Geografia

Geografia (88)


Terremoto 2023 Antiochia - Turchia

 


Dall’analisi sismica degli ultimi duemila anni in Turchia orientale, un team di studiosi italiani ha ricostruito il tracciato dei movimenti tellurici temporalmente e spazialmente vicini tra loro, confermando un comportamento sismico complesso, conosciuto meglio come ‘superciclo sismico’ e aprendo nuove prospettive per la comprensione dei terremoti. Lo studio, condotto da ricercatori del Cnr-Igag e dalle Università di Messina e Palermo, è stato pubblicato sulla rivista Nature Communications.


Una ricerca condotta dall’Università di Firenze e dall’Istituto di geoscienze e georisorse del Cnr di Firenze, in collaborazione con varie università internazionali, ha messo in evidenza come l’attività vulcanica della Rift Valley non sia avvenuta in modo continuo bensì ‘a scatti’. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Communications Earth & Environment.


L’attività vulcanica della Rift Valley negli ultimi quattro milioni di anni non è stata costante e continua nel tempo ma è avvenuta ‘a scatti’, ossia con brevi periodi di intensa attività esplosiva
intervallati da periodi di quiete o ridotta attività. È quanto emerge da un lavoro dell’Università di Firenze e dell’Istituto di geoscienze e georisorse del Consiglio nazionale delle ricerche di Firenze (Cnr-Igg), in collaborazione con università di Etiopia, Francia e Regno Unito. La ricerca, pubblicata sulla rivista Communications Earth & Environment del gruppo Nature, offre per la prima volta un'analisi dettagliata dell'evoluzione vulcanica della Rift Valley in Etiopia. “Grazie ai dati raccolti durante diverse campagne sul campo e alla datazione in laboratorio dei numerosi campioni di rocce vulcaniche, abbiamo identificato un periodo principale di intensa attività vulcanica tra 3,4 e 3,8 milioni di anni fa, seguito da altre quattro fasi di forte vulcanismo, spiega Giacomo Corti del Cnr-Igg. “In ciascuna di queste fasi sono stati riconosciuti eventi esplosivi di grande entità, alcuni dei quali hanno prodotto depositi vulcanici spessi decine di metri”. Questi eventi hanno avuto un impatto significativo sul paesaggio, trasformando vaste aree e rendendole inospitali per lunghi periodi, con possibili conseguenze sul clima globale.

 

Il nuovo risultato scientifico raggiunto attraverso l’analisi delle deformazioni del suolo, la modellazione delle sorgenti vulcaniche e le simulazioni petrologiche sull’attività del vulcano dal 2007 al 2023.

Comprendere se l’attività sismica, la deformazione del suolo e l’emissione di gas, fenomeni che dal 2007 sono progressivamente aumentati per il bradisismo in corso nel vulcano Campi Flegrei, coinvolgano il movimento o un accumulo di magma in profondità e, quindi, tracciarne l’evoluzione nel tempo.
Questi gli obiettivi raggiunti da un team internazionale di ricercatori guidato dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) in collaborazione con l’Università degli Studi Roma Tre e l’Université de Genève, nell’ambito del progetto “LOVE-CF” finanziato dall’INGV per l’indagine multidisciplinare dei Campi Flegrei.


Un team di ricerca internazionale ha svelato il mistero attorno al lungo segnale sismico registrato un anno fa in tutto il pianeta: si è trattato di una enorme frana che ha interessato il fiordo di Dickson, nell’Artico, generando una gigantesca onda di tsunami che ha fatto oscillare le acque per giorni.


Una enorme frana causata dal crollo della cima di una montagna nel remoto fiordo di Dickson, nella Groenlandia nord-orientale, ha a sua volta generato un mega-tsunami alto 200 metri che ha continuato a oscillare nel fiordo per 9 giorni, facendo registrare in tutto il mondo un segnale sismico mai osservato in precedenza. È quanto emerge dallo studio “A rockslide-generated tsunami in a Greenland fjord rangthe Earth for 9 days” appena pubblicato sulla rivista scientifica ‘Science’, cui hanno collaborato 68 scienziati provenienti da 40 Istituzioni di 15 Paesi.

 


Team internazionale di ricerca svela dettagli cruciali sulla struttura interna del vulcano Etna.
Una tecnica avanzata di tomografia sismica anisotropa, ovvero che considera la variabilità della velocità delle onde sismiche in base alla direzione di propagazione, ha permesso di ottenere informazioni senza precedenti sulla struttura della crosta terrestre nella regione etnea e sull'interazione tra tettonica e vulcanismo, evidenziando le possibili vie attraverso le quali il magma si “fa strada” verso la superficie. Questo è il risultato dello studio Crustal Structure of Etna Volcano (Italy) From P-Wave Anisotropic Tomography condotto da un team di ricercatori guidato dall’Università degli Studi di Padova, in collaborazione con l’Osservatorio Etneo dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV-OE) e con l’Università di Leeds (UK), recentemente pubblicato sulla rivista scientifica «Geophysical Research Letters».

«Rispetto ai precedenti studi tomografici condotti nell’area etnea, questa ricerca si distingue per l’utilizzo pionieristico, in ambiente vulcanico, di tecniche di tomografia anisotropa» spiega Rosalia Lo Bue, prima autrice dello studio, condotto nel ruolo di assegnista all’Università di Padova, e oggi assegnista di ricerca presso l’Osservatorio Etneo dell’INGV. «La tomografia sismica funziona in maniera analoga alla tomografia medica ma utilizza onde sismiche per esplorare l’interno della Terra. Tradizionalmente, la tomografia sismica impiega un approccio isotropo, che non considera la variabilità della velocità delle onde sismiche in base alla direzione di propagazione» dichiara Elisabetta Giampiccolo, ricercatrice dell’INGV-OE.


Nello studio pubblicato su «Nature Astronomy» dal team di ricerca internazionale guidato dall’Università di Trento, Riccardo Pozzobon dell’Università di Padova ha validato le rilevazioni del radar della Nasa Lunar Reconnaissance Orbiter in modo da ottenere un’interpretazione geologica convincente.


La presenza di queste cavità era teorizzata e discussa da oltre 50 anni e ora ne è stata dimostrata l'esistenza con la pubblicazione dell’articolo dal titolo “Radar Evidence of an Accessible Cave Conduit below the Mare Tranquillitatis Pit” su «Nature Astronomy». Si tratterebbe di un condotto di lava svuotato che permetterebbe l’accesso in profondità al sottosuolo lunare tramite un collasso chiamato Mare Tranquillitatis Pit, situato nell’omonimo mare basaltico. L’osservazione diretta è stata resa possibile sfruttando un'innovativa metodologia di elaborazione delle immagini radar sviluppata dagli autori dello studio guidato dall’Università di Trento. Tale metodologia ha la capacità unica di vedere attraverso l'oscurità ed è stata applicata ai dati radar acquisiti dal sensore radar Mini-RF attualmente in orbita intorno alla Luna. Riccardo Pozzobon, ricercatore in geologia planetaria al Dipartimento di Geoscienze dell’Università di Padova ed esperto in telerilevamento satellitare di superfici planetarie e analoghi terrestri, ha fornito il supporto delle conoscenze geologiche di tali strutture vulcaniche e, in particolare, ha validato i dati ottenuti dal radar MiniRF in modo da ottenere una interpretazione geologica convincente.


Un team di ricercatori dell’Università Statale di Milano ha individuato tracce di ghiacciai ormai scomparsi nell’area dei Monti della Laga. Una scoperta che potrà aiutarci a capire il futuro degli ultimi ghiacciai alpini. La ricerca è pubblicata su Mediterranean Geoscience Reviews.
I ghiacciai alpini che si ritirano di anno in anno sono diventati da qualche tempo il simbolo della crisi climatica in corso. Infatti l’innalzamento delle temperature sta inesorabilmente portando alla scomparsa di queste importanti riserve di acqua, la cui salvaguardia è fondamentale per la vita del pianeta.
Ma cosa potrebbe succedere in futuro? Per capirlo un team di ricercatori dell'Università degli Studi di Milano si è messo sulle tracce degli an chi ghiacciai dell’Appennino centrale scomparsi ormai da secoli, riuscendo a individuare per la prima volta sui Monti della Laga nelle località di Monte Pelone e la Valle del Tordino (in provincia di Teramo) testimonianze di ghiacciai risalenti al Quaternario, quando i ghiacci si estendevano anche sugli Appennini mediterranei.



Le indagini sono state condotte a bordo della rompighiaccio Laura Bassi. Il complesso, mai identificato prima, si trova in una zona strategica per lo studio della calotta glaciale antartica

La straordinaria scoperta di una catena di vulcani sottomarini è stata effettuata nei mari remoti della Terra Vittoria Settentrionale in Antartide, grazie alle indagini geologiche e geofisiche condotte a bordo della nave rompighiaccio italiana "Laura Bassi" dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale – OGS nell'ambito del progetto internazionale BOOST finanziato dal Programma italiano di Ricerche in Antartide e coordinato dall'Università di Genova.

Con un’indagine pionieristica, un team di ricerca dell’Ingv e del Cnr ha svelato importanti dettagli sulla natura dell’attività del vulcano e aperto nuove strade nella valutazione del rischio. Lo studio è pubblicato su Geophysical Research Letters.

 Analizzando dati satellitari avanzati e segnali sismici, un team di ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) e dell’Istituto per il rilevamento elettromagnetico dell'ambiente del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr-Irea) ha tracciato la mappa della sorgente vulcanica dell’isola di Vulcano, e delineato chiaramente le implicazioni di questa scoperta per la sicurezza dell'area. Lo studio, pubblicato sulla rivista Geophysical Research Letters, ha fornito risultati che rappresentano un fondamentale punto di partenza per valutazioni future della pericolosità vulcanica dell’isola.



Il 31 ottobre 2023 è iniziata la 39a spedizione scientifica italiana in Antartide con l'apertura della base "Mario Zucchelli" situata sul promontorio di Baia Terra Nova. Questa campagna estiva avrà una durata di oltre 4 mesi e coinvolgerà circa 130 ricercatori e tecnici, i quali lavoreranno su 31 progetti di ricerca che spaziano dalle scienze dell'atmosfera alla geologia, dal paleoclima alla biologia, dall' oceanografia all'astronomia.

Le missioni italiane in Antartide sono finanziate dal Ministero dell'Università e della Ricerca nell'ambito del Programma Nazionale di Ricerche in Antartide (PNRA) e sono gestite in collaborazione dal Cnr, che si occupa del coordinamento scientifico, dall'ENEA, responsabile della pianificazione e dell'organizzazione logistica delle attività presso le basi antartiche, e dall'Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale - OGS, che gestisce la parte tecnica e scientifica della nave rompighiaccio Laura Bassi.

 

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