Rehab all’italiana

Laura Battisti 19 Ott 2010

Un convegno (Senigallia, 1-2 ottobre) e una ricerca sui trent’anni di trattamento residenziale alcologico, terapia nodale nella rete di recupero dall’abuso e dalla dipendenza

La riabilitazione alcologica in regime di residenzialità breve è una modalità di trattamento ormai discretamente diffusa in Italia ma ancora poco conosciuta e studiata. A tale scopo si terrà presso il Centro congressi Finis Africae di Senigallia (AN), i prossimi 1 e 2 ottobre, un convegno su ‘La Residenzialità alcologica: creatività nella cura e riabilitazione’, organizzato dall’Associazione Corral (Coordinamento delle riabilitazioni residenziali alcologiche) e dalla Casa di Cura Villa Silvia con il patrocinio di Regione Marche, Provincia di Ancona e Comune di Senigallia.
L’evento rappresenta un momento di confronto tra gli operatori delle residenzialità, gli esperti, gli altri servizi, le istituzioni, i media e la cittadinanza, volto a far sì che quest’opportunità terapeutica venga riconosciuta, a pieno titolo e con modalità di accesso condivise, tra le risorse presenti sul territorio per il percorso riabilitativo alcologico.
Interverranno tra gli altri il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, on. Carlo Giovanardi, e il Direttore del Dipartimento per le Politiche Antidroga, dott. Giovanni Serpelloni.

La storia del trattamento alcologico residenziale in Italia inizia nel 1980 presso la sezione di Castellerio dell’Ospedale Civile di Udine: da allora le iniziative si diffondono soprattutto nel Nord, tanto che fanno eccezione solo due dei 12 centri riuniti nel Corral: Villa Silvia a Senigallia e il Centro di Chiaromonte (PZ).
Pur nella originalità e autonomia di ciascun centro, il percorso dei ricoverati nella residenzialità alcologica presenta caratteristiche molto simili, a partire da un ambiente ovviamente alcol-free e da una procedura di assessment (accoglienza e presa in carico) standardizzata. Precedentemente al ricovero il medico incontra il paziente per conoscerlo, valutarne motivazione e coinvolgimento, spiegare i principi e i dettagli del programma terapeutico. L’intervento viene costruito in base alle caratteristiche di ciascun paziente attraverso un lavoro multidisciplinare di alcologi, psichiatri, psicoterapeuti individuali e di gruppo, internisti, neurologi, nel quale sono essenziali la presenza e il sostegno dei familiari.

Una ricerca della Facoltà di Scienze Statistiche dell’Università Bicocca di Milano – di cui una parziale presentazione si terrà durante il convegno – permette per la prima volta di individuare le caratteristiche socio-demografiche, clinico-psicologiche e la condizione alcologica della popolazione di alcolisti in degenza presso un Servizio residenziale alcologico, di analizzare le caratteristiche dei pazienti ospedalizzati che potrebbero essere inviati a tali strutture con buon esito e di individuare i percorsi terapeutici, post dimissione e le caratteristiche dei pazienti predittivi di un futuro abbandono dell’alcol.
Circa due terzi del campione (circa un migliaio di pazienti) sono maschi, a conferma di una prevalenza di genere confermata, con percentuali diverse, da tutte le indagini epidemiologiche. Il 98,34% dei pazienti in trattamento residenziale proviene da una situazione di abuso o dipendenza da alcol, la cui frequenza è nel 59,5% dei casi superiore ai 10 anni (24,5% da 5 a 10 anni, 16% fino a 5 anni): per il 30,1% tale problematica si associa ad altri usi, abusi, dipendenze o comportamenti patologici, la metà ha una ‘doppia diagnosi’ (dipendenza e problematiche psichiche). Due terzi dei soggetti presentano altre patologie conclamate che nel 42,8% dei casi riguardano cirrosi ed epatiti. Il 56,3% dei pazienti è al suo primo ricovero e circa il 39% è stato inviato alla struttura da un Sert: segue il 16,9% indirizzato da medici, il 15,4 da servizi alcologici e il 6,7 da conoscenti, seguiti da servizi psichiatrici, poi familiari, ospedali, gruppi di auto-aiuto.
I percorsi riabilitativi seguiti presso i Servizi residenziali (sono possibili più percorsi in parallelo) consistono innanzitutto in terapie farmacologiche contro l’astinenza (23,6%). A seguire, interventi informativo-educativi (19,2%), terapie psico-farmacologiche (11,8%), interventi psicologici di gruppo (16,9%) e individuali (13%); con minore frequenza vengono impiegate altre terapie farmacologiche e attività espressive (filmoterapia, danzaterapia, art-therapy, gruppi di narrazione). Lo standard di successo di queste strutture sfiora l’87,6% di percorsi ultimati, con una minoranza dunque ristretta di auto dimissioni, complicanze o altro. Nel 44,3% dei casi la struttura cui il paziente viene indirizzato per il prosieguo del programma è il Sert, seguito da servizi alcologici (18,7%), medico di base o specialista (12,4%) e psichiatri (4,6%). “Il reparto alcologico deve sempre essere considerato un nodo dell’intervento di rete”, avverte Antonella Zambon, ricercatrice dell’Università Bicocca, “e quindi solo una parte di un progetto più lungo e complesso”.

Le dimensioni dei servizi di riabilitazione alcologica residenziale variano dai 10-15 posti letto (3 centri), ai 15-20 (7), fino agli oltre 20 (3). Quattro residenze accolgono oltre duecento pazienti l’anno, cinque ne accolgono 100-200, tre tra i 50 e i 100. I regimi di trattamento previsti dai servizi sono, nell’ordine: ricovero ospedaliero (sempre), ambulatorio, gruppi terapeutici-riabilitativi, day hospital. Gli interventi previsti sono sempre quelli riabilitativi e informativo-educativi, seguiti da attività espressive (in 11 centri), psicoterapie (complessivamente 16 tipologie), interventi farmacologici (complessivamente 26). Le modalità di trattamento previste sono il setting di gruppo (in tutte le strutture), individuale (in 6 strutture), familiare o multifamiliare (10). La durata complessiva della residenzialità è in dieci casi di 3-4 settimane e negli altri da una a oltre otto, ma oltre il 75% dei pazienti rimane in carico successivamente alle dimissioni per ricevere almeno uno dei servizi offerti.
Durante la procedura di accoglienza la diagnosi viene effettuata nel 92,3% dei casi secondo modelli specifici quali Dsm o Icd, mentre la valutazione dei disturbi mediante colloquio clinico ed esami tossicologici e, meno frequentemente, con interviste, questionari (al fine di valutare soprattutto l’assunzione di farmaci e sostanze illecite). La metà circa (46,15%) delle strutture effettua di default indagini dell’area della personalità, che le restanti realizzano laddove utili (gli strumenti più impiegati sono: colloquio clinico, test, interviste o questionari). La valutazione delle funzioni cognitive viene effettuata sistematicamente nel 18,18% dei casi e  in oltre 4 strutture su 5 in caso di utilità clinica. Il colloquio è lo strumento più usato anche nelle 8 strutture che effettuano verifiche di follow up per i pazienti dimessi.

“L’alcolismo è una patologia della motivazione e della scelta, non un semplice desiderio, anche se molto intenso, di assumere alcolici. È una vera e propria incapacità di capire e mettere in atto i comportamenti più utili dovuta alle modificazioni indotte sul nostro cervello, talvolta irreversibili e spesso basate su un substrato di vulnerabilità già presente”, dichiara il dottor Vincenzo Aliotta, Direttore generale della Casa di Cura Villa Silvia. “Per questo non esiste un unico intervento risolutore ma la terapia e la riabilitazione sono articolate in una sequenza di interventi sinergici a lungo-lunghissimo termine. In tale percorso la cosiddetta ‘riabilitazione residenziale a breve termine’ si propone in maniera sempre più autorevole”.
Questo approccio è “molto noto in vari Paesi ma non in Italia, dove la residenzialità è considerata sinonimo di comunità terapeutica e quindi di una permanenza di almeno un anno, mentre la permanenza nelle strutture residenziali dura solitamente fra tre e dodici settimane, strutturate in un programma intensivo, prosegue il presidente del Convegno ‘La Residenzialità alcologica: creatività nella cura e riabilitazione’. “Quattro gli obiettivi della riabilitazione: mantenimento della sobrietà del soggetto, focalizzazione dei problemi psico-fisici e relazionali alcol-correlati (impossibile in regime ambulatoriale), supporti farmacologici e psicologici per affrontare la dipendenza, costruzione di un programma post-residenziale concordato con il paziente e con gli altri attori (SER.D, Servizi psichiatrici e sociali, gruppi di auto-aiuto, medici, famiglia cui viene dedicato un programma specifico)”.
“Da circa un anno, 12 servizi di riabilitazione alcologica residenziale hanno costituito il CORRAL (COordinamento Residenzialità Riabilitative ALcologiche) al fine di mettere in rete il proprio bagaglio di esperienze e di studio e di offrire un supporto sempre più efficiente ed efficace a chiunque abbia problemi alcol-correlati”, ricorda Giovanni Vittadini, responsabile riabilitazione alcologica Fondazione Maugeri di Pavia. “Uno dei primi dati emersi dalla ricerca epidemiologica condotta dalla Facoltà di Scienze Statistiche dell’Università Bicocca di Milano – conclude il presidente del Coordinamento - è che, nonostante la scarsa promozione di questi servizi, annualmente si rivolgono ai centri CORRAL circa 2.000 persone, a testimoniare quanto il ‘passa parola’ sul successo della metodologia adottata appaia notevole”.

Laura Battisti

 

Ultima modifica il Martedì, 06 Marzo 2012 14:03
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