Italia del Nord tra frane e alluvioni

Cnr Comunicato stampa 13 Dic 2017


Figura 1 Distribuzione dei record relativi al periodo 2005-2016 e loro densità per regione

Il più colpito dagli eventi calamitosi è risultato il Piemonte con 513 siti, seguito dalla Liguria (413), che però è la prima in proporzione alla superficie e come numero di vittime.
I dati – che considerano anche Valle d’Aosta, Lombardia, Trentino-Alto Adige, Veneto, Friuli Venezia Giulia ed Emilia Romagna – derivano dal volume ‘Eventi di piena e frana in Italia settentrionale’ in cui l’Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica del Cnr ha raccolto i dati sui 2.125 siti colpiti dal 2005 al 2016.
La pubblicazione verrà presentata a Torino mercoledì 13 dicembre

I dati su alluvioni e frane nelle regioni del Nord Italia verificatesi dal 2005 al 2016, ora raccolti in un volume dall’Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica del Consiglio nazionale delle ricerche (Irpi-Cnr), parlano chiaro. Delle regioni prese in esame - Valle d’Aosta, Piemonte, Trentino-Alto Adige, Lombardia, Friuli-Venezia Giulia, Veneto, Emilia-Romagna - la più colpita è il Piemonte con 513 casi, il 24% del totale, seguita dalla Liguria (413 casi, il 19%). “La percentuale del Piemonte”, spiegano gli autori Fabio Luino e Laura Turconi (Cnr-Irpi), “potrebbe essere parzialmente influenzata dalla ricchezza dei dati raccolti (la sede è a Torino), ma è pur vero che il Piemonte ha subito due gravi eventi nel maggio 2008 e nel novembre 2016”. Il libro ‘Eventi di piena e frana in Italia settentrionale’, realizzato con l’aiuto di alcuni giovani geologi, raccoglie in oltre 500 pagine e 800 immagini migliaia di notizie su eventi calamitosi con vittime e danni tratte da studi dell’Istituto, pubblicazioni scientifiche, relazioni di Enti territoriali e notizie stampa. Dal lavoro di selezione e validazione sono state censite e importate in cartografia 2.125 informazioni. Il volume verrà presentato nel corso di un workshop a Torino, il 13 dicembre (ore 8.30) presso la Sala della Cavallerizza, nuova Aula Magna d’Ateneo (via Verdi, 9), cui partecipano tra gli altri Luca Mercalli, meteorologo, divulgatore scientifico e climatologo. “L’Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica del Cnr dal 1970 ricerca, raccoglie e classifica dati di attualità e storici, pubblicati e inediti, a partire dall’inizio del 1800, relativi a frane, alluvioni, piogge, portate dei corsi d’acqua e comuni coinvolti. Questo libro si colloca in continuità con la tradizione istituzionale”, spiegano gli autori.

“Se si rapportano le informazioni censite alla superficie di ogni regione, la Liguria risulta quella più frequentemente citata con un dato puntuale ogni 13 km2, seguita dal Friuli-Venezia Giulia con uno ogni 42 km2. La Liguria, d’altronde, nel lasso di tempo esaminato ha subito tre eventi molto gravi: l’ottobre 2010 a Genova e Varazze, l’ottobre 2011 nelle Cinque Terre e il novembre 2014 di nuovo a Genova”, aggiungono Luino e Turconi. “Nell’arco dei 12 anni le vittime sono state 77, di cui 54 per inondazioni di fiumi e torrenti e 23 per frane (di cui una per valanga), registrate soprattutto in Liguria (25 persone) e Trentino-Alto Adige (14 vittime). Il 2011 è risultato di gran lunga l’anno più luttuoso, con 22 morti in totale: in pochi giorni, il 25 ottobre persero la vita 11 persone in Liguria e due in Toscana, il 4 novembre si ebbero sei vittime a Genova”.

Per quanto riguarda i corsi d’acqua, le colate detritiche lungo i torrenti alpini hanno causato 13 vittime in sei eventi distinti, il più luttuoso dei quali è avvenuto a Villar Pellice (TO) nel maggio 2008. Per quanto concerne, invece, le sole frane si contano in totale 22 vittime, nove delle quali per la modesta frana superficiale che il 12 aprile 2010 colpì un treno in transito in provincia di Bolzano.

I processi d’instabilità, oltre che persone, hanno coinvolto infrastrutture nel 68% dei casi censiti e anche strutture, vale a dire case di civile abitazione, edifici pubblici, attività commerciali ed industriali (32% dei dati). “L’espansione dei centri urbani, in particolar modo a partire dalla metà degli anni ’50 del secolo scorso, è spesso avvenuta senza tenere nella dovuta considerazione il rischio connesso alla presenza di corsi d’acqua o di pareti rocciose”, concludono i ricercatori. “Nel volume si riscontrano numerosi esempi di danni che si sarebbero evitati se l’urbanizzazione fosse avvenuta con maggiore rispetto del contesto morfologico naturale”.

 

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