Le ossa fossili di questo cetaceo primitivo sono state recuperate in successive campagne di scavo e sono ora conservate presso il Museo di Storia Naturale di Lima. Consistono di tredici vertebre, quattro costole e parte del bacino, quest’ultimo a indicare che Perucetus era ancora provvisto di piccole zampe posteriori, una condizione riscontrata anche negli altri Basilosauridi, il gruppo di cetacei arcaici a cui è stato riferito questo nuovo mostro marino.
«Sebbene lo scheletro da noi studiato non sia completo, stime rigorose basate sulla misurazione delle ossa conservate e sulla comparazione con un ampio database di organismi attuali e fossili – spiega Giovanni Bianucci – indicano che la massa scheletrica di Perucetus era di circa 5-8 tonnellate, un valore perlomeno doppio rispetto alla massa scheletrica del più grande animale vivente, la balenottera azzurra. Il pesantissimo scheletro di Perucetus, che in vita avrebbe raggiunto i 20 metri di lunghezza, suggerisce che la massa corporea di questo antico cetaceo potesse raggiungere le 340 tonnellate, quasi il doppio della più grande balenottera azzurra e oltre quattro volte quanto stimato per l’Argentinosauro, uno dei più grandi dinosauri mai rinvenuti.»
Perucetus rappresenta dunque un ottimo candidato al ruolo di animale più pesante di tutti i tempi, un record da cui verrebbe scalzata proprio la balenottera azzurra. Le implicazioni paleobiologiche di una simile scoperta sono di estrema importanza.
«L’enorme massa corporea di Perucetus – prosegue Bianucci – indica che i cetacei sono stati protagonisti di fenomeni di gigantismo in almeno due fasi: in tempi relativamente recenti, con l’evoluzione delle grandi balene e balenottere che popolano gli oceani moderni, e circa 40 milioni di anni fa, con la radiazione dei Basilosauridi di cui Perucetus è il rappresentante più straordinario.»
Lo studio di un simile ‘peso massimo’ è stato certamente eccitante ma non privo di difficoltà. «Ciascuna delle vertebre di Perucetus è talmente pesante (la più leggera pesa oltre 100 kg) da richiedere diverse persone robuste per ogni minimo spostamento – racconta Marco Merella – Oltre a rendere più difficili le fasi di scavo e preparazione, ciò ha complicato fortemente l’analisi osteoanatomica dei reperti. Ci siamo quindi rivolti alle innovative metodologie della paleontologia virtuale e in particolare alla scansione a luce strutturata, per acquisire ed elaborare modelli tridimensionali di dettaglio di tutte le ossa raccolte. Questi modelli ci hanno poi permesso di proseguire lo studio una volta ritornati a Pisa; infatti, è proprio grazie alla scansione a luce strutturata che è stato possibile stimare in maniera rigorosa il volume dello scheletro, fornendo così un supporto quantitativo alla ricostruzione della forma del corpo e del modo di vita di questo eccezionale cetaceo estinto.»
«La taglia titanica delle ossa di Perucetus rappresenta certamente il tratto più appariscente di questa nuova specie – afferma Alberto Collareta – ma l’enorme massa ricostruita per l’intero scheletro riflette anche l’alto peso specifico della tipologia di tessuto osseo di cui esso si compone. Tutte le ossa di Perucetus, infatti, sono costituite da osso estremamente denso e compatto, simile a quello che si rinviene, anche se in maniera decisamente meno marcata, nei sireni attuali. Questi mammiferi abitano in acque costiere poco profonde, dove uno scheletro particolarmente pesante funziona da ‘zavorra’, facilitando così l’alimentazione al fondale ed aumentando l’inerzia all’azione delle onde. L’ispessimento e appesantimento dello scheletro, in termini tecnici pachiosteosclerosi, che accomuna Perucetus ai sireni non si rinviene in nessun cetaceo attuale. Dunque, benché sia difficile fornire un’interpretazione paleoecologica di questo straordinario adattamento, è probabile che esso fornisse a Perucetus la stabilità necessaria per abitare acque agitate prossime alla linea di costa. Perucetus si alimentava probabilmente presso il fondale, forse privilegiando la ricerca di carogne di altri vertebrati marini come fanno oggi alcuni grandi squali.»
«Per quanto la scoperta di Perucetus sia stata inaspettata, non sorprende che essa sia avvenuta nel Deserto di Ica – racconta la ricercatrice Giulia Bosio dell’Università di Milano-Bicocca – Questo deserto ospita infatti uno dei più grandi giacimenti di vertebrati fossili del mondo, oggetto di studio ormai da più di quindici anni grazie ad una serie di progetti di ricerca nazionali ed internazionali che hanno visto la collaborazione delle università italiane di Pisa, Milano-Bicocca e Camerino, affiancate da ricercatori peruviani tra cui Mario Urbina, lo scopritore di Perucetus colossus, e da ricercatori di diverse nazionalità europee.»
Gli studi presso l’Università di Milano-Bicocca si sono concentrati sulla ricostruzione della stratigrafia e sulla datazione dell’antico antenato delle balene. «Sulla base di studi micropaleontologici di specie planctoniche e di una datazione radiometrica di una cenere vulcanica trovata nelle vicinanze del reperto – interviene la professoressa Elisa Malinverno dell’Università di Milano-Bicocca –abbiamo potuto stimare un’età compresa tra 39.8 e 37.84 milioni di anni per questo fossile. Perucetus colossus viveva quindi nell’epoca denominata Eocene, quando gli antenati dei cetacei attuali stavano abbandonando lo stile di vita terrestre a favore di quello marino.»
Claudio Di Celma e Pietro Paolo Pierantoni della sezione di Geologia dell'Università di Camerino hanno realizzato lo studio geologico-stratigrafico dell’area in cui è stato scoperto Perucetus colossus. «Attraverso lo studio delle rocce sedimentarie che lo contenevano – spiega Claudio Di Celma – abbiamo contribuito alla ricostruzione dell’ambiente in cui questo antico mammifero marino ha vissuto. Dove oggi c’è un deserto che si estende per centinaia di chilometri lungo la costa del Perù meridionale, in passato si trovava un ampio bacino marino, il Bacino di Pisco, caratterizzato da una notevole abbondanza di nutrienti e una ricca biodiversità.»
«Il ritrovamento delle prime ossa di Perucetus risale a tredici anni fa ed è merito di Mario Urbina, ricercatore di campo e vera e propria leggenda vivente della paleontologia peruviana – spiega Bianucci – ed è solo grazie alla perseveranza di Mario che lo scavo pluriennale di questo straordinario (e pesantissimo) fossile è stato possibile. Scommetto che le sorprese non sono finite» conclude Bianucci.