Ma perché in alcuni segmenti del genoma queste sequenze si sistemano vicine l’una all’altra? Ci sono utili per identificare nuovi bersagli terapeutici? «La voglia di rispondere a queste domande ci ha spinto a metterci in rete e, all’Ateneo Padova, abbiamo costituito un gruppo interdisciplinare – dice Claudia Sissi del Dipartimento di Scienze del Farmaco –. Le competenze sullo studio e la caratterizzazione degli acidi nucleici e delle proteine, presenti nel Dipartimento di Scienze del Farmaco, si sono arricchite delle capacità bioinformatiche del gruppo del Prof. Stefano Toppo, del Dipartimento di Medicina Molecolare, e dell’esperienza in ambito cellulare del gruppo della Prof.ssa Mery Giantin, del Dipartimento di Biomedicina Comparata e Alimentazione». Questo modo di lavorare ha consentito di rivelare la “doppia vita” della vimentina. Questa proteina è nota per formare dei filamenti che creano una sorta di rete, la quale rinforza la struttura della cellula e le consente di spostarsi. La vimentina è presente anche nel nucleo delle cellule dove è conservato il DNA. Studiando alcuni frammenti di DNA, che sappiamo essere importanti per controllare la crescita di cellule tumorali, è stato dimostrato che questa proteina si lega in modo specifico a siti del genoma dove due o più strutture G-quadruplex sono vicine. La distribuzione della proteina che ne risulta non è casuale: il gruppo di ricerca padovano ha osservato che si concentra proprio su quei geni necessari a vimentina per far crescere e muovere le cellule tumorali.
«Questa visione di ricerca integrata ci ha consentito di identificare un nuovo bersaglio terapeutico che può ora essere utilizzato per mettere a punto un nuovo approccio terapeutico in campo oncologico – conclude Claudia Sissi del Dipartimento di Scienze del Farmaco –. Impedendo il legame della proteina a questi siti del DNA si potrebbe forse inibire la formazione delle metastasi da parte delle cellule tumorali. Da un lato si eviterebbe così che la malattia si estenda a vari organi, dall’altro si limiterebbe la replicazione delle cellule tumorali. Questo rallentamento potrebbe dare più tempo per intervenire in modo mirato ed efficiente». Lo studio è stato sostenuto da Fondazione AIRC per la Ricerca sul Cancro.