«Il nostro studio ha dimostrato che, rispetto alle donne sane, le donne a rischio di psicosi post-partum presentano un’alterata connettività nei network cerebrali associati con i “comportamenti diretti ad un obiettivo”, ovvero quelle aree del cervello implicate nella pianificazione, organizzazione e completamento di compiti – spiega il prof. Fabio Sambataro, del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Padova e tra gli autori dello studio -. Questa ricerca inoltre offre la prima prova che un'aumentata connettività all'interno del network esecutivo del cervello (responsabile di attenzione, memoria di lavoro e capacità di prendere decisioni), potrebbe rappresentare un marker di rischio verso la comparsa di psicosi post-partum.»
I ricercatori hanno seguito 32 donne a rischio di psicosi post-partum e 27 donne sane dalla gravidanza fino a 8 settimane dopo il parto. Sono state considerate a rischio quelle donne che avevano una diagnosi di disturbo bipolare o disturbo schizoaffettivo o che avevano in precedenza manifestato sintomi di psicosi post-partum. La risonanza magnetica è stata sia svolta a riposo che durante lo svolgimento di un compito di elaborazione emotiva, per indagare l’attivazione e la connettività delle diverse aree cerebrali.
Il compito consisteva nel guardare immagini di facce che esprimevano varie emozioni negative, e le donne dovevano identificare l'emozione corretta (ad esempio, la paura). I ricercatori hanno misurato il tempo necessario per identificare in maniera corretta queste emozioni e hanno analizzato come le diverse parti del cervello si attivavano in risposta agli stimoli. Le donne a rischio di psicosi post-partum, ed in particolare quelle che poi hanno manifestato i sintomi dopo la nascita del figlio, presentavano una ridotta connettività tra specifici network cerebrali durante il task e tempi di reazione più lunghi di fronte alle immagini di emozioni negative, dimostrando quindi maggiori difficoltà nell’identificare le emozioni negative rispetto alle donne sane. Questo studio rappresenta il primo passo verso l’identificazione della connettività celebrale come potenziale marker di vulnerabilità alla psicosi post-partum, che potrebbe in ultima analisi favorire un intervento precoce e preventivo nei confronti della patologia.