Il cambiamento climatico sta infatti profondamente influenzando molti aspetti delle forme di vita sulla Terra, dalle singole specie a intere comunità, dagli ambienti terrestri a quelli acquatici. Alcune specie animali rispondono a questa alterazione del clima adattandosi alle nuove condizioni e variando le proprie abitudini: per esempio modificando il periodo delle migrazioni e della riproduzione o spostandosi in aree geografiche divenute più favorevoli. Ma l’incremento delle temperature potrebbe influenzare non solo il comportamento e la fisiologia degli animali, ma anche, nelle specie endoterme (quelle che mantengono costante la temperatura corporea a prescindere da quella ambientale, come i mammiferi e gli uccelli), le caratteristiche anatomiche che sono legate alla termoregolazione.
Lo studio sul barbagianni (complesso di specie Tyto alba), uccello diffuso in tutti i continenti ad eccezione dell’Antartide, condotto dai ricercatori dell’Università Statale di Milano dimostra questa
ipotesi. I ricercatori hanno preso in esame 5000 esemplari di barbagianni conservati nei musei scientifici di tutto il mondo dal 1900 al 2018 e hanno analizzato se ci fossero stati dei cambiamenti nel tempo per quanto riguarda la lunghezza delle ali (indicatore della taglia) e del becco, che negli uccelli è la principale appendice corporea attraverso cui avviene la dispersione del calore; inoltre hanno osservato se la colorazione del piumaggio nella regione ventrale, che può variare da bianco a rossiccio-marrone scuro, si fosse modificata. Hanno infine esaminato se ci fossero differenze tra regioni geografiche.
Il risultato principale è una riduzione della taglia corporea nelle aree più colpite dal riscaldamento climatico: dove le temperature sono notevolmente aumentate il barbagianni è rimpicciolito, mentre non si è modificato in quelle zone dove il clima è rimasto uguale. Invece non si sono verificate variazioni significative del becco. Questo fenomeno è in accordo con la “regola di Bergmann” (principio ecologico che prende il nome dal biologo tedesco Christian Bergmann) che mette in relazione le dimensioni degli animali alle condizioni termiche dell’ambiente in cui vivono:
negli ambienti caldi sono più comuni animali di piccole dimensioni, rispetto alle regioni fredde. Gli animali di piccola taglia hanno infatti un rapporto tra superficie e volume maggiore rispetto agli animali più grossi. Questa caratteristica consente di disperdere il calore più velocemente, un chiaro vantaggio per gli organismi che vivono in ambienti caldi. Il rimpicciolimento del corpo dei barbagianni sembrerebbe quindi essere un adattamento all’aumento delle temperature.
Anche il colore del piumaggio ventrale è cambiato, non uniformemente, ma a seconda delle zone geografiche: si è schiarito nelle regioni in cui il clima è diventato più caldo e secco, mentre è divenuto più scuro laddove sono aumentate le temperature ma anche le precipitazioni. Il primo caso è dovuto a esigenze di termoregolazione: negli ambienti aridi colorazioni troppo scure, assorbendo maggiore radiazione solare, porterebbero a un surriscaldamento eccessivo del corpo; il secondo alla mimetizzazione: negli ambienti caldi e umidi, quindi ricchi di vegetazione, sono favorite le colorazioni scure che rendono meno visibili prede e predatori.
“A differenza delle ricerche precedenti che hanno limitato le analisi sulla variazione fenotipica nel tempo in singole popolazioni, questo studio, combinando informazioni su numerose popolazioni dislocate in diverse aree del mondo soggette a un diverso livello di cambiamento climatico, fornisce una chiara evidenza che le nuove condizioni ambientali e climatiche stanno producendo unospostamento di diversi caratteri fenotipici legati alla termoregolazione. È probabile quindi che le differenze fenotipiche tra popolazioni di barbagianni tenderanno ad aumentare nei prossimi decenni
in risposta all’ulteriore previsto riscaldamento globale e che situazioni simili si stiano verificando in moltissime altre specie in tutto il mondo” conclude Andrea Romano, professore associato presso il Dipartimento di Scienze e Politiche Ambientali dell’Università degli Studi di Milano e primo firmatario dello studio.