L'annessione dell'Abruzzo all'Italia unita

 

La spedizione dei Mille era praticamente finita. La Sicilia, con la sola eccezione di una fortezza a Messina, era tutta in mano a Garibaldi, o meglio ad Agostino Bertani, di formazione medico ma per vocazione politico rivoluzionario, nominato dal Generale pro-Dittatore dell'isola. Lui, Garibaldi, il Dittatore in capo, insofferente dell'attività politica e dell'inattività bellica, si era rimesso in marcia per proseguire con le armi la conquista del Regno del Sud. Era risalito per la Calabria e per la Campania e, senza incontrare resistenze di rilievo, era giunto fino in prossimità di Napoli, dove avrebbe messo piede il 7 settembre del 1860 accolto da un tripudio di folla festante. Federico II di Borbone aveva appena abbandonato la città fuggendo verso Gaeta.
Il giorno prima dell'ingresso nella capitale campana, Garibaldi aveva incontrato due docenti universitari, Salvatore Tommasi e Raffaele Piria, che agendo per conto di Cavour l'avevano scongiurato di procedere all'annessione di tutto il meridione al Regno di Sardegna. I due però non si erano dimostrati buoni diplomatici e l'unica conseguenza dell'incontro era stata un irritato fastidio manifestato da Garibaldi nei confronti del primo ministro piemontese.
Noto per le sue posizioni "moderate" a favore dell'unificazione dell'Italia sotto la monarchia dei Savoia, poco tempo prima, ai primi di agosto, Tommasi era stato chiamato da Cavour e invitato a scendere nel sud Italia tenendosi pronto a svolgere una discreta attività politica a vantaggio del Piemonte. La prima prova sul campo, l'incontro con Garibaldi, non aveva avuto i risultati sperati, ma il conte ministro, i suoi confidenti e Tommasi stesso non avevano ritenuto di dover abbandonare la partita, il che avrebbe significato d'altronde lasciare campo libero ai mazziniani per sollecitare una rivoluzione di popolo a forte impronta repubblicana.
Pochi giorni dopo l'appuntamento con il Generale, Tommasi si accinse dunque a una nuova missione in Abruzzo: una «debolissima missione», scrisse in una lettera a un amico, consistente nel verificare la possibilità di un'annessione pacifica dell'intera regione al Regno di Sardegna. I primi contatti con i sindaci del luogo gli dettero uno slancio insospettato e presto si ritrovò ad aver cambiato idea su quella che prese a denominare «una santa missione». Senza nemmeno dover faticare troppo, se non per gli affrettati spostamenti in un territorio complesso e disagevole, in pochi giorni il medico accumulò decine di firme di primi cittadini della zona, che in nome dei loro governati dichiaravano l'adesione al regno sabaudo. La mattina del 7 ottobre del 1860 ad Ancona, andandogli incontro all'uscita dalla messa, Tommasi porse al re un documento ufficiale sottoscritto da 150 sindaci di Comuni abruzzesi.

 

 

Era proprio quel che ci voleva – replicò soddisfatto Vittorio Emanuele – per giustificare agli occhi delle diplomazie europee la decisione di far scendere in meridione l'esercito piemontese. «Bravo Tommasi» aggiunse «ella ha reso un buon servigio al Paese». Poi, seduta stante, lo nominò colonnello di Stato maggiore e se lo portò appresso per tutto il viaggio compiuto nelle settimane seguenti nelle terre del sud alla testa dell'esercito. Tommasi fu presente anche al celebre incontro di Teano, a fine ottobre. L'Abruzzo, di fatto, era stato conquistato senza la necessità di sparare un sol colpo e il plebiscito, indetto per il 21 di quel mese, non fece che ribadire ciò che Tommasi aveva ottenuto con abilità e persuasione.
Ma perché parlare di tutto questo qui? Non certo soltanto per ricordare una pagina poco nota della conquista del regno borbonico preludio all'unificazione italiana, bensì perché il principale protagonista di questa pagina di storia, Salvatore Tommasi, era un uomo di scienza, di medicina per la precisione, così come scienziato era colui che l'accompagnò da Garibaldi, Raffaele Piria (un abile chimico autore di suoi numerosi studi sulla salicina che aprirono la strada alla realizzazione dell'acido acetilsalicilico: l'aspirina). Due figure di ricercatori, scienziati, intellettuali importanti; e non gli unici che punteggiarono gli avvenimenti risorgimentali, i quali terminato l'impegno civile e talora militare nelle vicende di quegli anni tornarono tranquillamente a riprendere il loro posto nelle università, nei laboratori, negli ospedali, nemmeno sfiorati dal pensiero di poter sfruttare a proprio vantaggio personale l'eminenza raggiunta in "politica".
Il medico Salvatore Tommasi, originario di Roccaraso, dopo anni di travaglio e di esilio dovuto alla sua avversione al governo illiberale dei Borboni, si era stabilito in Piemonte e aveva assunto una docenza all'università di Pavia. Con suo rammarico aveva sospeso l'insegnamento della medicina quando Cavour gli chiese di recarsi nel sud; ma non appena poté, cioè non appena il gesto non fosse apparso di sgarbo alla cortesia del re, si dimise da tutto e tornò alle sue lezioni universitarie, alla famiglia, alle visite ai malati. Tornò, soprattutto, a lavorare per affermare un'idea di medicina positiva, materialista e scientifica come in Italia non s'era mai sentita prima. E suo, quasi soltanto suo, fu l'impegno grazie al quale nacque e si sviluppò in Italia negli ultimi decenni dell'Ottocento la medicina moderna, contraddistinta da criteri di razionalità, sperimentazione e verifica, controllo di efficacia della diagnosi, fondatezza e ragionevolezza della terapia. Tommasi fu la persona che più operò negli ambienti italiani per far cessare la sanguinosa pratica del salasso e introdurre lo studio della fisiologia quale base indispensabile, assieme all'anatomia, per comprendere le ragioni della patologia.
Assolutamente pertinente, dunque, forse addirittura indispensabile, un volume che nella cornice dell'epopea risorgimentale ripercorresse la figura di questo personaggio restituendogli una dimensione a tutto tondo, nella quale trovino posto altre realtà storiche, umane e artistiche che contrassegnarono in definitiva la nascita dello Stato italiano.


Massimo Biondi


L'Abruzzo e l'unità d'Italia. Una pagina di storia, a cura di Guglielmo Ardito, GSE Edizioni, Roma 2011, pagg. 110, € 16,00.
Lo si può chiedere rivolgendosi a: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Ultima modifica il Mercoledì, 05 Ottobre 2011 17:30
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