Verde, Piantato primo clone di Platanus orientalis L. a Villa Borghese . Fiorini, “Importante passo verso la riproduzione e conservazione del patrimonio genetico degli alberi antichi di Roma”
Il primo clone di Platanus orientalis L. è stato piantato a Villa Borghese. Il giovane albero di 5 anni, è stato riprodotto per talea da uno degli 11 rari esemplari superstiti di quei circa 40 piantati nel 1600 dal cardinale Scipione Borghese, fondatore della villa. “Si tratta di uno dei pochi cloni viventi noti di antichi Platani Orientali, un grande successo reso possibile dalla preziosa collaborazione e dal supporto operativo dell’associazione Amici di Villa Borghese, che ringrazio vivamente per il grande impegno profuso.
Scoperta la firma molecolare della SLA
Un nuovo studio condotto dalla Sapienza in collaborazione con il laboratorio dell’Istituto Pasteur-Italia ha identificato i potenziali marcatori della progressione della Sclerosi Laterale Amiotrofica: sono piccole molecole di RNA non codificante, i microRNA. Lo studio è stato da poco pubblicato su Cell Death Discovery
Sclerosi laterale amiotrofica (SLA). Nota anche come malattia dei motoneuroni perché causa una graduale perdita di queste cellule che impartiscono ai muscoli il comando del movimento. È una malattia degenerativa che porta progressivamente alla paralisi e al decesso del paziente entro pochi anni dalla comparsa dei sintomi.
Il decorso non è però uguale in tutti pazienti, e fino a oggi, le basi molecolari che potessero spiegarlo erano sconosciute: molti biomarcatori sono stati descritti per diverse patologie neurodegenerative, ma per nessuno di loro era stata riscontrata una specifica correlazione con la SLA.
Economia… da Primati!
Un numero speciale della rivista Philosophical Transactions, curato, tra gli altri, da Elsa Addessi dell’Istituto di scienze e tecnologie della cognizione del Cnr, passa in rassegna alcuni degli studi più recenti sui comportamenti economici delle specie animali a noi evolutivamente più vicine, quali cebi dai cornetti, gorilla e scimpanzè, evidenziando così i meccanismi cognitivi alla base delle nostre prese di decisione.
Per comprendere i meccanismi cognitivi alla base delle prese di decisione nella nostra specie risulta di grande interesse lo studio del comportamento dei primati non umani, le specie animali a noi evolutivamente più vicine: dai cebi dai cornetti ai gorilla, fino agli scimpanzè.
Comparando il nostro e il loro comportamento economico è possibile ricostruire le radici evolutive dell’economia umana. È questo il focus del numero speciale della rivista Philosophical Transactions della Royal Society of London, dal titolo “Existence and prevalence of economic behaviors in non-human primates”, curato da Elsa Addessi dell’Istituto di scienze e tecnologie della cognizione del Consiglio nazionale delle ricerche di Roma (Cnr-Istc), insieme a Thomas Boraud (Università di Bordeaux) e Sacha Bourgeois-Gironde (Institut Jean-Nicod - Ecole normale supérieure di Parigi) e che riunisce articoli multidisciplinari di università e centri di ricerca internazionali, dalla psicologia comparata all’economia, fino alle neuroscienze.
“I 16 contributi forniscono una panoramica delle più recenti ricerche sui comportamenti economici dei primati non umani. Ad esempio, evidenziano una serie di differenze interindividuali nella presa di decisione in condizioni di rischio, fondamentali per comprendere le origini evolutive del gioco d’azzardo patologico nella nostra specie”, spiega Addessi. “L’attitudine al rischio, ossia la preferenza per opzioni che hanno una probabilità di vincita anche bassa, come nel caso del sei al superenalotto, cambia a seconda del contesto sociale e dell’entità delle possibili perdite: gli scimpanzé sono più propensi all’azzardo in presenza di un potenziale competitore e quando, perdendo, ottengono una piccola ricompensa. Anche la modalità di proposta delle opzioni è importante: analogamente a quanto messo in luce tra gli esseri umani, i macachi rischiano di più di fronte a potenziali perdite che a potenziali guadagni”.
Il clima in Europa alla fine dell’ultima era glaciale era molto più piovoso di oggi, sino a 1000-2000 mm in più all’anno in alcune aree
L’Università di Pisa nel consorzio internazionale che ha realizzato lo studio pubblicato sulla rivista Science Advances e che migliora gli attuali modelli predittivi del clima futuro
Il clima in Europa 12mila anni fa era in molte regioni più piovoso di oggi, in alcune aree del Mediterraneo fino a 1000-2000 mm all’anno in più rispetto all’attuale. E’ questo quanto emerge da uno studio pubblicato sulla rivista Science Advances e condotto da un consorzio internazionale di università fra cui quella di Pisa.
La scoperta rovescia le attuali convinzioni, sinora si riteneva infatti che il clima in quell’epoca fosse generalmente più arido, e migliora sensibilmente i modelli predittivi sul clima grazie anche ad una maggiore comprensione dell’importanza della corrente a getto polare (un vento molto veloce di alta quota) per il clima di quel periodo.
“Per l’Europa si tratta della prima ricostruzione quantitativa delle precipitazioni avvenute durante lo Younger Dryas, cioè il periodo di rapido raffreddamento del clima avvenuto circa 12.000 anni fa, alla fine dell’ultima era glaciale”, spiega il professore Adriano Ribolini del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Ateneo pisano.
Second generation antibody protects from SARS-CoV-2, its variant and prevents it from mutating to resist therapy
The Institute for Research in Biomedicine (IRB; Bellinzona, Switzerland), affiliated to the Università della Svizzera italiana (USI) developed a second-generation ‘double antibody’ that protects from SARS-CoV-2, the virus causing COVID-19, and all its tested variants. It also prevents the virus from mutating to resist the therapy.
Antibody-based immunotherapy was already shown to be effective against COVID-19 but faces two main obstacles: it needs to work against the circulating viral variants; it must prevent formation of new variants, that can rapidly ensue via a mechanism similar to that leading to antibiotic resistant bacteria. We solved the problem by joining two natural antibodies into a single artificial molecule, called ‘bispecific antibody’, that targets two independent viral sites simultaneously.
Pre-clinical trials showed that this bispecific antibody potently neutralizes SARS-CoV-2 and its variants, including the recent UK one circulating in Switzerland and Europe with increased spread. The bispecific, but not first-generation antibodies, prevents the virus from changing its structure to evade therapy. The high bispecific potency and its overall characteristics make it an ideal candidate for human clinical trials, with good chances of employment both for prevention and treatment of COVID-19.
Veneto, sparge mais avvelenato, strage di animali
Necessario investire nella informazione e prevenzione per evitare i conflitti
In un’area agricola tra le località di Coazze e Ronchetrin a Gazzo Veronese, in provincia di Verona, un agricoltore ha sparso una enorme quantità di mais avvelenato, probabilmente con l’obiettivo di uccidere le nutrie.
La presenza di una tale disponibilità di cibo, in un periodo difficile come quello invernale, ha però attratto numerose specie animali che, dopo averlo ingerito, hanno inesorabilmente perso la vita.
Il personale intervenuto sul posto ha rinvenuto decine di carcasse tra cui lepri, volpi, fagiani, anatre, oche, aironi, pesci e ha rilevato come il mais avvelenato sia presente in un’area molto estesa (circa due ettari) rendendo difficile la completa bonifica.
Il luogo si trova poco distante dall’area protetta Palude del Busatello (una ZPS, Zona di Protezione Speciale) e vi è un concreto rischio che il veleno, ingerito da diversi animali, possa entrare nella catena alimentare avvelenando i predatori e gli animali che si nutrono di carcasse, come rapaci e corvi.
L’agricoltore è stato denunciato per avvelenamento e disastro ambientale.
Dramatic increase in microplastics in seagrass soil since the 1970s
Photo: Miguel Ángel Mateo, Diego Moreno
Large-scale production of vegetables and fruit in Spain with intensive plastic consumption in its greenhouse industry is believed to have leaked microplastic contaminants since the 1970s into the surrounding Mediterranean seagrass beds. This is shown in a new study where researchers have succeeded in tracing plastic pollution since the 1930s and 1940s by analyzing seagrass sediments.
About half of Sweden’s cucumbers and a fifth of the tomatoes in Sweden are currently imported from Spain according to the Swedish Board of Agriculture. A special area in Spain where large-scale vegetable cultivation takes place is Almería on the Mediterranean coast in southeastern Spain. A new study from the area of Almería, also known as “the sea of plastic”, shows that the intensive use of plastics in the greenhouse industry seems to have led to ever-increasing emissions of microplastics since the development of intensive greenhouse farming in the 1970s.
“Almería is unique in Europe because it is one of the few human structures that can be seen from space because it is so large. The area accounts for about a quarter, or three million tonnes, of the total Spanish exports of vegetables and fruit”, says Martin Dahl, researcher in marine ecology at the Department of Ecology, Environment and Plant Sciences, Stockholm University, who is the first author of the study in the scientific journal Environmental Pollution.