Così il cancro sfrutta il caos cellulare per resistere alle terapie

Università degli Studi di Milano 18 Ago 2021


Scoperta una delle cause della chemioresistenza da ricercatori IEO e Università Statale di Milano. Il lavoro, sostenuto anche da Fondazione AIRC, è pubblicato da Developmental Cell.
Un gruppo internazionale di ricercatori, coordinato da Stefano Santaguida dell’Istituto Europeo di Oncologia e dell’Università Statale di Milano, ha scoperto una causa finora sconosciuta della chemioresistenza, il meccanismo con cui la cellula tumorale riesce a costruire una barriera che blocca l’azione dei farmaci anticancro, rendendoli inefficaci.


All’origine del temuto fenomeno, rivela lo studio, ci può essere una nota anomalia cromosomica chiamata “aneuploidia”, ovvero una variazione nel numero di cromosomi, presente nella maggior parte dei tumori. I risultati della ricerca, sostenuta anche da Fondazione AIRC, sono stati appena pubblicati sulla prestigiosa rivista scientifica Developmental Cell. “Il nostro lavoro dà un contributo fondamentale alla comprensione delle cause della chemioresistenza, un rischio che incombe anche sui farmaci anticancro più efficaci”, spiega Stefano Santaguida, Group Leader del Laboratorio di Integrità Genomica dello IEO e Professore di Biologia Molecolare all’Università degli Studi di Milano. “Abbiamo dimostrato che la cellula tumorale è capace di sfruttare la sua instabilità genetica per sopravvivere anche in condizioni di stress, quale l’attacco mortale di un farmaco chemioterapico.

Tutto parte dall’ aneuploidia, un cambiamento del numero di cromosomi, che risulta in un patrimonio cromosomico (cariotipo) diverso dalle cellule normali e caratterizzato da instabilità genetica. Questa instabilità è alla base del “caos cellulare” caratteristico del cancro, che manda in tilt il normale funzionamento della cellula. È come se le cellule stessero continuamente “rimescolando le carte”. Questo continuo rimescolamento può essere sfruttato da una cellula tumorale per sopravvivere: mettendo continuamente sottosopra il proprio corredo genetico, quando viene attaccata da una molecola di chemioterapico può selezionare meglio il suo “poker d’assi”, cioè il cariotipo capace di resistere al farmaco. Questo spiega perché in alcuni pazienti la chemioterapia potrebbe non raggiungere i risultati desiderati”.


L’aneuploidia è presente nel 90% dei tumori solidi e il 75% di quelli ematologici ed è da tempo oggetto di studio del gruppo di Santaguida, prima come target da utilizzare per colpire il tumore ed ora anche come strumento per combattere la resistenza ai farmaci. Per testare gli effetti dell’instabilità cromosomica sulla proliferazione cellulare in presenza di un agente chemioterapico, i ricercatori hanno esposto le linee cellulari del cancro a una batteria di farmaci chemioterapici, confrontando i risultati prima e dopo l’esposizione. “Abbiamo usato un pannello di linee di cellule tumorali da diversi tessuti di origine, tra cui colon, polmone e pancreas e continuamente esposti agli agenti antitumorali di routine utilizzati in clinica”, dichiara Marica Ippolito, prima autrice dello studio e dottoranda in Medicina Molecolare allo IEO. “Tra le condizioni testate, abbiamo trovato combinazioni che hanno portato un vantaggio in termini di sopravvivenza cellulare in circa un caso su cinque”. “L’ implicazione clinica della nostra scoperta è molto rilevante”, conclude Santaguida. “Il nostro obiettivo è inserire l’analisi del cariotipo nello studio del profilo del tumore, che già oggi effettuiamo e che ci permette una cura personalizzata. Lo studio paziente per paziente del cariotipo delle cellule tumorali sarà un passo in più verso una medicina di precisione. Se individuiamo quale cariotipo provoca chemioresistenza, possiamo capire da subito quale combinazione di farmaci utilizzare per evitarla e fornire trattamenti in grado di eradicare le cellule tumorali. I dati della ricerca oncologica mondiale ci confermano che per trovare la cura del cancro, la pillola magica, dobbiamo conoscere l’intimo della cellula tumorale, vale a dire cosa succede al suo interno a livello molecolare. Il nostro studio va esattamente in questa direzione”.

Lo studio pubblicato su Developmental Cell: https://authors.elsevier.com/a/1dWj45Sx5gmJGr

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