Attualmente il 95% dell’idrogeno è ottenuto da processi che impiegano fonti fossili. Solo il 5% proviene da fonti rinnovabili. Il paradigma per la generazione di idrogeno verde è l’accoppiamento della generazione di energia elettrica rinnovabile con l’elettrolisi dell’acqua (processo elettrolitico nel quale il passaggio di corrente elettrica causa la scomposizione dell'acqua in ossigeno ed idrogeno gassoso). Tuttavia, l’elettrolisi dell’acqua presenta importanti ostacoli. In particolare, le tecnologie degli elettrolizzatori più performanti impiegano quantità ingenti di platino e di iridio, entrambi presenti nella lista dei Critical Raw Materials (CRM), ovvero materiali a rischio di approvvigionamento. Sulla base dell’attuale catena di approvvigionamento i metalli del gruppo del platino limiterebbero la produzione di elettrolizzatori a membrana polimerica a circa 6-7 GW anno, contro i 100 GW annui previsti dalle roadmap di decarbonizzazione al 2030. La ricerca è quindi orientata ad eliminare tali materiali o a ridurne la quantità impiegata, aumentandone la durabilità e la riduzione dei costi dei dispositivi.
“Nel nostro esperimento il contenuto metallico dell’elettrodo catodico è meno della metà rispetto al platino presente negli elettrolizzatori più performanti noti nello stato dell’arte. Ogni singolo atomo è coinvolto nella reazione di evoluzione di idrogeno, a differenza di quanto avviene con le nanoparticelle nelle quali solo gli atomi della superficie, e non tutti, partecipano alla reazione. Questo si traduce in un carico metallico più basso a parità di idrogeno prodotto”, spiega Francesco Vizza del Cnr-Iccom e coordinatore dello studio.
Le implicazioni della ricerca riguardano sia la chimica fondamentale della reattività di piccole molecole come l’acqua, che nuove prospettive per la produzione sostenibile di idrogeno verde. “Il meccanismo di evoluzione di idrogeno proposto sarà utile alla comunità scientifica per la progettazione di catalizzatori su scala atomica e dispositivi elettrocatalitici migliorati. Il passo successivo sarà lo studio dei complessi molecolari stabilizzati da metalli non costosi e largamente disponibili in natura”, conclude Vizza.
Il progetto che ha permesso di ottenere questo risultato è stato finanziato dal MUR con fondi FISR-2019.