L’attenzione è quel meccanismo neurale che guida le nostre azioni e la nostra percezione. In particolare, la capacità di distogliere la nostra attenzione, detta anche “disancoraggio”, permette all’infante di spostare il suo interesse dall’evento che ha catturato la sua attenzione, promuovendo, quindi, l’esplorazione più efficiente del mondo circostante in cui può scoprire l’altro, cioè colui che lo cura e lo accudisce, o un suo pari con il quale interagire. Distogliere troppo lentamente l’attenzione da un evento all’altro può essere alla base di una minore interazione futura? Può cioè determinare il futuro sviluppo delle capacità sociali? Nei bambini di 8 mesi si può già vedere questo disturbo nel disancoraggio? Può questa essere una “spia” precoce del loro successivo sviluppo comunicativo e sociale, che gioca un ruolo chiave in alcuni disturbi del neurosviluppo, principalmente l’autismo?
Queste le premesse all’articolo dal titolo “Infants’ reorienting efficiency depends on parental autistic traits and predicts future socio-communicative behaviors” pubblicato sulla rivista «Cerebral Cortex» in un numero speciale dedicato alle basi biologiche dell’autismo e realizzato da un team di ricercatori coordinati dall’Università di Padova. «Abbiamo – spiega Luca Ronconi della Facoltà di Psicologia dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano e primo autore della ricerca – preso in esame un ampio campione di bambini a sviluppo tipico di soli 8 mesi e valutato se, in alcuni, fosse presente un rallentamento nel meccanismo di disancoraggio dell’attenzione. Lo scopo di enucleare questa “spia” nei bimbi in giovanissima età era quello di predire il loro successivo sviluppo comunicativo e sociale a distanza di più di un anno».
«Ci siamo poi chiesti – aggiunge Simone Gori del Dipartimento di Scienze Umane e Sociali dell’Università di Bergamo – se in qualche modo anche nei genitori di questi bambini fossero presenti indici comportamentali che riflettessero delle difficoltà nel modulare l’attenzione in contesti sociali e comunicativi, come, per esempio, difficoltà nell’iniziare una conversazione o un’ipersensibilità per i dettagli ed estremo interesse per un argomento specifico, ovvero comportamenti che si possono riscontrare in forme più gravi nell'autismo, ma che, in forme lievi, non incidono in modo così significativo nelle autonomie o nel benessere personale». «Ciò che emerge – sottolinea Andrea Facoetti del Dipartimento di Psicologia Generale dell’Università di Padova e responsabile della ricerca – è che, anche in bambini a sviluppo tipico, esiste una forte relazione tra una lieve disfunzione del meccanismo automatico di disancoraggio dell’attenzione, controllato dal circuito fronto-parietale dell’emisfero destro, e il loro futuro sviluppo socio-comunicativo, confermato anche dai tratti comportamentali dei loro genitori.
La conseguenza più rilevante di questa scoperta – conclude Facoetti – è che mediante specifici programmi di abilitazione dell’attenzione si potrebbe sviluppare una precoce campagna di prevenzione di tali disturbi, la cui incidenza purtroppo sembra ad oggi in continuo aumento, oltre al poter individuare già a 8 mesi i bambini a rischio di un disturbo dell’interazione sociale e della comunicazione che nelle forme più gravi potrebbe anche sfociare nell’autismo».