Marianna Nuti del Dipartimento di Medicina sperimentale della Sapienza, insieme con Paolo Marchetti e Guido Valesini, rispettivamente dell’Unità di Oncologia B e del Centro di Reumatologia del Policlinico Umberto I, hanno recentemente pubblicato un lavoro sulla rivista EBioMedicine, del gruppo The Lancet, in cui indagano, in pazienti con tumore polmonare in trattamento con immunoterapici, il ruolo di un autoanticorpo nel predire la progressione precoce di malattia. I ricercatori hanno visto che la presenza dell’autoanticorpo, chiamato IgM-FR (fattore reumatoide di classe IgM), è associata, nei pazienti con carcinoma polmonare, alla riduzione di una popolazione specifica di cellule immunitarie, i linfociti T antitumorali CD137 +. Questa popolazione linfocitaria è peraltro uno dei bersagli terapeutici della terapia con immunoterapici, per cui la sua riduzione potrebbe tradursi in una perdita di efficacia del trattamento e in una tendenza a sviluppare progressioni precoci di malattia entro 3 mesi dall’inizio dello stesso.
“I trattamenti con gli Immune Checkpoint Inhibitors, come l’immunoterapico anti-PD-1 hanno fortemente migliorato le opzioni terapeutiche e l’outcome per i pazienti oncologici affetti da Non-Small Cells Lung Cancer (NSCLC) – spiega Marianna Nuti, coordinatrice dello studio. “Tuttavia, molti di questi mostrano resistenza alla terapia, la quale risulta meno efficace: il nostro lavoro ci permette di correlare una parte della resistenza con la presenza dell’autoanticorpo IgM-FR che sembrerebbe legarsi a due classi di linfociti T, naïve e central memory, riducendone la capacità di dirigersi verso i linfonodi deputati a drenare il tumore e di attivarsi contro le cellule cancerose”.
I risultati ottenuti con questo studio permettono quindi di compiere un altro passo nella direzione della medicina personalizzata in cui è il paziente con il suo sistema immunitario a guidare la scelta del miglior approccio terapeutico, più che il tumore e lo stadio di malattia.