Raggiungono diametri compresi tra i 20 e i 700 km e sono costituiti in molti casi da blocchi poligonali, che possono raggiungere svariate centinaia di metri in altezza ed hanno geometrie caratteristiche” spiega Daniele Maestrelli del CnrIgg. “Secondo la teoria più comune, quest’area si sarebbe formata tra i 3.7 e i 2.9 miliardi di anni fa, quando accumuli di ghiaccio presenti al di sotto della superficie si sarebbero improvvisamente disciolti a causa del calore, rilasciando grandi quantità di acqua. Una volta drenata quest’ultima, la superficie sarebbe collassata sopra le cavità formatesi e il paesaggio sgretolato su sé stesso”. Il gruppo di ricerca è invece partito da una ipotesi differente: che questi terreni così complessi siano stati generati da eventi vulcanici e non dall’azione dell’acqua. “In particolare, sarebbero stati generati da un processo magmatico conosciuto come collasso calderico in blocchi, in cui la superficie di Marte è prima caratterizzata da un rigonfiamento legato alla messa in posto di magma in profondità, cui segue un repentino collasso per svuotamento delle camere magmatiche con formazione di strutture analoghe alle caldere presenti nel nostro pianeta”, prosegue il ricercatore Cnr-Igg. “Cicli successivi di rigonfiamento e svuotamento avrebbero determinato la notevole complessità dei ‘terreni caotici’ marziani”.
Per validare tali ipotesi, i ricercatori hanno riprodotto il processo di collasso calderico presso il Laboratorio di modellizzazione tettonica del Cnr-Igg di Firenze. “Abbiamo simulato cicli multipli di intrusione di massa lavica in una camera magmatica posta a pochi chilometri sotto la superficie marziana e successivo svuotamento e collasso. Il suolo marziano è stato ricreato a piccola scala utilizzando della sabbia, mentre per simulare il magma abbiamo usato delle poliglicerine”, spiega Giacomo Corti del Cnr-Igg. “Per la prima volta siamo riusciti a riprodurre in laboratorio le stesse caratteristiche dei terreni caotici marziani. Questi esperimenti mostrano quindi come la formazione di tali complesse strutture possa essere legata a processi vulcanici e non all’azione dell’acqua”. Erica Luzzi, della Jacobs University di Brema e coordinatrice dello studio, fa infine notare come esista una connessione con strutture molto simili presenti sulla superficie della Luna, denominati “Floor-Fractured Craters”: “Anche per questi crateri lunari l’origine potrebbe essere legata a processi magmatici, con cicli di intrusione di magma, rigonfiamento e successivi collassi”.