Nello studio pubblicato sulla rivista scientifica PNAS e condotto nell’ambito del progetto ERC Starting Grant HIDDEN FOODS dal team del laboratorio DANTE - Diet and ANcient TEchnology Laboratory del Dipartimento di Scienze odontostomatologiche e maxillo-facciali della Sapienza in collaborazione con l’Università di Vienna, l’analisi del DNA antico conservato nel tartaro di 44 individui provenienti da siti archeologici in Italia e nei Balcani, risalenti fino a oltre 15.000 anni fa, ha permesso di ricostruire l’evoluzione della flora orale degli antichi cacciatori e raccoglitori del Paleolitico e Mesolitico e dei primi gruppi di agricoltori che arrivarono dal Vicino Oriente durante il Neolitico, delineando così le tappe che hanno segnato in Europa meridionale la transizione verso l’agricoltura.
“Le analisi sui denti preistorici – commenta Claudio Ottoni, paleogenetista e primo autore dell’articolo – sono state condotte utilizzando tecniche avanzate di estrazione del DNA e di sequenziamento genico chiamate Next-Generation Sequencing (NGS) e hanno evidenziato come l’arrivo dei primi agricoltori abbia modificato solo parzialmente la composizione della flora orale degli antichi cacciatori. Nonostante ciò, tale evento è stato registrato nel genoma umano e in quello di molte specie di animali che sono state portate dagli antichi agricoltori. Attraverso lo studio della variabilità genetica e l’analisi filogeografica di una specie batterica che popola la cavità orale, l’Anaerolineaceae bacterium oral taxon 439, siamo riusciti a ricostruire il flusso migratorio dei primi agricoltori che, circa 8.500 anni fa, spostandosi dal Vicino Oriente, sono giunti nei Balcani e in Italia”.
“La nostra analisi - continua Emanuela Cristiani del Dipartimento di Scienze odontostomatologiche e maxillo-facciali, responsabile scientifico del progetto HIDDEN FOODS e coordinatrice dello studio - ha permesso di individuare in due campioni di tartaro degli antichi cacciatori, rinvenuti nel sito di Vlasac, in Serbia, alcune tracce di DNA di piante tra cui betulla, nocciola e sambuco. Macro-resti di queste specie vegetali sono stati rinvenuti anche nei contesti mesolitici nello stesso territorio e confermano il consumo di tali specie a scopo alimentare e/o tecnologico”.
Precedenti studi avevano già dimostrato che la resina di betulla veniva masticata per essere poi usata come collante, ad esempio per la fabbricazione di utensili, un’attività che potrebbe aver lasciato una traccia molecolare nel tartaro degli antichi cacciatori-raccoglitori.
“Un cambiamento più profondo nella composizione della nostra flora batterica - spiega Claudio Ottoni - è avvenuto successivamente al Neolitico, come ha dimostrato il confronto con alcuni dataset di tartaro umano riferibili al 18° e 19° secolo fino a oggi. Nello specifico, i nostri risultati hanno evidenziato come l’attività funzionale della flora orale umana moderna sia mutata a seguito dell’uso massiccio di antibiotici a partire dagli anni ’40 del secolo scorso, un utilizzo che ha portato all’insorgenza di meccanismi di resistenza agli antibiotici precedentemente assenti nei campioni preistorici”.
“Lo studio – conclude Cristiani - rappresenta un decisivo passo avanti nell’analisi del tartaro antico sebbene occorreranno ulteriori indagini per stabilire se le dinamiche osservate nei Balcani e in Italia si siano verificate anche in altre regioni d’Europa. Per capire esattamente quando la nostra flora orale è cambiata, sarà necessario analizzare campioni più recenti, dall’Età del Bronzo fino al Medioevo”.