“È un po’ come ricostruire la mappa delle varie linee della metropolitana ed identificare così le stazioni dove queste si intersecano, i cosiddetti hub: se si interviene sugli hub si avrà un effetto sull’intera rete”, spiega Elia Di Schiavi ricercatore del Cnr-Ibbr e autore dello studio. In questo lavoro, usando ben quattro diversi modelli Sma “in vivo” e “in vitro”, è stato quindi possibile chiarire la rete di segnalazione alterata nella malattia. “Questa rete è strutturata in due cluster centrati sulle proteine AKT e 14-3-3ζ/δ, rispettivamente. I cluster sono collegati tra loro dalla proteina B-Raf, che lavora come hub principale. L'interazione diretta di B-Raf con 14-3-3ζ/δ è stata dimostrata essere cruciale per la sopravvivenza dei motoneuroni”, continua Di Schiavi. Ulteriori analisi hanno rivelato che entrambe le proteine erano poco espresse nei motoneuroni e nel midollo spinale di modelli murini nelle fasi pre-sintomatiche della malattia. “Utilizzando colture cellulari derivate da pazienti affetti da Sma è stato possibile confermare un simile pattern con una bassa espressione delle due proteine”, aggiunge il ricercatore Cnr-Ibbr.
“Ma la cosa ancor più interessante è che questo meccanismo è perfettamente conservato nell’evoluzione, poiché un modello Sma del verme nematode C. elegans ha mostrato ugualmente una minore espressione dell'omologo di B-Raf, chiamato lin-45, quando il gene Smn1 era silenziato”. Inoltre in questo piccolo verme così diverso dall’uomo è stato possibile prolungare la sopravvivenza dei motoneuroni aumentando l'espressione di B-Raf/lin-45, con conseguente miglioramento delle funzioni motorie. “Il recupero è stato efficace anche dopo che la degenerazione dei motoneuroni era iniziata. Questo studio pone il fondamento per ulteriori analisi che possano far sperare nella possibilità di intervenire anche quando i sintomi della malattia comincino a manifestarsi e in maniera complementare ai trattamenti farmacologici attualmente utilizzati nella pratica clinica”.