La città della Scienza nasce principalmente da un’idea del Prof. Vittorio Silvestrini, fisico dell’Università degli Studi “Federico II” di Napoli, che nel 1987 dà vita a “Futuro Remoto”, rassegna dedicata agli sviluppi possibili di Scienza e Tecnologia. Da questa, nel 1992, nasce la “Fondazione IDIS”, Istituto per la diffusione e la valorizzazione della cultura scientifica; certamente una operosa ed intelligente iniziativa nella quale viene coinvolto anche Vincenzo Lipardi, della cooperativa editoriale CUEN.
La grave crisi industriale che si stava consumando agli inizi degli anni Novanta negli stabilimenti dell’ITALSIDER di Bagnoli induce Silvestrini e Lipardi ad immaginare la progettazione e la costruzione di un vero e proprio Centro della scienza nell’Area di Bagnoli, in grado di favorire la riconversione della zona in un polo high-tech e con esso il recupero di posti di lavoro perduti, nello storico quartiere operaio di Napoli, a causa di processi di deindustrializzazione in atto.
L’idea originale del Centro della scienza piace: l’accordo per la realizzazione della Città della Scienza viene sottoscritto nel 1996 tra Governo, Regione Campania, Provincia e Comune di Napoli e la Fondazione IDIS.
Nello stesso anno viene aperto al pubblico il primo Nucleo del Complesso. Nel 2001 viene inaugurato lo “Science Centre”. Nel 2003 il Progetto viene completato con l’apertura del Centro di Alta Formazione, del Centro Congressi e del “Business Innovation Centre” .
Come in altri pochi casi nel mondo, la Città della Scienza è sorta con l’intento di promuovere lo sviluppo del Sapere scientifico a partire - cosa originale - dalla partecipazione sociale, nella convinzione che lo sviluppo stesso debba essere equo e sostenibile, basato possibilmente sulle risorse rinnovabili del territorio, ed ancora: offrire un’immagine della Scienza viva e vicina alla gente comune.
Parte integrante della Città della Scienza è stato il Progetto didattico “Laboratori e Giochi”, dedicato ai bambini, dove veniva stigmatizzata – tra l’altro - l’interazione durante la visita e la partecipazione attiva ai laboratori.
La cosiddetta “Officina dei piccoli” era suddivisa per fasce di età: da zero a tre anni, da quattro a sei anni, da sette a nove anni. C’erano i caleidoscopi, i periscopi, ed altro ancora. Era certamente un luogo in cui poter fare giochi “magici” e poi capire che la Scienza è in grado di spiegare tutto.
Nel Planetario, sotto uno schermo a cupola, si potevano osservare le stelle da vicino come persi nell’immenso spazio dell’universo.
Nel corso degli anni migliaia di bambini e di giovani hanno potuto usufruire gratuitamente di tutto ciò perché la Città della Scienza era nata per stimolare la curiosità - in particolare dei più piccini- per affascinare chiunque e diffondere il Sapere scientifico, dando inoltre la possibilità di apprendere giocando. In questo contesto i bambini e i giovani hanno imparato ad amare anche i numeri.
Il rogo della Città della Scienza ha bruciato un inestimabile “tesoro” costituito da beni materiali ed immateriali. Il fuoco ha ridotto in cenere non solo un luogo importante di lavoro, di progettazione, di idee e di apprendimento, ha soprattutto cancellato l’opportunità della Conoscenza arrecando così un danno irreparabile.
Interessi spregevoli, forse inconfessabili, possono essere la chiave di lettura di quanto accaduto ad un Organismo culturale come quello napoletano.
In realtà va anche considerato il fatto che tutto ciò è più probabile che possa accadere in un Paese come il nostro a causa dell’innegabile carenza di considerazione per la Cultura, per la Ricerca scientifica, per la diffusione delle Conoscenze e del sapere, peraltro riscontrabile nel “deficit” di consapevolezza generale sull’importanza della Cultura e della Conoscenza scientifica come fattori determinanti per lo sviluppo e il vero progresso della Società.
Le fiamme del rogo della Città della Scienza hanno distrutto principalmente la parte museale del Complesso culturale e con essa, assieme all’Officina dei piccoli e al Planetario, le esposizioni di “Futuro Remoto” e il Museo interattivo con il suo “Server”.
Una preziosa realtà culturale italiana, frutto di un “sogno” trasformato negli anni Novanta in Progetto di diffusione delle conoscenze, è stata così cancellata dalla barbarie umana.
Dr. Ing. Fausto D’Aprile