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14 Novembre 2024

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Venerdì, 12 Gennaio 2018

 


I TEST GENETICI PER PREVENIRE LA MALATTIA NELLE DONNE A RISCHIO”

Stefania Gori, presidente AIOM: “Essere portatrice di una mutazione dei geni BRCA1/2 comporta una maggiore probabilità, ma non la certezza di ammalarsi”. Fabrizio Nicolis, presidente Fondazione AIOM: “Le strategie a disposizione spaziano dalla sorveglianza intensiva alla chirurgia profilattica”

La nuova frontiera della prevenzione dei tumori passa dai test genetici. In particolare la mutazione di due geni, BRCA1 e BRCA2, aumenta il rischio di sviluppare le neoplasie della mammella e dell’ovaio. Per sensibilizzare tutti i cittadini sull’importanza di sottoporsi allo screening genetico in presenza di precedenti casi di queste due neoplasie in famiglia, Fondazione AIOM e AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) hanno realizzato un opuscolo che sarà distribuito in tutte le oncologie italiane. “Si stima infatti che il 5-10% dei tumori della mammella e il 10-20% delle neoplasie dell’ovaio siano dovuti a una predisposizione ereditaria, riconducibile in particolare alle mutazioni dei geni BRCA1 e BRCA2 – sottolinea Stefania Gori, presidente nazionale AIOM -. La probabilità di trasmettere ai figli queste mutazioni è del 50%. Va sottolineato che esserne portatori comporta una maggiore probabilità, ma non la certezza di ammalarsi. Non si eredita cioè il tumore, ma il rischio di svilupparlo. Se nel nucleo familiare si sono verificati più casi di tumore alla mammella o all’ovaio, soprattutto se insorti in giovane età, è importante rivolgersi a un centro specializzato. Una consulenza di carattere onco-genetico permette di pianificare un percorso di prevenzione e di cura mirato ed efficace”. Le donne che ereditano la mutazione di BRCA1 hanno una probabilità del 57% di ammalarsi di tumore alla mammella e del 40% di sviluppare un tumore ovarico nel corso della vita.

Pubblicato in Medicina

In una ricerca dell’Iia-Cnr, pubblicata sulla rivista Scientific Reports del gruppo Nature, reti di neuroni artificiali – che apprendono il funzionamento del sistema climatico dai dati osservati nel passato – confermano le azioni umane come causa principale del riscaldamento globale recente e conducono a nuove scoperte sui cambiamenti climatici dell’ultimo secolo

Le applicazioni dell’intelligenza artificiale (IA), sia in ambito scientifico che tecnologico, sono molto numerose. Pochi, tuttavia, si aspetterebbero che l’IA possa aiutarci a comprendere le origini di un problema attuale e pressante come quello dei cambiamenti climatici. Una ricerca recente dell’Istituto sull’inquinamento atmosferico del Consiglio nazionale delle ricerche (Iia-Cnr), pubblicata sulla rivista Scientific Reports del gruppo Nature e condotta in collaborazione con l’Università di Torino e l’Università di Roma Tre, ha mostrato come modelli di reti di neuroni artificiali (le cosiddette reti neurali) siano in grado di ‘comprendere’ i complessi rapporti tra i vari influssi umani o naturali e il comportamento climatico. “Il cervello di un bambino che cresce aggiusta pian piano i propri circuiti neuronali e impara infine semplici regole e relazioni causa-effetto che regolano l’ambiente in cui vive, per esempio per muoversi correttamente all’interno di esso”, spiega Antonello Pasini, ricercatore dell’Iia-Cnr e primo autore della ricerca. “Come questo bimbo, il modello di cervello artificiale che abbiamo sviluppato ha studiato i dati climatici disponibili e ha trovato le relazioni tra i fattori naturali o umani e i cambiamenti del clima, in particolare quelli della temperatura globale”.

Pubblicato in Tecnologia

Per anni si e' pensato che la causa della morte di un bambino vissuto circa 500 anni fa, il cui corpo fu imbalsamato e conservato nelle arche sepolcrali della Basilica di San Domenico Maggiore a Napoli, fosse il vaiolo. Oggi, un team internazionale di ricercatori della McMaster University di Hamilton in Canada, diretto da Hendrik Poinar, e della Divisione di Paleopatologia dell'Universita' di Pisa, costituito da Gino Fornaciari e Valentina Giuffra, ha appurato che il bambino era portatore del virus dell'epatite B, gettando nuova luce su un agente patogeno complesso e mortale, che uccide quasi un milione di persone ogni anno. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista online 'Plos Pathogens'.

Nel corso delle missioni esplorative dell'Universita' di Pisa nella Basilica di San Domenico Maggiore a Napoli, dirette dal professor Gino Fornaciari negli anni '80-'90, fu ritrovata la mummia intatta di un bambino di due anni che indossava ancora la veste monastica dell'Ordine Domenicano, grazie alla quale i ricercatori hanno ottenuto il sequenziamento completo del genoma di un antico ceppo del virus dell'epatite B (HBV). "Mentre in genere i virus si evolvono molto rapidamente, e' stato visto che questo antico ceppo di Hbv e' mutato poco negli ultimi 450 anni- spiega il professor Fornaciari- È stata infatti rilevata una stretta relazione tra i ceppi antichi e moderni di epatite B: entrambi mancano di quella che e' nota come 'struttura temporale'".

Pubblicato in Medicina


Male Myanmar or black snub-nosed monkey. Photo: Shaohua Dong

Eight years after the discovery of a new primate species in Myanmar, scientists have released a new report revealing how the 'snubby' is faring

Scientists and conservation teams from Fauna & Flora International (FFI), Dali University and the German Primate Center just published a comprehensive conservation status review of one of the world’s most threatened primate species, the critically endangered Myanmar snub-nosed monkey (also known affectionately as the ‘snubby’ by scientists, and as the black snub-nosed monkey in China), Rhinopithecus strykeri. The species was discovered in Myanmar in 2010 by Ngwe Lwin, a local scientist working for FFI. The following year, scientists in China confirmed that these primates are also found in the neighbouring forests of Yunnan province. In 2012, research by FFI and partners led to the species being formally designated as critically endangered due to its small population size and threats from hunting and habitat loss. Eight years after its discovery, the conservation status review sought to uncover how the species is faring. The report confirms that while the status of the snub-nosed monkey remains critical due to its fragmented, small population and ongoing threats, positive actions by communities, governments and NGOs have resulted in a dramatic improvement in the outlook for the species.

Pubblicato in Scienceonline

 

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