Il testo della mozione trova le basi negli articoli 9 e 32 della Costituzione italiana dedicati rispettivamente alla tutela di ambiente, biodiversità ed ecosistemi, e alla tutela della persona per la predisposizione di condizioni ambientali sicure e salubri, così come nell’articolo 41 che stabilisce come l’iniziativa economica non possa arrecare danno a salute e ambiente; nell’Accordo di Parigi, secondo cui tutte le attività – comprese quelle agricole e zootecniche – sono chiamate a contribuire alla progressiva riduzione delle emissioni di gas serra; e ancora, nella disciplina dell’UE in materia di clima e nel collegamento degli allevamenti intensivi alla diffusione di malattie zoonotiche che possono costituire una minaccia per la salute pubblica.
«L’approvazione della mozione in tre Comuni di tre diverse regioni è un primo, significativo segnale di cambiamento che parte dai territori. È da qui che può prendere slancio una spinta concreta verso una legislazione nazionale capace di tutelare salute, biodiversità e la sostenibilità socio-economica del comparto agricolo», dichiarano le cinque associazioni promotrici. «L’attuale modello zootecnico italiano – sempre più concentrato in grandi realtà intensive e industriali – sta penalizzando le piccole e medie aziende, mettendone a rischio la sopravvivenza. Con la nostra proposta di legge vogliamo offrire un’alternativa credibile: un percorso di transizione che permetta al settore di resistere nel tempo, tutelando ambiente, salute pubblica e giustizia sociale».
«Lo scorso 20 marzo il nostro Consiglio comunale ha approvato una mozione importante: chiediamo un cambio di rotta nel modo di fare zootecnia, sostenendo la riconversione degli allevamenti intensivi in modelli più sostenibili e rispettosi di salute, ambiente e animali. Non possiamo rimanere indifferenti davanti a un tema che riguarda tutti», dichiara il sindaco di Castenedolo, Pierluigi Bianchini. «Speriamo che tanti altri Comuni scelgano di unirsi a questo percorso, per costruire insieme un sistema agricolo più giusto. Allo stesso tempo, vogliamo esprimere il nostro sostegno alle piccole realtà agricole locali, che ogni giorno lavorano con cura e rispetto per la terra, rappresentando un’alternativa concreta e preziosa».
Gli impatti degli allevamenti intensivi sull’ambiente e le implicazioni connesse alla salute umana sono ormai ampiamente documentati: a livello nazionale il settore zootecnico è responsabile di oltre due terzi delle emissioni nazionali di ammoniaca (seconda fonte di formazione delle polveri fini, PM2,5, che causano decine di migliaia di morti premature ogni anno) e dell’inquinamento causato da eccessivi carichi di azoto e derivati nel terreno e nelle acque, con l’Italia sotto procedura d’infrazione per il mancato adeguamento alla Direttiva nitrati e il mancato raggiungimento di “buono stato” di tutte le acque, come previsto dalla Direttiva acque.
Per questo, nel marzo 2024, Greenpeace Italia, ISDE, Lipu, Terra! e WWF Italia hanno presentato a Montecitorio la proposta di legge “Oltre gli allevamenti intensivi”, a oggi sostenuta da 23 parlamentari di cinque diverse forze politiche, da decine di associazioni e comitati, ma ancora in attesa di discussione in Commissione Agricoltura alla Camera. La proposta 1760 punta inoltre a rendere protagoniste le piccole aziende agricole zootecniche in Italia, incoraggiando la transizione ecologica di quelle grandi e medie attraverso un piano di riconversione del sistema finanziato con un fondo dedicato. Prevede nell’immediato una moratoria all’apertura di nuovi allevamenti intensivi e all’aumento del numero di animali allevati in quelli già esistenti. Stabilisce, inoltre, che vengano definiti criteri e modalità per la riorganizzazione produttiva degli allevamenti intensivi e il riconoscimento di adeguate risorse economiche per il sostegno ad aziende che già adottano buone pratiche agro-ecologiche e rispettose del benessere animale. A tal fine, prevede l’istituzione di un tavolo di partenariato tra attori economici, sociali, agenzie ed enti di ricerca per la redazione di un Piano nazionale di riconversione: in questa partita i Comuni, quali enti più vicini alla cittadinanza, hanno un ruolo cruciale nel promuovere politiche locali a favore di sostenibilità ambientale, socio-economica e salute pubblica, seguendo l’esempio dei primi tre Comuni che hanno scelto di agire.