispirazione, ma il talento non è qualcosa di passeggero come può esserlo un momento umorale particolare, è la base su cui si fonda la sua arte, un pilastro del suo essere, non va e viene a piacimento. Ecco perché, di tanti artisti che vissero un’esistenza difficile, ciò che di loro resta è la loro essenza più vera.
Insomma, l’artista non è pazzo, e qualsiasi sia la patologia di cui egli possa soffrire, non è quella ad essere all’origine della sua grandezza, perché la malattia non crea nulla, semmai distrugge. Un esempio ce lo dà proprio Schumann, il quale compose musica solo finché rimase nella sua casa, mentre poi, quando fu internato in una casa di cura per malati di mente, non ne scrisse più.

Esistono senz’altro personalità dal forte temperamento e dalla incredibile creatività, coloro che vivono con grandi energie ed entusiasmi tutte le fasi della loro esistenza, e che, in preda ad un attivismo febbrile, sono in grado di produrre idee che sono alla base del processo creativo, ma da qui alla follia troppo ce ne corre.
Anche una capacità percettiva particolarmente acuita può costituire un sub-strato per la creazione di opere artistiche (musiche, opere figurative, poesie), ed allo stesso modo l’osservazione della realtà filtrata attraverso il velo della malinconia sa stimolare un’esperienza creativa, mille e più sono le occasioni o le illuminazioni di un artista nel periodo appena precedente la nascita di un opera. Poi l’opera nasce, ed è sempre un miracolo, mai la creazione di una mente malata.

Musicisti sofferenti di talune patologie nevrotiche ce ne sono stati tanti (oltre a Schumann ricordiamo Cajkovskij, che alla fine, prostrato, si suicidò), ma la loro creatività non ha subito variazioni né è venuta loro meno, probabilmente, anzi, essa li ha salvati dalla follia. La musica in particolare porta ad uno stato di grazia che davvero non ha nulla a che vedere con la follia, la malattia o la degenerazione, e ciò che la letteratura musicale ci offre ne è la prova più evidente.

 

Marina Pinto

Ultima modifica il Mercoledì, 09 Settembre 2009 10:26
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