La prognosi è cambiata dall’inizio degli anni 2000 con l’introduzione nella pratica clinica degli inibitori delle tirosin-chinasi, una terapia mirata alla lesione genetica che caratterizza la LAL Ph+. In tutti i protocolli nazionali del gruppo cooperatore GIMEMA (Gruppo Italiano Malattie EMatologiche dell'Adulto) si è deciso di trattare i pazienti nella prima fase – quella detta “di induzione” – con un inibitore delle tirosin-chinasi associato alla terapia steroidea, senza chemioterapia. Si è osservato che con questa strategia si ottenevano percentuali molto elevate di remissioni cliniche e limitati effetti collaterali, in pazienti di tutte le età. È importante anche sottolineare che gli inibitori delle tirosin-chinasi sono somministrati per via orale e quindi spesso a domicilio, con un vantaggio per la qualità di vita dei pazienti.
Il gruppo guidato da Robin Foà di Sapienza Università di Roma ha poi utilizzato un inibitore delle tirosin-chinasi di seconda generazione (dasatinib) seguito da un trattamento di consolidamento con un anticorpo monoclonale bispecifico (blinatumomab) in grado di riconoscere due antigeni, uno sulle cellule tumorali e uno sui linfociti che sono così attivati contro il tumore. L’uso congiunto dei due farmaci ha permesso di ottenere una remissione completa della leucemia nel 98% dei pazienti, di tutte le età, senza effetti collaterali rilevanti e senza dover ricorrere alla chemioterapia sistemica. I risultati dello studio clinico GIMEMA LAL2116 (D-ALBA), sostenuto nell’ambito di un programma “5 per mille” da Fondazione AIRC e con il contributo di Amgen, sono stati pubblicati nel 2020 sul New England Journal of Medicine.
Oggi arrivano i dati di oltre quattro anni di follow-up dei pazienti (53 mesi), pubblicati dallo stesso gruppo sul Journal of Clinical Oncology. I risultati confermano l’efficacia di questa strategia terapeutica con percentuali di sopravvivenza tra il 75% e l’80%. Lo studio ha anche mostrato che il 50% dei pazienti è stato trattato con la sola terapia combinata, senza dover ricorrere a chemioterapia o trapianto. La malattia è stata monitorata durante il trattamento con tecniche di biologia molecolare e nessuno dei pazienti con risposta molecolare profonda precoce ha presentato recidive.
Questa strategia terapeutica può essere somministrata in larga parte a domicilio; infatti, il protocollo clinico ha potuto proseguire anche durante il lockdown per la pandemia da Covid-19, iniziato a marzo 2020.
“Questi risultati – commenta Robin Foà, Professore Emerito di Ematologia presso Sapienza Università di Roma – sono i migliori fino a oggi ottenuti perché si sono mantenuti nel tempo e, soprattutto, a prescindere dall’età dei pazienti. Ciò dimostra che questa strategia terapeutica basata su una terapia a base di un inibitore delle tirosin-chinasi, mirata all’alterazione genetica caratteristica della LAL Ph+, e associata a un anticorpo immunoterapico bispecifico, rappresenta davvero il futuro della terapia per pazienti di tutte le età con LAL Ph+. La chemioterapia e il trapianto potranno dunque essere evitati in moltissimi pazienti”.
Quest’ultimo punto verrà definitivamente documentato dal nuovo protocollo clinico multicentrico GIMEMA di fase 3 attualmente in corso nel nostro Paese per pazienti adulti con LAL Ph+ di tutte le età.