Cos'é la Bioetica

Roberto Bucci 17 Dic 2003

Bioetica, salute, health promotion: le implicazioni derivanti da diverse possibili interpretazioni dei fenomeni biologici e delle risposte della scienza medica


1 _ Cos'é la Bioetica

C'é chi identifica la nascita della Bioetica con l'ormai famosa opera di Potter Bioethics: Bridge to the Future, del 1970.

Indubbiamente il lavoro di Potter é una pietra miliare nello sviluppo della disciplina ma in realtà già nel '69 un filosofo ed uno psichiatra statunitensi, Daniel Callahan e Willard Gaylin, avevano fondato l'Institute of Society, Ethics and the Life Sciences, successivamente più noto come Hastings Center, cenacolo di filosofi e scienziati che si riunivano in una angusta stanzetta messa a disposizione dalla madre di Callahan a Hastings on Hudson (NY), a discutere di aspetti etici sociali e legali delle scienze medico-sanitarie.

Quasi contemporaneamente, alla Georgetown University di Washington, dal lavoro dell'ostetrico olandese Andre Hellegers e del teologo protestante Paul Ramsey sortì un'opera in due volumi, The Patient as Person e Fabricated Man, che possono essere considerate come le prime vere e proprie pubblicazioni al mondo in materia di Bioetica.

Ma é nell'opera di Potter che appare per la prima volta l'espressione "Bioetica".

Potter, un oncologo, vedeva nella Bioetica la nuova disciplina in grado di rispondere ai dilemmi morali (nuovi anch'essi) che le tecnologie di più recente introduzione nella biomedicina avevano posto all'attenzione di medici e pazienti.

Secondo Potter il bagaglio culturale dell'Etica tradizionale era del tutto inadeguato allo scopo, ed era necessario creare una nuova disciplina dai confini più ampi di quelli entro i quali si erano sviluppate sino a quel momento l'etica professionale, la deontologia professionale, la medicina legale.

Il taglio dei suoi scritti é drammatizzato, tanto che si parlerà di filone "catastrofista" della Bioetica. Potter parla addirittura di "scienza per la sopravvivenza", e non a caso il titolo dell'opera ("Bioetica: un ponte sul futuro") sembra descrivere una funzione di indispensabile supporto che questa scienza dovrebbe rivestire per "pervenire" al futuro superando il pericoloso guado dei rischi collegati ad un abuso dei mezzi posti a disposizione dalla ricerca e dalla tecnologia alla moderna scienza.

A questa definizione si contrappone quella della Encyclopedy of Bioethics (1978), opera monumentale di W.T. Reich in 4 volumi, che invece evidenzia come la bioetica altro non sia se non lo studio di come applicare all'ambito biomedico i principi che l'Etica tradizionale già possiede e che quindi non devono necessariamente essere elaborati "ex novo".

E' tuttora, questa definizione, tra le più adottate e merita, forse, di essere proposta come definizione "ufficiale" della Bioetica oggi: "studio sistematico della condotta umana nell'ambito delle scienze della vita e della cura della salute esaminata alla luce di principi morali".

Non si tratta quindi, in quest'ottica, di "inventare " nuovi principi ma di applicare i principi tradizionali alle nuove problematiche della biotecnologia.

Sempre ai primissimi anni '70 risale la costituzione del primo Centro che si definisca ufficialmente "di Bioetica" (The Joseph and Rose Kennedy Institute for the Study of Human Reproduction and Bioethics), successivamente noto come Kennedy Institute, facente parte della Georgetown University).

Insomma, grande fermento e, in definitiva, una spontanea ed irrefrenabile "domanda di Bioetica" caratterizza il passaggio tra gli anni '60 e '70.

Perchè?
Due, fondamentalmente, sono le direttrici storico-scientifiche lungo le quali si sviluppa la dinamica che conduce all'indifferibile bisogno culturale e civile di una approfondita riflessione morale sulle scienze biomediche.

Da un lato la propulsione etica e giuridica che prende l'avvio dalle terribili rivelazioni al processo di Norimberga circa l'uso della ricerca scientifica per scopi politici mostruosi.

Secondo gli atti del processo di Norimberga, infatti, numerosi prigionieri dei lager nazisti furono torturati a scopo di sperimentazione, e proprio dietro la pressione emotiva della ancora recente scoperta di quegli orrori, fu enunciata nel 1947 dalla Associazione Medica Mondiale sotto il nome di Codice di Norimberga, la prima codificazione internazionale di regole sui diritti umani nell'ambito della sperimentazione.

Furono anche le prime regole internazionali a vietare esplicitamente qualunque esperimento sull'uomo senza il suo "consenso volontario".

La stessa Associazione Medica Mondiale aveva successivamente arricchito ed integrato la normativa (a pura valenza deontologica) riguardante la sperimentazione sull'uomo, sino a pervenire a quello che tutt'ora viene considerato il documento di riferimento in materia, e cioè la Dichiarazione di Helsinki del 1964 ("Raccomandazioni a guida dei medici nella ricerca clinica").

Troviamo dunque una potente e progressiva crescita di sensibilità etica nella medicina del secondo dopoguerra, che é inizialmente inquadrabile in un contesto meramente deontologico e prevalentemente indirizzato sui temi della sperimentazione.

E' d'altronde proprio la discussione morale sulla sperimentazione che incorpora al proprio interno uno di quelli che saranno gli argomenti chiave della Bioetica e cioè il tema del consenso informato nell'ambito del rapporto medico-paziente.

L'altra grande forza che muove gli intelletti scientifici verso la riflessione morale é rappresentata dai grandi progressi della tecnologia biomedica che, proprio agli inizi degli anni '70, fanno dire allo storico ed umanista spagnolo Pedro Luis Llain Entralgo che le novità degli ultimi 20 anni erano state, in campo scientifico, maggiori che nei 20 secoli precedenti.
Alla fine degli anni 60/inizio anni '70 si collocano, infatti, le scoperte sul DNA ricombinante, che danno ulteriore impulso alla "domanda" di Bioetica anche su proposta dello stesso Watson, scopritore della struttura del DNA, il quale, in una ormai celebre audizione al Senato americano, chiede un intervento legislativo a regolare la materia della ricerca genetica.

All'inizio degli anni '70 risalgono anche le prime realistiche ipotesi di fecondazione in vitro (che nel '78 troverà la prima realizzazione) ed il dibattito etico sullo statuto dell'embrione assume nuovi contorni, mentre le tecniche dei trapianti d'organo si sviluppano in modo vertiginoso e, come se non bastasse, i sistemi sanitari di previdenza cominciano ad avvertire i primi segni di inadeguatezza di fronte al fenomeno (nuovo anch'esso) della esplosione dei costi.

In definitiva, si avverte il bisogno di sistematizzare e far assurgere a dignità di scienza una riflessione multidisciplinare sui problemi etici posti dall'incremento impressionante di possibilità di opzione offerte allo scienziato ed a ciascun individuo dai progressi delle moderne tecnologie biomediche.

Di fronte a quelli che DiMeo e Mancina definiscono "dilemmi morali di immediata rilevanza pubblica" quali aborto, eutanasia, trapianti e commercio d'organi, rapporto medico-paziente, interventi sugli embrioni e sul patrimonio genetico, fecondazione artificiale, razionamento delle risorse per l'assistenza sanitaria etc., non bastano evidentemente più i codici deontologici.

Ad Erice, nel febbraio 1991, nel Convegno Internazionale New Trends in Forensic Haematology and Genetics. Bioethical Problems, un gruppo di studio ha elaborato un documento che ben chiarisce la diversità delle due discipline.

La Bioetica ne risulta "etica applicata al regno del biologico" e come tale orientata ad un interesse che va ben oltre l'etica medica tradizionale.

I suoi campi d'azione, ed anche in questo caso fa testo la definizione dell'Encyclopedia of Bioethics, includono, oltre ai problemi etici di tutte le professioni sanitarie, anche "le ricerche comportamentali, indipendentemente dalle loro applicazioni terapeutiche, i problemi sociali associati con le politiche sanitarie, la medicina del lavoro, la sanità internazionale, le politiche di controllo demografico, i problemi della vita animale e vegetale in relazione con la vita dell'uomo".

A fronte di tale varietà e complessità di tematiche la Bioetica richiede l'apporto di diverse discipline (filosofia morale, medicina, biologia, ecologia, diritto, sociologia, economia, psicoanalisi, teologia, antropologia).

Ma perchè, in definitiva, si vuole introdurre la riflessione etica nelle Scienze?

Qual'é, in ultima analisi, il fondamento epistemologico della Bioetica?

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2 _ Qual'é la ragione d'essere della Bioetica nel contesto delle scienze biomediche?

Per meglio comprendere quale posto ha la bioetica nel panorama delle scienze biomediche, è opportuno considerare il concetto di SCIENZA SPERIMENTALE.

Le scienze sperimentali sono così definite perchè basate sul metodo della sperimentazione, messo a punto da Galileo e Bacone, e successivamente applicato anche alla Biologia ed alla Medicina.

Il metodo sperimentale percorre un itinerario che ha inizio dalla osservazione, occasionale come nel caso di Fleming e della penicillina, sistematica, e quindi programmatica, come accade, ad esempio, nella sperimentazione dei farmaci.

Una volta effettuata l'osservazione dei fatti (fisici, chimici, biologici etc.), si procede alla elaborazione di una ipotesi interpretativa (II passaggio).

A questo riguardo è stato giustamente osservato che fu Claude Bernard a sistematizzare il metodo sperimentale in medicina ed a dare particolare riscontro al momento dell'ipotesi interpretativa, che Bernard elevò a dignità di momento di genialità creativa, affidando alla capacità di intuizione del ricercatore la possibilità di ottenere, dalla ricerca, i migliori risultati possibili.

In ciò Bernard supera la concezione di Dilthey di "scienza esatta" che ancorava l'osservatore al fatto naturale, poco concedendo all'interpretazione del fenomeno.

Anche nelle "scienze esatte", dunque, c'è il momento della soggettività e della creatività, che trovano spazio proprio all'interno del metodo sperimentale, quando dall'osservazione, occasionale o sistematica, si passa alla ipotesi.

L'IPOTESI INTERPRETATIVA viene poi applicata sperimentalmente (verifica sperimentale - III passaggio) in modo da poter effettuare la VERIFICA DEL RISULTATO.

Se il risultato comprova l'ipotesi, allora si può affermare che è stata "catturata", se così si può dire, la legge naturale che governa il fenomeno.

Ci si "impossessa", cioè, di ciò che la natura fa riproducendolo sperimentalmente.

In altre parole, chi riesce ad impossessarsi dei segreti della natura attraverso la conoscenza dei modi e delle dinamiche causali che ne governano i fenomeni, trasforma il sapere in potere, un potere che si può esercitare sulla natura stessa, riproducendone i fenomeni.

Il limite del metodo sperimentale è costituito dal fatto che esso consente di prendere in considerazione solo gli aspetti QUANTITATIVI della realtà, quelli cioè che si possono in qualche modo quantificare, contare, misurare, e che possono quindi essere tradotti in statistiche, formule, equazioni etc.

Ciò ha permesso al metodo sperimentale di far compiere grandi progressi ad alcune scienze (le scienze "sperimentali", appunto) proprio perchè muovendosi su di un terreno esatto, concreto, misurabile, il metodo sperimentale consente a ciascun ricercatore di partire dal punto cui è pervenuto un altro ricercatore, in una costante progressione lineare di nuove scoperte.

Questo percorso esatto, verificabile, trasmissibile, progressivo, non prende però in considerazione gli aspetti "qualitativi" della realtà, come sono, appunto, gli aspetti etici.

Un esempio di tale "incompletezza" intrinseca al metodo sperimentale può essere dato dal seguente esempio.

Ferma restando la possibile utilità scientifica di una serie di dati sperimentali ottenibili da sperimentazioni effettuate su embrione di coniglio, tale messe di dati non ci fornisce alcuna indicazione su di un problema "qualitativo" quale la questione di rilevanza etica rappresentata dalla accettabilità o meno che tali dati possano essere ottenuti effettuando la sperimentazione sull'embrione umano.

Ovvero non emerge dalla sperimentazione la differenza ontologica tra i due embrioni.

Si può allora concludere che IL SAPERE SPERIMENTALE E' UN SAPERE ESATTO MA NON E' UN SAPERE TOTALE, PERCHE' MANCA DELL'ASPETTO QUALITATIVO, ONTOLOGICO, FINALISTICO, E, IN DEFINITIVA, ETICO.

A questo punto è possibile tentare di dare una risposta al quesito iniziale circa il "posto" della bioetica nel panorama delle scienze sperimentali biomediche.

Un esempio di come tale "completamento" può aver luogo é dato dal confronto di opinioni che caratterizza il dibattitio etico inerente la ricerca sperimentale.

Una teoria, sostenuta da Dulbecco (cfr. "Ingegneri della vita"), pone l'accento soprattutto sulla necessità di una presenza dell'etica nella ricerca nel momento applicativo del risultato ottenuto (ad es. una volta scoperto il meccanismo del DNA ricombinante che consente di "fare" ingegneria genetica, l'etica deve intervenire per vigilare su "dove" si possa e si debba applicare questa scoperta).

A questa impostazione limitativa (o comunque un pò "sbilanciata") della funzione della bioetica nella ricerca sperimentale si oppone una concezione estensiva che identifica almeno altri 2 momenti di rilevanza etica in una ricerca sperimentale che, secondo questa interpretazione, meritano almeno altrettanta attenzione.

1) Un'istanza di etica intrinseca alla ricerca stessa, che deve essere necessariamente essere condotta eticamente per essere valida (scrupolo metodologico, veridicità, obiettività).

2) Un'esigenza etica connaturata al fine stesso per cui una ricerca è intrapresa (OMNES AGENS INTELLIGENS AGIT PROPTER FINEM - S. Tommaso d Aquino).

Ebbene, così come per la ricerca sperimentale, anche per tutti gli altri ambiti del sapere e della attività biomedica si pone la stessa esigenza di completamento del sapere, di affiancare la "coloritura" qualitativa alla messe di dati quantitativi acquisiti sperimentalmente.

In definitiva, quindi, rispetto al riduzionismo metodologico del metodo sperimentale, l'etica risulta necessaria per un ulteriore e quasi riassuntiva ragione che potremmo definire come una ISTANZA INTEGRATIVA e cioè: per una valutazione globale di un processo di ricerca e di sperimentazione, poichè il metodo sperimentale osserva solo l'aspetto quantitativo, si pone il dovere di porre le domande che oltrepassano l'aspetto quantitativo ed investono gli aspetti assiologici della ricerca.


3 _ Le principali correnti di pensiero in bioetica

La scuola liberal-radicale parte dall'assunto filosofico che il fondamento del giudizio etico non può essere tratto dalla realtà e che é improprio e deviante il passaggio dalla sfera dei fatti, che sono oggetto della cognizione e della scienza, alla sfera dei valori.

E' una posizione ispirata alla legge di Hume.

Se l'eticità, così come tutti i giudizi sui valori, non può scaturire dalla realtà, essa dovrà allora essere "prodotta" dal soggetto, dalla sua decisione. Moralità = Libertà.

Una scelta é tanto più etica quanto più é libera.

Privilegia, quindi, il principio di autonomia. Sartre e Marcuse ne sono gli esponenti moderni, ma il retroterra risale all'illuminismo ed alla Rivoluzione Francese.

Questa corrente di pensiero é molto rappresentata in alcuni ambiti di discussione bioetica riguardanti temi "di frontiera", riguardanti cioè i momenti estremi della vita (concepimento e morte), ed in particolare la fecondazione assistita e l'eutanasia, rispetto ai quali propugna il diritto alla più assoluta autodeterminazione.

Una seconda grande corrente di pensiero é quella dell'utilitarismo (ispirata a Bentham e Mill, anch'essa basata sul presupposto che la mente umana non é in grado di raggiungere alcuna verità, ed é di conseguenza impossibile stabilire principi morali assoluti (sono anch'essi, quindi, dei non-cognitivisti).

Rifiutano, però, come soluzione, quella dell'individualismo assoluto, preferendo postulare la necessità di trovare una norma che, pur rispettando la libertà individuale, possa però stabilire una misura pratica di eticità, una sorta di eticità misurabile, quantizzabile, concreta, che é data e stabilita dall'utile.

In tal modo, regola suprema diventa l'utile sociale, che può essere addirittura tradotto in formule matematiche (rapporto rischi-benefici etc.).

Questa regola varia con le società e nel tempo, ed é quindi da rivedere continuamente.

A questo contesto si ispirano altre teorie, come quella contrattualista (Tristam von Engelhartdt Jr) secondo cui in una società pluralista non può esserci nessun criterio di condotta che vada bene per tutti e quindi il punto d'incontro va trovato in una nuova forma di contratto sociale per cui tutta la comunità etica, costituita dagli adulti, trovano un punto di incontro che é il punto etico normativo. E' etico, quindi, e può diventare norma, ciò che é consensuale.

C'é poi la teoria fenomenologica che, partendo da Kant fino a Diego Gracia, sostiene che l'esigenza etica é universale, e cioè appartiene a ciascun uomo, mentre non esiste invece una legge morale concreta che valga per tutti. Il valore nasce "dal di dentro" ed é l'individuo che dà il valore morale all'azione che compie, che quindi é lecita, ma non può essere imposta come riferimento morale a qualcun altro.

L'impostazione egualitaristica di Rawls riguarda soprattutto l'etica dell'economia, ed ha un rilievo importante nei problemi relativi alla allocazione dei fondi in ambito sanitario.

Il principialismo (Beauchamp e Childress) fa riferimento a tre principi che considera fondamentali per l'etica medica classica, e quindi per il rapporto medico-paziente, e cioè beneficio, autonomia, giustizia, per i quali propone l'estensione a tutti gli ambiti della Bioetica, i cui dilemmi possono essere risolti dall'applicazione collegata ma non gerarchizzata dei tre principi stessi.

Il modello socio-biologista nasce con Wilson e si rifà al classico evoluzionismo di Darwin più il sociologismo di Weber; sostiene che le società e quindi la cultura in una società, compresi i principi etici, evolvono con le stesse leggi con cui si é affermata nel mondo la evoluzione delle specie.

I principi di fondo cui ha obbedito la progressione dell'evoluzione sono l'adattamento e la selezione.

Anche le società si susseguono e si sostituiscono nel tempo (caccia, pastorizia, agricoltura, industria) sulla base degli stessi principi.

In ogni tipo di società c'é un diverso tipo di cultura, ed ogni tipo di cultura dà origine ad un diverso modello di etica.

L'etica, secondo questa concezione, altro non é che un meccanismo che la specie umana attiva per difendere le posizioni acquistate.

Non é quindi l'etica che segna il passo del progresso ma é il progresso socio-biologico che trasforma la morale.

E' la corrente che maggiormente sostiene l'eticità intrinseca della ricerca e dell'eugenismo tanto positivo che negativo.

Il modello personalista proposto dal pensiero cattolico tende a porre al centro dell'attenzione la persona umana partendo (personalismo ontologico) dal presupposto che a fondamento della soggettività c'è una unità corpo-spirito.

Si pone come antropologia della totalità dell'uomo.

La personalità sussiste, cioè, nell'individualità costituita da un corpo animato e da uno spirito incarnato che struttura la corporeità e la rende "persona".

Da ciò deriva il concetto della corporeità personalizzata, in base al quale il corpo é un valore coessenziale e fondamentale della persona (su di esso si fonda tutto lo sviluppo della personalità, senza la corporeità la personalità non può svilupparsi).

Di conseguenza l'impegno etico della società deve essere finalizzato alla difesa della vita e della dignità della persona a partire dal momento del suo concepimento (principio della difesa della vita fisica come valore fondamentale, contro il "gradualismo" che nega o limita il valore antropologico della vita prenatale).

L'uomo é al vertice dell'ordine cosmico e della società.

La società ha come punto di riferimento la persona umana e la persona é fine e sorgente per la società (analogia con Kant). Rispetto alla società l'uomo non può essere mezzo o strumento, (rifiuto delle concezioni organicistiche della società) e

La trascendenza non é solo rispetto all'universo ed alla società ma anche rispetto al tempo ed alla storia (la persona, in quanto spirito, é proiettata verso l'eternità).

Altri principi sostenuti dal personalismo ontologico sono quelli della globalità terapeutica (se il corpo é un insieme di parti organicamente unificate che hanno significato in rapporto al tutto, é lecito intervenire sulla corporeità umana, anche ledendola, solo se l'intervento sulla parte é orientato alla salvezza del tutto, o al miglioramento della globalità).

Ancora: il principio di responsabilità deve sempre vigilare e limitare le estensione eccessive del principio di autonomia.

Il principio di socialità attribuisce alla scienza finalità ultime di carattere sociale e richiede alla società di sostenere finanziariamente la ricerca.

Infine il principio di sussidiarietà, applicato al contesto dell'economia sanitaria, secondo cui il diritto di ciascuna persona alla salute richiede un intervento della società commisurato al bisogno di ciascuno e finanziato da tutti, ciascuno in base alle proprie possibilità.


4 _ Bioetica ed Educazione alla Salute: alcune riflessioni

Che rapporto esiste tra Bioetica ed Educazione alla Salute? Perchè oggi siamo qui a parlare di Bioetica?

I punti fondamentali di riflessione circa l'utilità di uno spazio da dedicare alla Bioetica nel contesto dello studio dell'Educazione alla Salute mi sembra possano essere almeno 4:

*    In primo luogo perchè senza l'apporto della Bioetica anche le conoscenze trasmesse dall'Educazione alla Salute corrono il rischio riduzionistico di rimanere un "sapere quantitativo", esclusivamente tecnico, in modo non dissimile rispetto a quanto può accadere per qualunque disciplina inerente l'area biomedica.

E' vero che oggi i temi dell'Educazione alla Salute oggi predominanti sembrano non aver bisogno di riflessioni morali perchè appare etico "in sè" modificare comportamenti per la salute accertatamente dannosi come il fumo, l'assenza di esercizio fisico, il consumo eccessivo di grassi animali etc.

Ma a parte il fatto che non tutti la pensano così, bisogna rilevare che la storia fornisce alcuni esempi in cui culture intolleranti e distorte hanno investito anche il tema della salute alterandone concezione e significati e producendo "mostri" anche nel campo della informazione sulla salute.

Non dimentichiamo infatti che non più tardi di 50 anni fa' sulla "salute" della popolazione vigilava l'eugenetica, la superiorità di una razza era un assunto culturale e la commistione razziale rappresentava una possibile origine di indebolimento della razza (e quindi della comunità).

E qualche decennio prima uno dei fondatori dell'eugenetica, Francis Galton, scriveva sul Daily Chronicle di non aver dubbi che "gli eletti della razza britannica siano i migliori fra gli animali umani che si producono attualmente, poichè sono possenti di mente e di corpo, veraci e risoluti, eccellenti leader delle genti di razze inferiori".

Un elemento di riflessione mi é stato offerto qualche tempo addietro dalla rilettura degli atti di alcuni vecchi congressi nazionali di igienisti italiani ed in particolare il congresso di Roma del 1932 organizzato dalla Società Italiana di Igiene (all'epoca A.I.F.I. ovvero Associazione Italiana Fascista per l'Igiene).

Il presidente in carica S.E. Prof. Dante De Blasi, Accademico d'Italia, Direttore dell'Istituto di Igiene della Regia Università di Napoli, nel suo discorso inaugurale, illustrava le benemerenze acquisite dall'Educazione alla Salute, che all'epoca si chiamava "propaganda igienica" o "educazione igienica".

"Tutto questo sistema educativo deve essere coordinato, guidato e vigilato; e credo che ad assumere una missione così alta nessun organo sia più indicato dell'Associazione Fascista dell'Igiene, vuoi perchè essa é implicitamente alle dipendenze del Partito Nazionale Fascista, al cui Segretario spetta di ratificare la nomina del Presidente, vuoi perchè ad essa appartengono molti Enti di grande valore sociale e nazionale....desidero solo riconfermare che l'Associazione ambisce di fornire propagandisti ed istruttori di squadre di propaganda, disciplinati e fedeli, in qualunque parte d'Italia essi verranno a ciò comandati dal Governo e dal Partito".

Non é difficile immaginare a quali rischi esponga un simile atteggiamento di scienziati e studiosi nei confronti del potere politico, specialmente se sostenuto da ideologie totalitarie e razziste.

Del tutto specifico, e assai delicato, il ruolo (proprio dell'Educazione alla Salute) di chi mette a disposizione della popolazione le conoscenze scientifiche del suo tempo che, se asservite a scopi di potere, possono produrre distorsioni diffuse e di grande impatto emotivo.

Ma se la scienza biomedica provvede "da sè" ad acquisire il corredo di anticorpi etici contro le distorsioni culturali del proprio tempo, sarà in ogni caso più difficile che essa venga piegata alla dimostrazione di questa o di quella impostazione filosofica, culturale o politica.

E' questo uno dei compiti fondamentali della Bioetica, ed é una novità del nostro tempo (e una garanzia in più) che venga introdotta in modo pluralistico ed articolato (Diego Gracia dice "nel rispetto di un massimo individuale e di un minimo comune") la discussione sulle implicazioni morali di ogni attività scientifica.

Su questa base sarà anche possibile creare le premesse per una normazione non unilaterale, frutto di una ampia base di discussione cui ogni cultura abbia dato il proprio apporto.

*    Ancora: gli stessi problemi che si pongono in medicina e nella ricerca per l'interazione equilibrata di 3 principi ritenuti da molti autori come i principi fondamentali della Bioetica (beneficio, autonomia, giustizia) possono affacciarsi al momento di organizzare campagne di Educazione alla Salute.

Si potrebbe, cioè, parlare di impostazione etica dell'Educazione alla Salute contro quella sorta di "ippocratismo della prevenzione" che si verifica laddove lo sbilanciamento verso il principio di beneficio rischia di generare atteggiamenti verticistici e sostanzialmente autoritari dei responsabili di politica sanitaria impegnati nelle iniziative.

E potrebbe quindi essere non solo rilevante in termini di efficacia ed efficienza dell'intervento ma anche in termini di eticità porre l'accento organizzativo sulla partecipazione consapevole della popolazione evitando i flussi unidirezionali e a maggior ragione gli interventi impositivi.

In questo caso, un problema (etico) di metodologia.

*    La carenza di considerazioni etiche a monte del progetto può provocare errori che ne limitano o compromettono il risultato. Basti pensare all'impostazione victim blaming, diretta conseguenza di una insufficiente valutazione in tema di equità, ed ai guasti che ha prodotto. Ricorda a questo riguardo G. Berlinguer (Questioni di Vita, Einaudi 1991) che é facile dire ai tossicodipendenti "avete scelto di esserlo" ed evitare di approfondire le cause del disagio giovanile o dire agli operai fumatori che la causa delle malattie respiratorie che contraggono é dovuta alla loro incapacità di rinunciare al vizio del fumo mantenendo però inalterate le condizioni malsane in cui si svolge il loro lavoro.

"La tendenza al victim blaming" (biasimo delle vittime), sostiene ancora Berlinguer, "e a privilegiare tra le cause complesse di patologie sociali, quelle che non mettono in discussione gli assetti del potere economico e politico, sono in contrasto con la verita scientifica e con le esigenze della salute".

Le iniziative di Educazione alla Salute impostate su questa premessa, così come quelle basate su alternarsi di premi e punizioni, non hanno dato, nel nordamerica, risultati soddisfacenti, mentre l'azione sinergica sui fattori individuali e collettivi, comportamentali ed ambientali "moltiplica la possibilità di ottenere risultati positivi".

*    Infine é bene che chiunque operi in questo settore sia consapevole che la Prevenzione (e quindi più che mai l'EAS come modello di intervento di Prevenzione primaria) ha una sua eticità intrinseca ben individuabile.

Ci sono infatti dimensioni dell'intervento sanitario che oggi più che mai, anche a fronte dei crescenti costi della salute, si propongono come possibili alternative di approccio complessivo al problema per chi rifiuti di considerare inevitabile l'abbandono della sanità al governo esclusivo delle leggi di mercato.

Queste possibili soluzioni sono rappresentate dal novero di interventi che rientrano, appunto, sotto la complessiva espressione di Prevenzione.

La Prevenzione, intesa nel suo significato più ampio, attuata cioè in tutti e tre i suoi livelli di intervento (etiologica, patogenetica, riabilitativa), può rappresentare davvero una soluzione decisiva per i nuovi problemi che affliggeranno la medicina del futuro.

Se infatti alla base del crollo di fiducia verso il concetto stesso di sanità pubblica c'é proprio una crisi sostanzialmente economica dei sistemi pubblici di assistenza sanitaria é proprio a questo scenario che si rivolge il progetto di una medicina futura in cui la prevenzione, attraverso lo strumento della educazione alla salute, riesca a svolgere un ruolo fondamentale di identificazione dei bisogni sanitari reali, di contrazione della domanda e conseguentemente di razionalizzazione della gestione delle risorse.

Numerosi studi internazionali dimostrano al riguardo, dati alla mano, come l'investimento di risorse economiche nella diagnosi precoce, nella sanificazione dell'ambiente, nelle vaccinazioni, nell'informazione sui comportamenti a rischio, consente di realizzare notevoli risparmi non solo in termini di sofferenze risparmiate alla popolazione ma anche sotto il punto di vista economico.

Più risorse, quindi, per far fronte a meno malattie, ed in definitiva dunque, più efficienza.

E non solo.

La prevenzione, per sua stessa natura, si rivolge a tutta la popolazione.

Una campagna vaccinale, per dare risultati, deve raggiungere la quasi totalità della popolazione cui é rivolta.

Di un intervento di risanamento ambientale godono indifferentemente tutti gli abitanti di un territorio, così come di una campagna di informazione che mira a modificare comportamenti a rischio.

Ci sono quindi aspetti di equità, nella Prevenzione, che ne giustificano una valutazione di "eticità intrinseca".

Ostacoli, però, ad una impostazione del genere non mancano.

Uno tra i più importanti é costituito dall'intreccio tra "technologic thought" alla base della concezione della medicina moderna, che l'interesse commerciale delle lobbies industriali é costantemente impegnato ad alimentare come "mito tecnologico", ed il coinvolgimento nel mantenimento di questa dinamica delle corporazioni professionistiche ed accademiche della medicina.

Questa sinergia può esercitare potenti condizionamenti sulle scelte di investimento economico e sugli orientamenti dell'opinione pubblica, impedendo di fatto alla gente di scegliere secondo i propri reali interessi attraverso l'azione di una serie di condizionamenti a volte espliciti, ancor più spesso impliciti o "subliminali".

D'altronde già trent'anni fà un illustre igienista come A. Seppilli (47) descriveva efficacemente la diversità di stati d'animo tra chi "malato, tormentato dalle sue sofferenze, dalla sua invalidità, dal terrore della morte, si rivolge al medico per avere da lui rimedio al male, superamento del suo terrore, fiducia nella ripresa e nella guarigione" e chi invece "sano e normale di mente non si sente angosciato dal pericolo del male; é sicuro del suo benessere, non sente il bisogno di consigli e tanto meno di indagini più o meno fastidiose".

La Prevenzione deve dunque affermarsi innanzitutto come cultura, come informazione di massa sostenuta dall'impegno dello Stato.

Ciò reclama l'esigenza indifferibile del recupero di una prospettiva di democratizzazione della medicina che é una delle più valide garanzie, oltre che di autentica umanizzazione della medicina stessa, anche di un sistema sanitario pubblico in grado di proporsi non solo come intrinsecamente equo ma anche, finalmente, efficace ed efficiente.

BIBLIOGRAFIA


G. Berlinguer - Questioni di vita - Einaudi

G. Berlinguer - Etica della Salute - Il Saggiatore

A. Di Meo, C. Mancina - Bioetica - Sagittari Laterza

E. Sgreccia - Manuale di Bioetica - Ed. Vita e Pensiero

D. Gracia - Fondamenti di Bioetica, sviluppo storico e metodo - Ed. San Paolo

AAVV - Atti dell'VIII Congresso Nazionale dell' AIFI - Roma 1932

G. Vanini , R. Bucci - Storia dei Congressi degli igienisti italiani, 1921-1988 - Vol. fuori commercio




Autore: Roberto Bucci

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