Anja si sistemò sulla fredda sedia in ferro battuto, proprio di fronte a Ehmud. Lui scrisse con uno degli ultimi gessetti rossi il passo da leggere sulla lavagna grigia. Guardò la bambina sollevare da terra l’immenso libro di testo e poggiarlo sopra il consunto tavolino di legno rosicchiato dai tarli che fungeva da banco. Tutto era vecchio in quella grande stanza. Tutto tranne Anja. Ormai lei e Ehmud si trovavano in quella prigione sotterranea da alcuni mesi. Le loro lezioni nella sala centrale, quella adibita allo studio, si svolgevano quotidianamente. Ehmud sentiva l’energia delle membra venirgli ogni giorno meno, e perfino la propria folta e arruffata barba bianca cominciava a sembrare un fardello da dover trascinare, piuttosto che un sigillo di autorità e saggezza. Invece Anja non invecchiava. Cresceva. Ogni lezione aumentava il suo sapere. Ma il focolare interiore di quella deliziosa creatura, la vitalità che emanava ad ogni respiro, l’entusiasmo che travasava anche dal gesto più insignificante erano in grado di far commuovere Ehmud, di infondergli un nuovo, inestinguibile vigore. Quando guardava gli occhi limpidi della bambina brillare di curiosità e aspettative al centro del viso dolce e minuto, Ehmud era convinto di poter capire come si sentisse Mosé mentre contemplava il roveto ardente.