Uno studio dell’Università di Milano-Bicocca, in collaborazione con l’Azienda Ospedaliera Niguarda Cà Granda e l’Università di Pavia, spiega che le cure per l’Alzheimer non possono essere tutte uguali. Centrare la terapia garantirebbe una qualità di vita migliore al paziente e permetterebbe di tagliare i costi della spesa sanitaria. Per individuare il farmaco giusto, basta una risonanza magnetica.
Milano, 16 maggio 2012 – Il nostro cervello è in grado di rispondere alla terapia farmacologica contro l’Alzheimer? Una risonanza magnetica può dirlo. Lo studio condotto dal Dipartimento di Psicologia dell’Università di Milano-Bicocca, in collaborazione con l’Azienda Ospedaliera Niguarda Cà Granda e il Dipartimento di Psicologia dell’Università di Pavia (professoressa Gabriella Bottini), pubblicato sulla rivista Behavioral Neurology, ha dimostrato che i pazienti che subiscono un progressivo peggioramento della malattia, nonostante il trattamento farmacologico con inibitori dell’acetilcolinesterasi - principio attivo utilizzato in larga misura nella terapia per contrastare l’Alzheimer -, hanno una significativa atrofia dei nuclei profondi del cervello colinergici e dei fasci di sostanza bianca circostanti.