Lo studio svolto presso l’istituto Mario Negri di Milano, frutto della collaborazione tra il Dipartimento di Neuroscienze diretto da Gianluigi Forloni e quello di biochimica e farmacologia molecolare, diretto da Mario Salmon ha confermato il ruolo chiave che la proteina beta-amiloide esercita nell’ambito di questa malattia ed ha fornito nuovi elementi conoscitivi che possono influenzare positivamente la ricerca verso un intervento che risulti efficace.
La ricerca italiana si basa sullo studio degli oligomeri: piccoli aggregati solubili fatti della proteina beta-amiloide. Fra gli altri, due co- autori del lavoro C. Balducci e M. Gobbi hanno preparato, grazie ad una tecnica molto innovativa e raffinata, questi piccoli aggregati che sono molto simili a quelli ritrovati nel cervello dei pazienti affetti da Alzheimer. Dopo la preparazione, gli oligomeri sono stati applicati direttamente nell’encefalo di animali da laboratorio ed hanno provocato un danno selettivo nella loro memoria.
Sembrerebbe che l’azione degli oligomeri invalidi il processo di consolidamento delle informazioni rendendo difficile ricordare le informazioni recenti, mentre il loro effetto non è rilevante sulle notizie già consolidate che appartengono al passato del paziente. La situazione descritta è esattamente il quadro che si presenta all’insorgere della malattia.
Lo studio ha dimostrato anche il fatto che questo tipo di effetto non si ottiene se la beta-amiloide viene iniettata non aggregata o se gli aggregati sono troppo grossi e insolubili. "La ricerca – commenta Forloni, è importante perché conferma in maniera diretta il ruolo chiave degli oligomeri di beta-amiloide nella malattia di Alzheimer, proponendo un modello di studio semplice e utilizzabile per identificare nuovi approcci terapeutici.”.
Fabiana Dessì