Una delle loro possibili applicazioni è la somministrazione guidata del farmaco. Una volta “agganciato” il farmaco, le nanoparticelle possono essere guidate verso la zona colpita da tumore e, giunte nel punto desiderato, rilasciare il loro carico solo dove necessario. In questo modo il farmaco può agire in maniera puntuale senza recare danni ai tessuti sani circostanti.
Non solo. Per le nanoparticelle è in fase di studio un’altra importante applicazione biomedica: la distruzione di un tumore localizzato attraverso l’ipertermia. Le cellule cancerogene possono infatti essere soppresse innalzando la loro temperatura a 42.5ºC e mantenendola tale per più di 30 minuti. Guidati fino all’esatto punto in cui si trova il tumore, i nano magneti possono agganciare le cellule tumorali e, sotto l’azione di un campo magnetico variabile di intensità opportuna, essere costretti ad oscillare liberando calore fino al raggiungimento della temperatura critica per la sopravvivenza delle cellule tumorali. Il fenomeno descritto è lo stesso che caratterizza il principio di funzionamento del forno a microonde.
Allo stato attuale il gruppo di ricerca si dedica alla preparazione delle nanoparticelle ovvero si occupa di sintetizzarle, di caratterizzarle valutando le loro proprietà strutturali e magnetiche, e di inglobarle nei liposomi, microsfere cave formate da uno o più doppi strati lipidici, ottenendo quelli che vengono chiamati magneto-liposomi. I liposomi infatti sono considerati un ottimo strumento di somministrazione di farmaci grazie alla loro qualità di essere assorbibili da ogni cellula e di rilasciare il loro contenuto lentamente.
Nell’analisi delle nanoparticelle viene prestata una particolare attenzione alle loro dimensioni. I nano magneti devono essere di circa 20 nanometri. Se le dimensioni sono maggiori potrebbero ostruire i vasi; se le dimensioni sono inferiori potrebbero venire fagocitati dai macrofagi, cellule tissutali la cui funzione principale è la fagocitosi cioè la capacità di inglobare particelle estranee e di distruggerle.
I nanomagneti possono essere di ossido di ferro oppure di ferrite di cobalto. La ferrite di cobalto ha il vantaggio di poter essere guidate in modo più efficace dal campo magnetico perche le sue proprietà magnetiche dipendono fortemente dalla direzione lungo la quale vengono considerate (anisotropia magnetica). Al contrario delle nanoparticelle di ossido di ferro, quelle in ferrite di cobalto necessitano però di essere rivestite, in genere con silice, per eliminare gli effetti tossici e di essere funzionalizzate.
Una volta compiuta la loro missione, i nanomagneti possono essere lasciati all’interno del corpo umano cosi da essere “mangiati” dal sistema dei macrofagi, se sono di ossido di ferro; si devono invece accompagnare verso l’uscita, se sono di ferrite di cobalto.
Gli sviluppi futuri di questa ricerca richiedono uno studio multidisciplinare che prevede per ora una collaborazione con gruppi di ricerca di Dipartimenti di Farmacia e Medicina. Una volta valutata la tossicità nelle cellule si pensa infatti di passare alla sperimentazione in vitro e in vivo sui ratti.
Laura Farci