Sono le principali conclusioni del più ampio studio finora realizzato sulla sindrome di Kleine-Levin – pubblicato sulla rivista PNAS – a cui hanno partecipato anche studiosi dell’Università di Bologna e del Centro per lo studio del sonno dell’Istituto delle Scienze Neurologiche di Bologna. “Questi risultati confermano l’associazione tra problemi alla nascita e varianti del gene TRANK1”, spiega Giuseppe Plazzi, professore dell’Università di Bologna, tra gli autori dello studio. “Ciò sembra indicare che i neonati con queste varianti possano essere più suscettibili a sviluppare problemi in caso di difficoltà alla nascita – ad esempio nei casi di ipossia – da cui può svilupparsi in età adulta la sindrome di KleineLevin”. Malattia molto rara, la sindrome di Kleine-Levin colpisce circa una persona ogni 500.000. Le persone affette sono in maggioranza maschi adolescenti, che vanno incontro ad episodi ricorrenti caratterizzati da ipersonnia, apatia, confusione, iperfagia, ipersessualità, ansia, aggressività, depressione. Questi episodi possono durare diversi giorni e si ripetono ad intervalli che vanno da due a sei mesi, senza sintomi evidenti tra un episodio e l’altro. Generalmente, poi, superati i trent’anni di età, gli episodi tendono a scomparire del tutto.
Per cercare di ricostruire le cause di questa sindrome, gli studiosi – guidati da un team dell’Università di Stanford (USA) – hanno analizzato campioni biologici ed informazioni cliniche di 673 casi, raccolti tra il 2003 e il 2017: si tratta del più ampio campione di individui affetti dalla sindrome di Kleine-Levin studiato fino ad oggi. Le analisi genetiche realizzate hanno messo in luce che alcune varianti del gene TRANK1, già note per essere fattori di rischio nello sviluppo sia del disturbo bipolare che della schizofrenia, sono associate con un rischio maggiore del 50% di sviluppare la sindrome di KleineLevin. Gli studiosi hanno evidenziato anche alcune caratteristiche in comune tra la sindrome e il disturbo bipolare, a partire dall’utilizzo di terapie a base di litio: unico trattamento efficace per prevenire l’insorgere degli episodi di ipersonnia e deficit cognitivo. Un’ipotesi per queste affinità tra i due disturbi potrebbe essere lo sviluppo di periodi ricorrenti di instabilità in specifiche aree cerebrali, dovuti ad una ridotta presenza di ossigeno.
L’altro aspetto rilevante messo in luce dallo studio è l’associazione tra la presenza delle varianti del gene TRANK1 connesse allo sviluppo della sindrome di Kleine-Levin e problemi al momento della nascita, in particolare casi di ipossia. Problemi che sono da tempo associati anche ad una maggiore possibilità di sviluppare disturbi bipolari o schizofrenia. A confermare quest’associazione è anche il fatto che la presenza delle varianti del gene TRANK1 rilevate nel campione studiato diminuisce con il passare degli anni, in parallelo con lo sviluppo di procedure e attenzioni per la cura dei neonati sempre più accurate. L’ipotesi è quindi che problemi al momento della nascita nei neonati con le varianti individuate del gene TRANK1 possano generare risposte che portano allo sviluppo in età adulta della sindrome di Kleine-Levin.
Lo studio è stato pubblicato sulla rivista PNAS con il titolo “Kleine Levin syndrome is associated with birth difficulties and genetic variants in the TRANK1 gene loci”. Per l’Università di Bologna hanno partecipato Giuseppe Plazzi e Fabio Pizza del Dipartimento di Scienze Biomediche e Neuromotorie e del Centro per lo studio del sonno dell’Istituto delle Scienze Neurologiche di Bologna.