Questi gli aspetti diretti, ossia quelli che percepiamo nell’immediato quando proviamo o iniziamo a cantare in coro, ma non dobbiamo trascurare l’aspetto storico di questa pratica musicale, che è molto antico, diremo addirittura remoto.
Infatti il canto corale è una manifestazione musicale che appartiene a tutte le civiltà fin dalle più antiche, che ha accompagnato la vita associativa dell’uomo attraverso le più varie e diverse forme, come i canti di lavoro, di guerra, di caccia, i canti religiosi, cerimoniali, funebri, magici, propiziatori, eccetera… Non dobbiamo dimenticare che la voce è lo strumento musicale che nasce con l’uomo e dentro l’uomo, per cui la coralità è l’espressione musicale più vicina ad esso, ed attraverso il canto è la comunicazione verbale che si trasforma in musica per esprimere tutto ciò che non si può dire con le sole parole.
Nei tempi antichi, in occidente, il canto liturgico è stato per diversi secoli l’unica forma musicale esistente, derivante dagli antichi canti religiosi ebraici e tradotto nel canto gregoriano (dal nome del suo fondatore, Papa Gregorio Magno), ed in seguito (dopo circa 600 anni) esso trovò una forma meno liturgica ma più artistica con l’avvento e lo sviluppo delle prime forme polifoniche. A quel tempo le donne erano escluse dalla pratica del canto – sacro o profano che fosse – ed allora le parti acute erano affidate agli uomini che cantavano in falsetto (poi vennero i castrati, e la vocalità prese tutt’altra strada).
Ma dopo il tempo del Rinascimento, la musica corale si estese al di là della sola liturgia, e le parti corali presenti nei melodrammi e negli oratori si svilupparono secondo regole armoniche precise e perfette nel loro equilibrio, fino ad arrivare, con le opere di Vivaldi, Bach, e Handel, al massimo splendore, per poi giungere alle pagine sublimi di Mozart e Beethoven.
Ma, tralasciando l’opera musicale dell’età barocca (invero affascinante ma assai complessa nella sua costruzione), la pratica del canto corale non ha disdegnato gli ambienti ed i contesti popolari e tribali di tante e diverse parti del mondo. Questi canti infatti accompagnano da sempre il lavoro manuale, gli avvenimenti della vita sociale, i rituali religiosi ed i riti pagani, ed in ognuno di questi generi essi hanno sviluppato delle caratteristiche proprie e distinte.
Per esempio ci sono i cori polifonici e poliritmici della musica africana, le armonie di terze e seste della musica alpina e slava, i cori per seconde parallele per voci femminili tipici dei Balcani, i cori unisoni indonesiani e dell’Oceania, i massicci cori russi e quelli orientali che intonano melodie basate sui sistemi pentatonici, per non parlare degli innumerevoli cori amatoriali d’ogni parte del mondo il cui repertorio è vastissimo
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Inoltre la musica corale occupa un posto rilevante nell’educazione e nella formazione d’ogni individuo, perché il coro è una vera e propria scuola che educa la persona ad interagire con gli altri membri del gruppo: fondamentale è, infatti, per un corista, il controllo della propria voce in relazione a quella degli altri, facendo in modo che essa si amalgami e non prevarichi mai sull’insieme. Ed ecco che ascoltarsi ed ascoltare sono due elementi fondamentali per chi canta in un coro.
L’attività corale è quindi altamente educativa, ha in sé una naturale e riconosciuta capacità psicoterapeutica e sa favorire il corretto sviluppo dell’equilibrio mentale ed il benessere generale, per l’evoluzione intellettiva dell’essere umano e per fare in modo che esso possa far emergere tutte le sue potenzialità.
Cantare in coro è dunque una vera e propria disciplina, dove c’è bisogno di ordine, attenzione, concentrazione, controllo, cultura specifica, sensibilità e comunicativa, ed inoltre l’attività pratica esercita un notevole impatto emozionale su che canta e su chi ascolta.
Marina Pinto