“I cani sono soggetti alla sindrome della disfunzione cognitiva canina (CCDS), una patologia che ha molte analogie con la malattia di Alzheimer, e per questo possono fungere da modello per studi traslazionali sull'invecchiamento e la cognizione”, spiega Sara Giovagnoli, professoressa al Dipartimento di Psicologia "Renzo Canestrari" dell'Università di Bologna, tra gli autori dello studio. "Il parallelismo fra modello canino e modello umano permette di evidenziare come i fattori alla base di un sano ed efficace mantenimento cognitivo durante l'invecchiamento siano i medesimi nelle due specie".
I risultati ottenuti dallo studio evidenziano infatti il legame fra l’attività motoria, l’età (pesata per la struttura fisica del cane e la sua aspettativa di vita) e le capacità della memoria di lavoro, un tipo di memoria a breve termine che permette di raccogliere e manipolare le informazioni necessarie per svolgere un determinato compito. In particolare, l’attività motoria e le abilità di memoria di lavoro tendono a ridursi con l’avanzamento dell’età.
“L’attività fisica riduce in modo significativo il declino cognitivo e il rischio di sviluppare malattie degenerative, contribuendo a mantenere una buona qualità di vita”, dice Giovagnoli. “Tuttavia, l’avanzamento dell’età, così come il declino cognitivo, sono spesso legati ad una serie di problematiche e sofferenze fisiche che riducono la motivazione al movimento: si instaura così un circolo vizioso che rende più probabile il declino psico-fisico”. Una di queste problematiche è legata alla quantità di ore di sonno, un elemento essenziale per i processi di consolidamento della memoria e per l’apprendimento. Gli studiosi hanno infatti mostrato che la riduzione del sonno è collegata ad un decremento dell’attività motoria durante il giorno e un’eccessiva attività durante la notte: cambiamenti che sonocaratteristici della disfunzione cognitiva canina, e che negli uomini possono essere considerati fattori di rischio per lo sviluppo di patologie degenerative.
L’altro elemento considerato dagli studiosi è la relazione tra l'attività motoria, il dolore articolare o spinale e la velocità di andatura potenziale del cane, che viene calcolata come rapporto fra la velocità di andatura spontanea verso una ricompensa e la velocità di andatura a guinzaglio. In questo caso, la motivazione gioca un ruolo fondamentale, portando il cane ad attivare la riserva motoria necessaria per raggiungere la ricompensa. "La motivazione è un costrutto multidimensionale che si riferisce alla forza con cui gli animali, o le persone, scelgono particolari azioni in particolari momenti o luoghi, e risulta dall'integrazione tra il valore di una ricompensa e lo sforzo richiesto per ottenerla", aggiunge Giovagnoli. "Studi condotti sugli esseri umani evidenziano che la velocità di andatura è predittiva dell’attività fisica quotidiana della persona, e la mancanza di motivazione è un'importante barriera all'attività fisica anche negli anziani sani o con patologie degenerative".
Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Scientific Reports con il titolo “Activity patterns are associated with fractional lifespan, memory, and gait speed in aged dogs”. Per l’Università di Bologna ha partecipato Sara Giovagnoli, professoressa al Dipartimento di Psicologia "Renzo Canestrari".