Nata a Varsavia negli stessi anni in cui il cinema muove i primi passi, Tamara de Lempicka diventa ben presto cittadina del mondo, legando il proprio destino di donna e di artista a tante patrie: la Russia, alla quale deve la sua formazione culturale; la Francia dei salotti intellettuali dove conosce Joyce, Cocteau, Gide, Colette, Isadora Duncan, ma anche la Parigi malfamata dei bordelli, della cocaina e dei locali notturni; l'Italia di Prampolini, Marinetti e D'Annunzio; l'America delle grandi metropoli con i loro saettanti grattacieli di acciaio e cemento, ma anche quella glamour e patinata del jet-set hollywoodiano, di cui l'artista polacca è regina incontrastata negli anni 40.
Foto dall'alto verso il basso: 145, 01 e 228.Tamara de Lempicka nasce in Polonia, ma quando decide di affermarsi sulla scena artistica sceglie una nuova patria e una nuova identità, facendo credere a tutti di essere un pittore russo, Monsieur Lempitzky. A questa “doppia” identità di genere si aggiunge la doppia vocazione della sua arte, sempre in bilico fra modernismo sfrenato e purezza classica (i suoi modelli sono Hayez, Pontormo, Ingres). Anche la sua vita scorre su un doppio binario: da un lato il successo mondano e la sfacciata ostentazione della propria ricchezza, dall'altro la rappresentazione di santi e personaggi umili e diseredati, testimonianza di un'inquietudine che percorre tutta la prima metà del XX secolo, con le sue guerre, le sue rivoluzioni, le sue dittature.
Complessa ed enigmatica come le donne che dipinge con passione nelle sue tele, la “doppia” Tamara de Lempicka posa da femme fatale provocante e trasgressiva ma accetta la sfida della “donna virile”. L'artista polacca, apolide e pansessuale, non teme gli scandali, anzi li cavalca, e quindi non fa mistero delle proprie inclinazioni lesbiche, diventando tra le icone saffiche più famose del 900.
Dalle tempestose relazioni con Ira Perrot, Rafaela e Suzy Solidor nascono alcune delle sue opere più conturbanti, come la splendida serie di nudi dedicati alla bella Rafaela, in mostra al Complesso del Vittoriano, che faranno dire a Prampolini “i vostri ritratti sono un meraviglioso panorama della sensualità e della psicologia della carne”. Corpi ampi e scolpiti, dalla superficie turgida, liscia e satinata, inguainati in abiti dai colori squillanti e metallici – il rosso, il verde, il “blu Lempicka” - che sembrano aderire alla carne come una seconda pelle strizzando le forme con torbida voluttà. I ritratti femminili emanano tutta la tensione erotica di un rapporto d'amore, fatto di lente svestizioni e prolungate carezze stese sulla tela come se fosse il corpo dell'amata. Alla posa languida e seduttiva delle modelle si contrappone quasi sempre l'ambiguità dello sguardo, che non si lascia mai svelare del tutto, inespugnabile come i sentimenti che vi fluttuano: desiderio, noia, stupore, dispetto, malinconia, chi può dirlo?
A spazzar via il turbamento di quegli occhi imbronciati ci vuol davvero poco perché alla fine su tutto domina incontrastata un'unica idea: l'arte è un gioco e la de Lempicka, con goliardica leggerezza, si diverte un mondo a strizzare l'occhio a quei corpi troppo pieni, a quei seni troppo rigidi svettanti come vele rigonfie, a quei colori troppo chiassosi che hanno riempito il nostro immaginario collettivo non meno delle lattine Campbell's.
Foto dall'alto verso il basso: 51 e 28.
“Una, nessuna e centomila Tamara de Lempicka” potrebbe essere un altro sottotitolo della mostra. L'artista polacca, infatti, come in un gioco di specchi, moltiplica all'infinito la propria immagine e il proprio corpo trasformandoli da un lato in un inconfondibile marchio di fabbrica, dall'altro in un enigma senza soluzione.
Unendo il fascino mondano di una femme fatale alla spregiudicatezza di un impresario, l'enfant terrible dell'Art Deco intuisce subito l'irresistibile seduzione del binomio arte-pubblicità e non esita a cavalcare le nuove tecnologie della comunicazione di massa per abbattere gli ultimi baluardi che separano la cultura “alta” dalla vita quotidiana, anticipando così quelle strategie di marketing che negli anni 60 decreteranno il successo commerciale dell'icona “pop” Andy Warhol, guarda caso anche lui figlio dell'immigrazione polacca.
Come sottolinea Gioia Mori, curatrice della mostra, Tamara de Lempicka prende dal cinema ma fa anche il cinema ed è incredibilmente a suo agio sia davanti che dietro la cinepresa; prende dalla moda ma fa anche la moda – nasce infatti come disegnatrice di modelli; prende dall'architettura moderna ma fa anche architettura, trasformando la propria casa di rue Méchaine in un corpo lucido e metallico come un transatlantico; prende dalla grafica ma disegna personalmente le copertine della rivista berlinese ”Die Dame”. Fotografia, grafica, cinema, pubblicità, telefono, metropoli, velocità: non vi è elemento di modernità nei suoi quadri che non sia intimamente mescolato e modellato con la stessa materia di cui è fatta la sua travolgente esistenza, scossa dai fremiti di una ricerca inesausta dell'eterno nell'effimero, dell'Arte nella Vita.
Veronica Rocco
Didascalie foto:
01
Tamara de Lempicka
La sciarpa blu
The Blue Scarf
1930
Olio su tavola, 56,5 x 48 cm
Collezione privata
©Tamara Art Heritage / Museum Masters International NYC
28
Tamara de Lempicka
Kizette in rosa
Kizette in Pink
1926
Olio su tela, 116,5 x 73 cm
Nantes, Musée des Beaux-Arts
©RMN-Foto: Gérard Blot
©Tamara Art Heritage / Museum Masters International NYC
51
Tamara de Lempicka
Rafaela su fondo verde (Il sogno)
Rafaëla on a Green Ground (The Dream)
1927
Olio su tela, 81,3 x 58,5 cm
Collezione privata, courtesy Duhamel Fine Art
©Tamara Art Heritage / Museum Masters International NYC
145
Tamara de Lempicka
La bella Rafaëla
La Belle Rafaëla
1927
Olio su tela, 63 x 90
Collezione Sir Tim Rice
© Sir Tim Rice
©Tamara Art Heritage / Museum Masters International NYC
228
Tamara de Lempicka
Nudo con grattacieli
Nude with Skyscrapers
1930
Olio su tela, 92 x 73 cm
Collezione Caroline Hirsch
©Tamara Art Heritage / Museum Masters International NYC