Né i governanti africani né i petrolieri sono impazziti. Questi ultimi sanno bene che la bolla del prezzo del barile di greggio è destinata a sgonfiarsi (nella fase parossistica del prezzo gonfiato fino a 140 dollari al barile venivano comprati e venduti ogni giorno circa un miliardo di barili, mentre l’estrazione mondiale quotidiana, quella concreta, non quella virtuale, restava a 85 milioni di barili), e che comunque è conveniente allestire impianti agro-industriali per la produzione di un combustibile alternativo ed economicamente vantaggioso. Quanto ai paesi tropicali in via di sviluppo, dove questa produzione viene avviata, non può essere sfuggito a quei governanti il fatto che è proprio il caro-petrolio il maggior responsabile dei rincari dei generi alimentari che affamano i loro popoli, in quanto il prezzo elevato dei carburanti aggrava in misura insopportabile il costo del trasporto di qualsiasi cosa, alimenti compresi; e che la concorrenza dei biocarburanti prodotti da materia prima vegetale, con il prezzo del barile di greggio a quel livello, può avere una funzione calmieratrice sui costi di trasporto, oltre a portare valuta in cassa.
Moltissimo dipende chiaramente dalla materia prima alcoligena utilizzata : produrre il bioetanolo dalla canna da zucchero, per esempio, è concorrenziale con un prezzo del petrolio già inferiore ai 50 dollari al barile, mentre la stessa cosa non si può certo dire de bioetanolo prodotto, per esempio, da cereali (altre materie prime di cui si era parlato in passato avrebbero una resa addirittura negativa : per esempio, la resa energetica dell’alcole da vino è nettamente inferiore all’energia complessivamente necessaria per produrre l’alcole da vino stesso). Ma esistono anche alcune materie prime alcoligene disponibili praticamente gratis, quali i residui di lavorazione delle industrie agro-alimentari, dalle sanse degli oleifici al siero di latte dei caseifici, ai residui dei pastifici, eccetera eccetera.
L’esempio che dimostra nel modo più clamoroso la convenienza della produzione agricola di materie prime alcoligene a scopo di autotrasporto è offerto dal Brasile, che in un breve arco di tempo è diventato il più forte (e ricco) produttore di bioetanolo, ricavandolo dalla canna da zucchero. Oggi come oggi, i motori della grande maggioranza delle autovetture nuove vendute in Brasile sono predisposti per funzionare con E85, ossia una miscela costituita all’85 % da etanolo e 15 % da benzina tradizionale. L’utilizzo della canna da zucchero per la produzione di biocarburante era stata avviata in Brasile fin dal 1975, e nel 2002 tale produzione era arrivata a 12 miliardi di litri; e successivamente la bolla del prezzo del petrolio ne ha aumentato a dismisura la convenienza economica. Nell’anno 2007 il Brasile ha prodotto 20 miliardi di litri di bioetanolo distillato dalla canna da zucchero, ossia il 35 per cento della produzione mondiale di biocarburanti.
Ma gli esempi sono numerosi: ne citiano solo alcuni. Lo scorso aprile una delle sette sorelle petrolifere, la British Petroleum, ha annunciato l’acquisizione in Brasile del 50 % di Tropical Energia, per 60 milioni di dollari, per la produrre il bioetanolo, ed ha nel contempo proclamato l’intenzione di investire ancora un miliardo di dollari in America Latina per costruire due impianti per la produzione di biocarburanti. In maggio, la società petrolifera brasiliana Constrant ha a sua volta concluso in Ghana un accordo che prevede la costruzione di un impianto per la produzione di 150.000 metri cubi annui di etanolo da canna da zucchero, da coltivare su un’estensione di 27.000 ettari. La società svedese Sekab ha già acquistato l’intera produzione di un intero decennio di questo impianto, pari a 1,5 milioni di metri cubi di bioetanolo: si prevede che le prime forniture cominceranno ad arrivare in Svezia fra un paio di anni. La Sekab aveva già progetti analoghi in corso in Tanzania e in Mozambico. (Vale la pena di ricordare che la Svezia è stata una assidua acquirente di bioetanolo italiano: quando i magazzini dell’agenzia per gli interventi sui mercati del Ministero dell’Agricoltura italiano traboccavano di alcole prodotto dalla distillazione obbligatoria delle eccedenze di vino, quell’alcole veniva svenduto sottocosto a chiunque si offrisse di portarselo via, e i motori del parco di autobus di Stoccolma marciavano con quel bioetanolo italiano, binificando gli scarichi dei loro motori a spese del contribuente italiano. E da noi gli autobus pubblici continuano ad inquinare senza pietà). La società automobilistica svedese Saab, fra l’altro, produce e vende una quantità di vetture con motore a bioetanolo.
Negli USA il bioetanolo viene usato come combustsibile fin dai primi anni ’80, ma negli ultimi anni la sua produzione dalla distsillazione di cereali (soprattutto del mais) è stata incentivata, ed à esplosa in modo spettacolare. Non è proprio sicurissimo che tale produzione resti a lungo a questi livelli (livelli già oggi soggetti a oscillazioni notevoli), ma ormai la breccia è stata aperta anche in quel paese dove i petrolieri sono una potenza indiscussa : la classe politica americana è convinta della necessità di svezzare l’economia nazionale dalla sua dipendenza dal petrolio importato. Da notare che proprio negli USA il bioetanolo fu il carburante indicato da Henry Ford per le autovetture da lui costruite all’inizio del secolo scorso. E anche l’attuale presidente e amministratore delegato della General Motors, Rick Wagoner, è un sostenitore del bioetanolo carburante, mentre denuncia il fatto che “i prezzi del petrolio costituiscono un fattore di rincaro dei generi alimentari di gran lunga più forte dell’etanolo” (Wagener è arrivato a definire “shockingly misinformed”, disinformato da lasciare allibiti, lo studio dell’ONU che faceva risalire il rincaro mondiale dei generi alimentari alla produzione dei biocombustibili).
Anche l’ENI si sta muovendo: è alla ricerca di accordi in Africa, e proprio all’inizio di luglio ha rinnovato con la brasiliana Petrobras un accordo di cooperazione in materia di biocarburanti, per studi di fattibilità su produzione e commercializzazione in Brasile e altrove.
L’Italia è molto avanti con la tecnologia per la produzione di bioetanolo, che per essere adatto alla carburazione nei motori deve essere anidrificato (e anche denaturalizzato per impedire eventuali frodi). Per contro, l’Italia è molto indietro quanto all’adozione del bioetanolo come carburante, ed i produttori italiani di bioetanolo (che fino ad ora hanno potuto solo esportare la loro produzione) puntano l’indice accusatore sulla burocrazia e sulla classe politica nazionale, che si è mossa con una vischiosità incomprensibile nell’attuazione della normativa necessaria, mentre negli altri paesi europei tale normativa è stata invece promulgata rapidamente e felicemente applicata.
Fatto sta che l’Italia produce oggi circa 130 milioni di litri di bioetanolo assoluto (cioè: anidrificato al 99,9 %), e lo esporta tutto. Ed esporta anche un’eccellente tecnologia e impianti per la distillazione di questo alcole, apprezzatissimi all’estero. Attualmente, un ettolidro anidro di bioetanolo, al netto delle tasse, è quotato circa 70 euro, sul mercato: chi vuole, faccia il raffronto con il prezzo attuale della benzina. (Un litro di benzina appena prodotto viene gravato di un’imposta di 0,60 €, mentre l’accisa che grava su un litro di etanolo supera i 7 €).
Il bioetanolo, alcole etilico o etanolo, è l’alcole più nobile fra i prodotti della distillazione : è costituito da un solo prodotto chimico puro (mentre le benzine sono costituite da cinque o sei prodotti chimici puri) la cui formula chimica è la seguente: C2H5-OH. E’ un composto organico derivato da un idrocarburo per sostituzione di uno o più atomi di idrogeno dei gruppi alchilici con gruppi ossidrili – OH. Entra in ebollizione a 78,3° (alla pressione di 760mm di mercurio), diviene viscoso a -80° e solidifica a -135°. Ha un peso specifico di 0,79 alla temperatura di 15°, un calore specifico di 0,6 e un calore di vaporizzazione di 220 calorie/Kg. Soprattutto, è perfettamente solubile sia nell’acqua che nella benzina, ed è fortemente igroscopico.
L’alcole etilico ha tutte le caratteristiche di un eccellente carburante, con un numero di ottano decisamente elevato: Research = 108,6 , Motor = 89,7. Per questo consente compressioni intense, ed è già stato utilizzato in corse automobilistiche.
E non inquina : quando brucia, con la sua fiamma azzurrina, lascia come residuo soprattutto vapore acqueo, e un po’ di CO2.
Se la materia prima migliore fino ad ora individuata è la canna da zucchero, che abbisogna di climi tropicali, quali possibilità esistono in Italia di produrre un biocarburante concorrenziale con il petrolio ? Premesso che per l’agricoltura del nostro paese, con 35 milioni di automezzi circolanti ciascuno dei quali abbisogna, mediamente, di una tonnellata di carburante l’anno, non è proprio possibile ipotizzare di poter produrre interamente i quantitativi necessari, esistono tuttavia in Italia circa un milione di ettari di terreno non sfruttati per l’agricoltura ove potrebbero essere coltivate piante non commestibili (e pertanto non da sottrarre alla produzione di alimenti) : ve ne sono alcune molto promettenti, in quanto a resa alcoligena, quali l’Arundo ed il Miscanthus Giganteum, una specie – quest’ultima – di canna adatta ai climi temperati, che cresce anche in terreno marginali, e che abbisogna di poca acqua. La sua resa potenziale è di 15.000 litri di bioetanolo per ettaro, ossia il 50 % più della canna da zucchero.
E, per migliorare ulteriormente la resa, c’è anche chi sta pensando alla possibilità di specie geneticamente modificate. Considerando che non si tratta di prodotti destinati all’alimentazione, né umana né animale, si può ipotizzare che stavolta ci saranno risparmiate le giaculatorie degli anti-OGM a oltranza.
Guido Scialpi