Il risultato, pubblicato di recente su Nature, ha indentificato 13 loci (posizioni nel genoma umano) strettamente associati a infezione o COVID-19 grave oltre a fattori causali come il fumo e un indice di massa corporea elevato. Il consorzio ha raccolto dati clinici e genetici sui quasi 50.000 pazienti oggetto dello studio risultati positivi al virus e su 2 milioni di soggetti di controllo, attingendo a numerose biobanche, studi clinici e società genetiche D2C come 23andMe. Grazie all’ingente volume di dati provenienti da tutto il mondo, gli scienziati sono stati in grado di produrre analisi statisticamente solide in tempi molto più rapidi e su un campione più diversificato di quanto avrebbe potuto fare ogni singolo gruppo. Dei 13 loci identificati sinora dagli scienziati, due erano più frequenti tra i pazienti originari dell'Asia orientale o meridionale che in quelli di origine europea, a conferma dell'importanza della diversificazione degli insiemi di dati genetici.
Il team ha evidenziato in particolare uno dei due loci vicino al gene FOXP4, legato al tumore al polmone. La variante FOXP4 associata a COVID-19 grave aumenta l'espressione del gene: proprio per questo l'inibizione del gene potrebbe rappresentare quindi una potenziale strategia terapeutica. Fra gli altri loci associati a COVID-19 grave, il DPP9, coinvolto nel tumore al polmone e nella fibrosi polmonare, e TYK2, implicato in alcune malattie autoimmuni. Mari Niemi (Institute for Molecular Medicine Finland- FIMM), principale analista dello studio, sottolinea che il consorzio ha dato priorità alla comunicazione nel corso dell'analisi, pubblicando i risultati sul sito subito dopo averne verificat la correttezza. “La ricerca potrebbe contribuire a fornire target per future terapie”, spiega Luca Valenti, “oltre a illustrare l'importanza degli studi genetici per la conoscenza delle malattie infettive. La strada è ancora ma speriamo che i risultati ottenuti possano indicare target utili per il riposizionamento di farmaci”.