"Mi aspettavo la notizia della morte di qualcuno… e così è stato. È toccato al povero Polidori. Quando era mio medico parlava continuamente di acido prussico, di olio d'ambra, di bolle d'aria nelle vene, di soffocamento per vapori di carbone e di misture velenose… Sembra che la causa sia da ricercarsi nelle sue delusioni…". Senza manifestare emozioni né commozione, lasciando anzi trasparire una certa irrisione, con queste parole il poeta George Byron commentò la notizia della morte di John Polidori, quando gli giunse nella tarda estate del 1821. Byron si trovava allora in Italia e da tempo aveva perso di vista colui che era stato suo medico personale quando aveva lasciato precipitosamente la patria.

Nell'aprile del 1816, al momento della partenza per l'Europa continentale al seguito del grande e chiacchierato poeta, Polidori era un giovane di belle speranze, un po' fatuo e presuntuoso, che aveva soprattutto un obiettivo ben fisso in mente: conquistarsi un posto di rispetto nell'ambiente colto e aristocratico inglese. Figlio di un letterato e romanziere di origine italiana, Gaetano Polidori, John aveva completato i suoi studi di medicina all'Università di Edimburgo con una tesi su un argomento insolito, il sonnambulismo, ed era stato proprio durante la preparazione di questo elaborato che aveva scoperto di amare più la scrittura che l'arte sanitaria.

 

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